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<DIV><FONT color=#ff0000 size=4><STRONG>UNIVERSITÀ DEFORMATA e QUESTIONE
SCIENTIFICA</STRONG></FONT></DIV>
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<DIV><FONT size=1>----- Original Message ----- </FONT>
<DIV><FONT size=1>From: "rossana" <</FONT><A
href="mailto:rossana@comodinoposta.org"><FONT
size=1>rossana@comodinoposta.org</FONT></A><FONT size=1>></FONT></DIV>
<DIV><FONT size=1>To: <</FONT><A
href="mailto:neurogreen@liste.comodino.org"><FONT
size=1>neurogreen@liste.comodino.org</FONT></A><FONT size=1>></FONT></DIV>
<DIV><FONT size=1>Sent: Tuesday, July 27, 2010 10:36 AM</FONT></DIV>
<DIV><FONT size=1>Subject: [neurogreen] UNIVERSITÀ DEFORMATA e QUESTIONE
SCIENTIFICA</FONT></DIV>
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<DIV><BR></DIV>
<DIV>Mi piace mettere in relazione l'articolo di Bascetta sull'università e
<BR>quello di Cini sulle questioni scientifiche: se le catastrofi diventano
<BR>merce.<BR>Bascetta domanda "E se fosse invece il mercato del lavoro a
doversi <BR>adeguare all'università, ai suggerimenti della ricerca e della
<BR>sperimentazione, al livello culturale della nostra società, dei suoi
<BR>bisogni e delle sue potenzialità?"<BR><BR>Cini argomenta la sua posizione
divergente da quella di Baracca ed <BR>Ernesto Burgio a proposito della
manipolazione del vivente, o meglio, <BR>dell'appropriazione privata della
conoscenza (e di tutto ciò che è <BR>patrimonio comune) : "dove ci sta
conducendo - parlo della popolazione <BR>del pianeta - il connubio sempre più
stretto tra il capitale <BR>globalizzato e il processo di produzione e di
appropriazione privata <BR>delle conoscenze scientifiche e delle innovazioni
tecnologiche di <BR>«avanguardia», senza che venga posto in atto alcun controllo
pubblico <BR>delle conseguenze materiali, economiche e sociali che esso
comporta".<BR><BR>Quello che bisogna sottolineare fra le diverse posizioni è che
i <BR>soggetti (tutti noi) non possono limitarsi ad una semplice denuncia (o
<BR>riflesso) dei fenomeni perchè non si tratta solo di descrivere l'uso che
<BR>si fa della conoscenza, ma come si presenta la realtà. E allora bisogna
<BR>rilevare l'inversione (questa realtà non ha un carattere naturalistico
<BR>ma è ideologia, quella della proprietà privata) e la sua crisi, la sua
<BR>reversibilità (contro ogni determinismo).<BR><BR>In un testo che parla della
crisi ambientale (marea nera, meteo, ecc.), <BR>che è un aspetto della crisi del
sistema e, di conseguenza, della <BR>distruzione del mondo "la crisi del clima è
un crisi politica", Chris <BR>Hedges invoca la disobbedienza civile e la
ribellione. La sua <BR>osservazione è che siamo prigionieri del potere delle
imprese il cui <BR>destino sembra portare alla distruzione del mondo. La loro
avidità <BR>trasforma in servi globali i lavoratori.<BR><A
href="http://www.truthdig.com/report/item/calling_all_future-eaters_20100719/">http://www.truthdig.com/report/item/calling_all_future-eaters_20100719/</A></DIV>
<DIV> </DIV>
<DIV> </DIV>
<DIV><BR><BR>di Marco Bascetta<BR>UNIVERSITÀ DEFORMATA<BR>Non è colpa di von
Humboldt, padre dell'Università moderna europea, e <BR>nemmeno del Sessantotto,
padre e madre di ogni vizio e dissolutezza. La <BR>miserabile Università
italiana che miserabilmente si intende riformare <BR>per l'ennesima volta ha una
paternità assolutamente certa: i cosiddetti <BR>liberisti di sinistra. Da dove
