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<DIV style="FONT: 10pt arial">----- Original Message -----
<DIV style="BACKGROUND: #e4e4e4; font-color: black"><B>From:</B> <A
title=marinusvanderlubbe11@gmail.com
href="mailto:marinusvanderlubbe11@gmail.com">Marinus Van der Lubbe</A>
</DIV></DIV>
<DIV><BR></DIV><SPAN style="DISPLAY: none"> </SPAN> <!--~-|**|PrettyHtmlStartT|**|-~-->
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<P>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4 face="times new roman,serif">Forse
non tutti conoscono questo vecchio testo di Marco Melotti: un piccolo ma
significativo tassello nella necessaria ricostruzione di una memoria di
classe. </FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4
face="Times New Roman">F.</FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><STRONG><FONT size=4
face="Times New Roman"></FONT></STRONG> </DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><STRONG><FONT size=4 face="Times New Roman">* *
*</FONT></STRONG></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><STRONG><FONT size=4
face="Times New Roman"></FONT></STRONG> </DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><STRONG><FONT size=6
face="times new roman,serif">Fiat 1980. Tecnica di una
sconfitta</FONT></STRONG></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><STRONG><FONT size=4
face="times new roman,serif">Il soggetto operaio del
dopo-FIAT</FONT></STRONG></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4
face="times new roman,serif"><STRONG></STRONG></FONT> </DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT face="times new roman,serif"><FONT
size=4><STRONG>Premessa</STRONG> </FONT></FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4
face="Times New Roman"></FONT> </DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4
face="times new roman,serif">Questo intervento è stato svolto per un convegno
dell'area di <STRONG>“Collegamenti - Per l'organizzazione diretta di
classe”</STRONG> tenutosi a Milano l'8/9 novembre [1980]. Scritto a caldo
immediatamente dopo la chiusura della vertenza Fiat, è un tentativo di fornire
alcune ipotesi interpretative, sia sul ruolo svolto dal PCI nella lotta, sia sul
“soggetto” e sulle forme di soggettività emerse nel corso della vertenza. È un
testo “politico”, forse troppo, ma ciò che ci interessava cogliere e comunicare
immediatamente, è la <STRONG>sostanza politica dello scontro</STRONG>. Alcune
delle ipotesi qui esposte hanno trovato conferma immediata nelle settimane
seguenti: il problema dei “40.000” è divenuto infatti l'asse di una ulteriore
riorganizzazione del sindacato che dopo aver sottovalutato e nascosto in maniera
criminale la portata di questa “nuova ventata di integrazione sociale”, oggi la
rincorre, ponendola al centro di una ennesima politica “anti-operaia”<WBR>.
Altre ipotesi occorrerà verificarle su un periodo di tempo più lungo, come ad
esempio la possibilità e le modalità di formazione di un nuovo soggetto sociale
antagonista. </FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4 face="times new roman,serif">Ciò
che invece ci sembra sostanzialmente confermata è la politica del PCI. Dopo la
Fiat, gli scandali e il terremoto al sud, il PCI si appresta a una nuova
“svolta”. Ebbene, di fronte a chi certamente seguirà questa “svolta” con la
speranza di una nuova “Grande Sinistra”, noi pensiamo invece che occorra
riconfermare il nostro giudizio. A ben vedere la “svolta” implica una
prospettiva politica ancor più a “destra” del compromesso storico. E questo non
tanto perché l'area del “compromesso” si è allargata fino al buon Zanone e al
PLI, ma perché l'“alternanza democratica” ribadisce i contenuti sociali
dell'accordo DC-PCI e li amplifica. Ed a togliere le speranze ai “soliti illusi”
basterebbero le dichiarazioni di Chiaramonte sulla sostanziale continuità della
linea del “compromesso”, nella nuova forma dell'alternanza, che non esclude i
ladri democristiani, ma solo quelli talmente idioti da farsi cogliere con le
mani nel sacco. Ma c'è dell'altro. I contenuti sociali del “compromesso storico”
rimangono inalterati: l'Eur/bis deve riconfermare la “linea dell'Eur”; il nuovo
stato etico del lavoro, forte della sana spinta “rinnovatrice” dei “40.000” –
che devono essere recuperati, e valorizzati dal partito più che dal sindacato –
si presenta ancor oggi come il modello ideale di un “social-capitalismo”
efficiente, tecnocratico, incorruttibile. Come dire, lo scenario è immutato, gli
attori si sono cambiati la maschera, lo spettacolo può continuare.</FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4
face="times new roman,serif"></FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: right"><FONT size=4
face="times new roman,serif">1°-XII-1980</FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><STRONG><FONT size=4
face="times new roman,serif">1 - Introduzione</FONT></STRONG></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><STRONG><FONT size=4
face="Times New Roman"></FONT></STRONG> </DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4 face="times new roman,serif">Gran
parte delle domande riguardanti l'attuale politica si possono riassumere in
questa: "Che ne sarà del soggetto sociale del dopo Fiat?" Perché il problema è
proprio lui: questo soggetto sociale e politico che che dal '69 ad oggi è stato
irriducibile dentro le compatibilità del sistema. Un soggetto sociale inseguito
e ricercato da partiti e sindacato, da politici e sociologi, ma quasi mai colto
nella complessità delle sue articolazioni. Un soggetto in processo, che ha
lavorato a fondo la società italiana, mutandone l'aspetto in modo impressionante
in un solo decennio. </FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4
face="times new roman,serif">Questo soggetto, formatosi a partire dalla fine
degli anni '60, dalle Università alle scuole medie, dalle fabbriche
all'hinterland della metropoli capitalistica, sembrerebbe, dopo la sconfitta
FIAT, aver perso, in parte o completamente, la propria carica trasformativa.
Dentro questo soggetto la sconfitta si è consumata su due terreni: 1) quello
della cultura e dell'immaginario della sinistra; 2) quello della composizione di
classe. <STRONG>Se il '77 ha segnato la fine di una cultura unitaria della
sinistra, l'autunno '80 alla FIAT ha ratificato la sconfitta di una composizione
politica unitaria della classe operaia. </STRONG>Oggi occorre prender atto –
nonostante quanto pensino il "Manifesto" o DP – che la "Sinistra" non esiste
più, non esiste come cultura ed immaginario sociale, non esiste come modello
sociale antagonista.</FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4
face="times new roman,serif">Certo, tutto ciò era vero anche dieci anni fa, ma
oggi quella che era coscienza intellettuale in rivolta diventa evidente a
livello di massa. Negli anni dal '77 a '79, l'immaginario della sinistra è
esploso dall'interno di fronte alla<STRONG> soggettività del nuovo
movimento</STRONG>, ed è crollato all'esterno sotto i colpi di una crisi
internazionale che ha definitivamente liquidato, se ancora ce ne fosse stato
bisogno, i <STRONG>miti del "socialismo reale"</STRONG>, di Cuba, del Vietnam e
della Cina. Oggi questa "crisi" si sposta dentro la cittadella “operaia” del
riformismo, che vive una crisi profonda. Lo riconosce la Rossanda in uno dei più
sensati interventi del dopo-Fiat: "Mai la povertà della cultura della sinistra è
stata messa a nudo dagli Agnelli come nell'ottobre 1980. Voglio vedere chi
parlerà di nuovo modello di sviluppo, di buona, controllata e programmata
imprenditorialità<WBR>, quando non ha avuto niente da dire nel momento in cui la
più grande azienda nazionale modificava ambito e regole del suo potere" (Il
Manifesto 22.10.1980). Ma se intellettuali, economisti, sociologi, politologi e
membri dei Comitati Centrali sono rimasti rigorosamente infrattati ciò non
dipende solo da vigliaccheria intellettuale e povertà propositiva. Ciò di cui
Rossanda non si accorge – e che costituisce l'equivoco del suo "appello
all'unità" – è come oggi non esista più nella sinistra un'istanza riformista.
</FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT face="times new roman,serif"><FONT
size=4><STRONG>Il riformismo prevede un impegno di trasformazione, sia pur
mediato dalle compatibilità<WBR>, impegno che il PCI oggi non ha nessuna
intenzione di portare avanti, soprattutto per quanto riguarda la fabbrica ed il
capitale industriale.</STRONG> Paradossalmente, nel momento di maggior presenza
del PCI nella fabbrica, (e sulla natura di questa presenza torneremo in seguito)
i comunisti non hanno il benché minimo progetto trasformativo, per quanto
riguarda la materialità dei processi produttivi e le relazioni industriali. È
nel fuoco della vertenza Fiat che si verifica come nessuna delle proposte
tradizionali della “Sinistra” abbia più senso. Né la nazionalizzazione, né il
controllo sindacale o statale potevano di fatto rappresentare delle alternative,
perché prima che sul piano politico, queste erano ormai fuori gioco su quello
ideologico e teorico. Il "governo operaio della crisi" si è svelato per quello
che è:<STRONG> la subordinazione totale alla cultura della crisi sviluppata dal
Capitale contro la classe operaia.</STRONG> La controffensiva sull'orario di
lavoro (35X40) è restata ai margini del dibattito, forse anche perché in essa si
esaltava di più la "rigidità" che le effettive capacità di liberazione e
trasformazione della produzione, capacità che avrebbero richiesto un punto di
vista rivoluzionario sul problema dell'automazione, oggi completamente assente.