proviene, se non da loro, il <BR>moltiplicarsi insensato dei corsi di laurea, il
fiorire di <BR>pseudodiscipline come l' "etica aziendale" o la "consulenza
filosofica"? <BR>La proliferazione di master e specializzazioni psichedeliche a
costi <BR>esorbitanti? Il sistema creditizio che ha trasformato il corso degli
<BR>studi in uno spezzatino insipido e indigesto, in una competizione
<BR>autistica tra futuri sottoccupati? Il sistema delle laure brevi,
<BR>destinato a produrre competenze tanto precarie quanto le occupazioni
<BR>nelle quali (solo in teoria) sarebbero state impiegate?<BR>E adesso i
responsabili di questo disastro, ormai conclamato, i <BR>riformatori, i
modernizzatori, i cantori della libera impresa, ci <BR>vengono a dire: «non
vorrete conservare questa porcheria? Come dare <BR>torto a Tremonti e Gelmini
che vogliono tagliare il costo esorbitante di <BR>questo baraccone, eliminare
sprechi e inefficienze?». Di memoria breve, <BR>seppur di consulenza lunga, i
liberisti di sinistra, hanno già <BR>dimenticato quando l'Università La Sapienza
di Roma si fregiava, <BR>attraverso costose campagne pubblicitarie, del
discutibile titolo di <BR>"fabbrica del sapere" e gli atenei si rincorrevano
nell' inventare <BR>specchietti per le allodole e insegnamenti modaioli con lo
scopo di <BR>attirare il maggior numero di studenti da formare nel tempo più
breve e <BR>con la minor spesa possibile, mettendo in scena un ridicolo criterio
di <BR>produttività.<BR>Hanno rapidamente rimosso le favole sul coinvolgimento
delle aziende e <BR>delle realtà produttive territoriali che accompagnavano il
diffondersi <BR>capillare delle sedi universitarie fin nelle più remote
provincie, <BR>andando incontro a un destino certo di miseria nera e di
insignificanza <BR>culturale. Non ricordano più, i nostri riformatori, gli
insulsi corsi di <BR>studio che avrebbero dovuto assecondare la mitica domanda
delle imprese, <BR>riuscendo a soddisfare tutt'al più nepotismi e
clientele.<BR>Ciò che dovrebbe essere chiaro a chiunque non sia accecato
<BR>dall'ideologia è che l'Università italiana non è stata devastata da
<BR>un'assenza di riforme, ma da una sovrabbondanza di cattive riforme a cui
<BR>quella della ministra Gelmini, ora approdata in Senato, va ad
<BR>aggiungersi, veicolando inoltre l'invereconda pretesa che il taglio
<BR>delle risorse possa essere più purificatore del loro migliore impiego,
<BR>in un improbabile circolo virtuoso tra merito e risparmio. Non avendo
<BR>idea alcuna della funzione dell'Università di massa nel nostro tempo, o
<BR>meglio condividendo quella propugnata, con gli esiti che abbiamo visto,
<BR>dai liberisti di sinistra, incapace di rubricare, secondo una diversa
<BR>logica, la spesa e l'investimento, l'opposizione di sinistra si troverà
<BR>a scegliere, ancora una volta, tra complicità e impotenza.<BR>Del resto, la
regola aurea, fin dai tempi di Zecchino e Berlinguer, <BR>ribadita ancora ieri
da Mariastella Gelmini, è sempre la stessa: «il <BR>compito della riforma è il
riavvicinamento dell'Università al mercato <BR>del lavoro». Obiettivo mancato
per più di un trentennio nel vano <BR>inseguimento di una visione mitologica del
sistema delle imprese e della <BR>sua presunta vocazione all'innovazione. Il
mercato del lavoro italiano, <BR>capriccioso e gretto, è una fotografia del
presente, forse addirittura <BR>una nostalgia del passato, di certo non una
proiezione sul futuro. Anche <BR>se, nella precarizzazione del lavoro, nel
taglio delle risorse, nel <BR>rafforzamento delle gerarchie, il riavvicinamento
è certamente arrivato <BR>a buon punto. E se fosse invece il mercato del lavoro
a doversi adeguare <BR>all'università, ai suggerimenti della ricerca e della
sperimentazione, <BR>al livello culturale della nostra società, dei suoi bisogni
e delle sue <BR>potenzialità? Per un liberista di sinistra si tratta di una
bestemmia. <BR>Come voler imporre un artifizio alla legge di natura.</DIV>
<DIV> </DIV>
<DIV><BR><BR>di Marcello Cini<BR>QUESTIONE SCIENTIFICA<BR>SE LE CATASTROFI
DIVENTANO MERCE. UNA RISPOSTA<BR>Angelo Baracca e Ernesto Burgio, nel loro
articolo del 17 luglio <BR>intitolato «Catastrofe scientifica» criticano il mio
ragionamento (il <BR>manifesto 10 luglio) sulle catastrofi artificiali sulla
base del «fatto <BR>che, di fronte all'ennesima sfida di Craig Venter» io mi
sarei «limitato <BR>a segnalare il pericolo di incidenti più o meno probabili
puntando <BR>l'indice sulla possibile diffusione di microrganismi artificiali
<BR>nell'ambiente».<BR>Se mi è consentita una battuta ormai d'uso corrente, non
posso, a mia <BR>volta, perdere l'occasione di ricordare che concentrare
l'attenzione <BR>sull'indice di chi indica qualcosa non è proprio un indizio di
<BR>particolare acume. Ma siccome prima di accusare un interlocutore di non
<BR>aver capito di cosa si sta parlando bisogna avere la modestia di pensare
<BR>che ci si è espressi male, vorrei riassumere in poche parole il nodo
<BR>essenziale della mia argomentazione.<BR>Il punto è che il disastro del Golfo
del Messico - le cui proporzioni <BR>stanno diventando a tutt'oggi (25 luglio)
sempre più planetarie - non è <BR>solo una questione di petrolio. Il «maledetto
buco» è invece un indizio <BR>fondamentale per capire dove ci sta conducendo -
parlo della popolazione <BR>del pianeta - il connubio sempre più stretto tra il
capitale <BR>globalizzato e il processo di produzione e di appropriazione
privata <BR>delle conoscenze scientifiche e delle innovazioni tecnologiche di
<BR>«avanguardia», senza che venga posto in atto alcun controllo pubblico
<BR>delle conseguenze materiali, economiche e sociali che esso comporta.
<BR>«Dalle fonti di energia all'alimentazione, dalla salute ai servizi,
<BR>dalla conoscenza ai 'prodotti finanziari speculativi' - scrivevo -
<BR>l'adozione della logica del profitto come unica finalità delle attività
<BR>umane - anche e sempre di più attraverso l'appropriazione privata dei
<BR>beni materiali e immateriali comuni - non potrà non rendere il rischio
<BR>di catastrofi una merce dotata di prezzo come le altre, invece che una
<BR>eventualità da scongiurare attraverso un rigoroso controllo sociale».<BR>Se
non si coglie la novità - scusate la presunzione - di questo punto di <BR>vista,
non si capisce, a questo punto, il ruolo attribuito a Venter nel <BR>mio
ragionamento. Il collegamento fra quest'ultimo e il «maledetto buco» <BR>è
fondamentale per almeno due motivi. Il primo è che l'immagine stessa <BR>di
Venter - perfetta sintesi fra un magnate di Wall Street e uno <BR>scienziato con
la testa fra le nuvole - grida in faccia al mondo che, <BR>piaccia o non
piaccia, la «torre d'avorio» è crollata.<BR>Certo, si può sempre dire che la
conoscenza delle profondità degli <BR>oceani della quale la BP possiede il
monopolio non è scienza ma <BR>tecnologia. Ma nessuno ormai va più tanto per il
sottile. I confini si <BR>dissolvono. Agli antipodi, nemmeno la più sofisticata
teoria della <BR>fisica contemporanea, la «teoria delle stringhe», venduta sola