Oggi la trasformazione marcia solo sul versante del Capitale: la
“forza-invenzione” e la capacità di anticipare nuove relazioni industriali sono
tutte in mano al cervello collettivo del "Capitale", alla sua Scienza.
</FONT></FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT face="times new roman,serif"><FONT
size=4><STRONG>La crisi della "cultura" della sinistra rimanda ad una crisi più
profonda dentro la composizione, tecnica e politica, della classe. </STRONG>Se
il 1977 ha rappresentato la fine di "un immaginario collettivo" della "Sinistra"
spaccando verticalmente l'Unità delle sinistre – questo gran calderone
dell'opportunismo e della mediazione – esso ha ancor di più messo in luce – con
tre anni di ritardo – ciò che è avvenuto all'interno del tessuto reale della
classe. <STRONG>La rottura cioè dell'unità di classe, costituitasi negli anni
'60 intorno alla figura centrale dell'operaio comune della grande
industria.</STRONG> Di fronte a ciò pochi hanno riconosciuto nella
"scomposizione", nella creazione di più mercati della forza lavoro, nel
decentramento produttivo, un nuovo sistema di produzione e di comando sociale
della fabbrica post-tayloristica. Se ci andiamo a rileggere gli interventi di
quel periodo troveremo ovunque residui d'illusioni. Illusioni sul ruolo
rivoluzionario dei “nuovi soggetti”, illusioni sulle capacità di tenuta della
classe operaia centrale, illusioni sulla possibilità di espansione di una
democrazia progressiva a prescindere dal nodo dei rapporti sociali nella
produzione. Ciò che è necessario riconoscere è come la sconfitta Fiat segni sia
la <STRONG>sconfitta della classe operaia centrale</STRONG>, che perde sul
terreno della "resistenza", sia la <STRONG>sconfitta dell'operaio
sociale</STRONG>, che nella sua separatezza non si costituisce come
"autovalorizzazione", ma come valorizzazione capitalistica della forza lavoro
mobile e precaria contro la rigidità del settore centrale della classe. Ma
rispetto al '77 bisogna cogliere un'ulteriore modificazione. Oggi non ci si
limita più ad amministrare la divisione in "garantiti" e "non-garantiti".
Attraverso questa divisione si è arrivati a mettere in discussione tutto il
sistema delle "garanzie" politiche e sindacali. La tenaglia che dal 1974 ad oggi
ha governato la strategia offensiva del capitale si è chiusa intorno al corpo
centrale della classe.<STRONG> I tronconi del "lavoratore complessivo" si
trovano rigidamente separati, a combattere isolatamente gli uni dagli altri, ed
a volte gli uni contro gli altri. </STRONG></FONT></FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><STRONG><FONT size=4
face="times new roman,serif"></FONT></STRONG> </DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><STRONG><FONT size=4
face="times new roman,serif">2 - Il Caso FIAT</FONT></STRONG></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><STRONG><FONT size=4
face="Times New Roman"></FONT></STRONG> </DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4 face="times new roman,serif">La
vertenza Fiat è stata dunque uno scontro limitato dentro i confini aziendali e
dentro condizioni particolari, quali la crisi dell'auto, la ristrutturazione
tecnologica, l'eccesso di manodopera. Esso appare piuttosto come <STRONG>logica
conclusione di un</STRONG> <STRONG>processo</STRONG>, che affonda le sue radici
almeno in quel lontano 1974, in cui la prima massiccia Cassa Integrazione alla
Fiat segna l'inversione di tendenza nel ciclo delle lotte operaie degli anni
'60-'70. Ci sono voluti sette anni di trincea, c'è voluto l'aggiramento della
grande fabbrica attraverso la diffusione del lavoro nero, ci sono volute
innovazioni tecnologiche, modificazioni sostanziali del tradizionale ruolo di
partiti e sindacati, per sconfiggere l'irriducibilità della classe costituitasi
nel '69. Ci sono voluti il terrorismo e la legislazione speciale:
l'annientamento politico e militare dell'estrema sinistra. Di fronte a ciò
l'offensiva finale alla Fiat suona come una "verifica dei poteri". Si tratta di