o <BR>accompagnata dalla fantascienza degli «universi paralleli» è più scienza
<BR>in senso proprio, se è vero, come sostiene il premio Nobel (della
<BR>fisica) Gerard 't Hoft, che non sarà mai falsificabile.<BR>Dobbiamo
rassegnarci: dei quattro imperativi istituzionali posti da <BR>Robert Merton
alla metà del secolo scorso a fondamento dell'ethos della <BR>scienza moderna -
l'universalismo, il comunitarismo, il disinteresse e <BR>il dubbio sistematico -
sono rimasti soltanto alcuni brandelli e <BR>soltanto in qualche
disciplina.<BR>Il secondo motivo del collegamento fra il buco della BP e il
batterio <BR>sintetico di Venter (che, ricordiamolo, aveva battuto sul tempo il
<BR>progetto pubblico della decodifica del genoma umano) è dunque che
<BR>entrambi mettono in evidenza l'incapacità delle istituzioni pubbliche di
<BR>proteggere le comunità umane dai danni collettivi che possono assumere
<BR>dimensioni planetarie anticipando, regolamentando e controllando
<BR>l'acquisizione e l'appropriazione privata di conoscenze da immettere sul
<BR>mercato in forma di merce.<BR>È dunque l'acquisizione di questa capacità di
controllo pubblico la <BR>priorità da adottare per la formazione di una cultura
della <BR>sopravvivenza capace di far fronte alla prospettiva
<BR>dell'intensificazione di catastrofi artificiali di entità paragonabile a
<BR>quelle naturali che stanno verificandosi a un ritmo crescente.<BR>Non
aspettiamo che accadano senza far niente.</DIV>
<DIV> </DIV>
<DIV><BR><BR> di Angelo Baracca, Ernesto Burgio<BR>Catastrofe
scientifica<BR>scientifica Dove traballa la critica di Marcello Cini alla
manipolazione <BR>del vivente di Craig Venter<BR>L'articolo di Marcello Cini
«Una catastrofe "artificiale"» (Manifesto 10 <BR>luglio) è una delle migliori
analisi della catastrofe del Golfo. <BR>Tuttavia mostra a nostro avviso un
limite, quando affronta il problema <BR>delle possibili conseguenze dell'ultima
frontiera della manipolazione <BR>del vivente: la sfida di Craig Venter, che ha
recentemente proclamato <BR>l'avvenuta creazione nel proprio laboratorio di un
microrganismo «quasi <BR>nuovo». Condividiamo pienamente la denuncia di Cini
della leggerezza con <BR>cui la comunità scientifica internazionale ha accolto e
commentato <BR>questa notizia: e che raggiunge il culmine (tanto per non
smentirci) nel <BR>commento addirittura entusiasta di taluni scienziati nostrani
che non <BR>perdono mai l'occasione di utilizzare la propria autorevolezza per
<BR>rassicurare i cittadini del Bel Paese dell'assoluta innocuità per la
<BR>salute umana di inceneritori e Ogm e, più di recente, di una tecnologia
<BR>vecchia, pericolosa e in netto declino come l'energia nucleare.<BR>Il limite
che riscontriamo nell'analisi di Cini consiste nel fatto che <BR>di fronte
all'ennesima sfida di Venter, egli si limiti a segnalare il <BR>pericolo di
"incidenti" più o meno probabili, puntando l'indice sulla <BR>possibile
diffusione di «microrganismi artificiali» nell' ambiente. Una <BR>critica che ci
sembra minimalista a fronte di una ricerca che aspira <BR>dichiaratamente a
modificare interi ecosistemi (per produrre energia dai <BR>batteri o addirittura
per ridurre l'inquinamento e fermare il global <BR>warming), e che riecheggia le
tesi (mai provate) dell'origine di <BR>malattie come l'Aida o la Sars, l'aviaria
o la suina da virus o <BR>microrganismi manipolati o addirittura
"ingegnerizzati" sfuggiti per <BR>errore da laboratori, militari e/o industriali
(il confine tra i due <BR>settori essendo sempre più labile, tanto per ciò che
concerne il <BR>biotech, che la produzione di energia nucleare: non si
dimentichi che <BR>tra i principali mecenati e sponsor delle ricerche dello
stesso Craig <BR>Venter compare, da anni, il Dipartimento USA per l'Energia,
<BR>straordinariamente interessato all'applicazione delle biotecnologie
<BR>genetiche al campo della produzione di «nuove forme di energia»). E'
<BR>importante sottolineare come la tesi dell'incidente biologico sia non
<BR>soltanto riduttiva, ma anche fuorviante e pericolosa: trascurando di
<BR>mettere in luce i veri intenti dei novelli apprendisti stregoni,
<BR>impedisce di riconoscere la componente più prometeica, se non
<BR>luciferina, dei loro esperimenti. L'utilizzo di una terminologia
<BR>mitico-metafisica non sembra eccessiva per la sua dichiarata volontà di
<BR>dirigere un processo bio-evolutivo antico di miliardi di anni, ma fin
<BR>qui «imperfetto perché privo di Intelligenza» (sic!). Il delirio
<BR>messianico di Craig Venter è diretto al cuore informatico della Natura.
<BR>Per cui se fino ad oggi potevamo dire che l'uomo rischiava di
<BR>trasformare in modo irreversibile la Biosfera, oggi possiamo affermare
<BR>che la nuova meta della biologia sintetica è la trasformazione della
<BR>Genosfera, del patrimonio genetico universale che si è formato nel corso
<BR>di miliardi di anni di co-evoluzione biologica.<BR>Noi riteniamo che questa
sia la vera essenza e pericolosità della sfida <BR>lanciata da Craig Venter, e
che il maggior pericolo non derivi, come <BR>sembra suggerire l'apprezzabile
articolo di Cini, dall'immissione, più o <BR>meno involontaria (accidentale), in
ambiente di microrganismi <BR>geneticamente modificati (cioè di costrutti genici
più o meno instabili <BR>e potenzialmente invasivi), ma appunto dalla deliberata
volontà di <BR>interferire con un processo evolutivo, la cui efficienza è
attestata, e <BR>per così dire garantita, da miliardi di anni di stupefacenti
successi <BR>(la meravigliosa continuità che a parere di St. J.Gould
rappresentava il <BR>mistero più grande). E' purtroppo facile prevedere che
queste <BR>interferenze sul codice segreto contenuto nel nucleo cellulare,
avranno <BR>conseguenze altrettanto e più nefaste dell'intrusione nel cuore del
<BR>nucleo atomico. Gli equilibri eco sistemici e lo stesso processo
<BR>evolutivo rischiano di essere trasformati in modo così imprevedibile e
<BR>profondo (altro che i 1.700 metri del "maledetto buco"!) da rendere
<BR>impossibile qualsiasi tentativo di recupero o riequilibrio. Ed è anche
<BR>prevedibile che si susseguiranno nuovi tentativi di intervento, a
<BR>proporre rimedi che non potranno che rivelarsi peggiori del male, perché
<BR>la Natura seguirà il suo corso e non certo quello voluto dai novelli
<BR>apprendisti stregoni come sta già avvenendo con le oltre 101mila
<BR>molecole di sintesi che stanno disorientando i meccanismi molecolari di
<BR>segnalazione intercellulare e con i residui del ciclo nucleare, che
<BR>hanno introdotto processi "artificiali" che la Terra non sa
metabolizzare.<BR>Bisognerebbe arginare l'incontrollato sviluppo della Scienza
asservita <BR>al profitto, senza il senso del limite, regola aurea in Natura. La
<BR>concezione della "Pacha Mama" dei popoli indigeni sudamericani appare
<BR>molto più avanzata della presuntuosa Scienza dei nostri apprendisti
<BR>stregoni.<BR><BR> <BR></DIV></BODY></HTML>