una <STRONG>gigantesca redistribuzione di ruoli fra sistema d'impresa e stato,
fra Capitale e sindacato, fra sindacati e Partito Comunista.</STRONG> Ognuno di
questi verifica sull'altro la propria incidenza: tutti esercitano il proprio
potere sulla classe. </FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4 face="times new roman,serif">In
questa prospettiva l'offensiva Fiat era anche largamente prevedibile. Il
licenziamento dei “61” ne poneva le basi, attraverso un attacco verticale alla
composizione politica della classe, incidendo proprio su quel punto critico
costituito dal rapporto fra avanguardie, classe operaia e ceto politico piccista
e sindacale. Qui si era già manifestata la crisi della composizione politica
della classe che non era riuscita ad esprimere nulla d'alternativo alla
superficiale difesa sindacale e alla selezione forcaiola del PCI. Il “caso dei
61” ha quindi anticipato lo svolgimento dell'intera vicenda: fin dall'inizio la
regia era nelle mani degli Agnelli che hanno sapientemente condotto tutte le
fasi dell'offensiva. </FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4
face="times new roman,serif">Eppure lo svolgimento tattico dell'intera vertenza
lascia ancora spazio per un'analisi più approfondita. Perché, se qualcosa di
nuovo c'è stato, ciò riguarda il comportamento del PCI, più forse che quello
sindacale. La lunga estate di Berlinguer, la polemica con il PSI, il dissidio
tra PCI e vertici sindacali sullo 0,50%, sono da analizzare più
approfonditamente. Preannunciata dalla contestazione a Benvenuto da parte degli
"afghani" del PCI, la virata a sinistra attuata nell'estate-autunno 1980 dal
partito del compromesso, ha scompaginato definitivamente la "sinistra
extraparlamentare" e merita un'attenzione particolare. È evidente, ad esempio,
che la "ratio" interna di questa lotta non risiedeva a Torino, ma a Roma. Le
fasi dello scontro erano governate dalle strategie di avvicinamento e di
irrigidimento del PCI verso il governo e, soprattutto, dalla polemica con Craxi.
È stato già notato come il PCI abbia usato la lotta.<STRONG> Il PCI ha buttato
nel gran calderone della "politica" il peso della classe: l'ha sacrificata nella
lotta fra bande e</STRONG> <STRONG>corporazioni, in una battaglia
"squisitamente" politica per la ripartizione dei poteri.</STRONG> Ma c'è di più.
Qualcosa che in questa vertenza non appare chiaro, un senso di disagio nella
ricostruzione dei fatti, confermato dallo svolgimento del C.C. del PCI dopo la
fine della lotta. Come se tutto fosse preordinato fin dall'inizio, come se la
guerra Fiat non fosse che un gigantesco <STRONG>gioco di simulazione</STRONG>,
un war-game. D'altra parte, che lo scontro avesse un forte contenuto "simbolico"
è chiaro a tutti. Per la Fiat si trattava di riportare una vittoria "esemplare"
sulla rigidità operaia; per il sindacato si trattava di una "vertenza
simbolica", resa ancor più irreale dalla precedente impostazione del sindacato
[stesso]. Come dire che<STRONG> dopo aver permesso la ristrutturazione
tecnologica, dopo aver isolato il corpo centrale della classe dalla complessità
sociale, questo sindacato si batteva contro i licenziamenti.</STRONG> E tutto
ciò dopo che la FIAT aveva già effettuato quasi 1.300 licenziamenti sotterranei
di avanguardie, dal 1978 in poi. Che non si trattasse di "necessità industriali"
per un restringimento della base produttiva è dato scontato. La struttura stessa
del mercato del lavoro nella grande fabbrica torinese permette una certa agilità
di manovra, attraverso il blocco del turn-over, il prepensionamento, i
licenziamenti concordati. </FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT face="times new roman,serif"><FONT
size=4>Per la Fiat il problema non è mai stato quello di una semplice riduzione
quantitativa dell'organico, ma quello di una <STRONG>riduzione integrale della
forza-lavoro dentro un nuovo assetto, di relazioni industriali, che la facesse
finita con l'insubordinazione e l'autonomia nel processo produttivo.</STRONG> Da
qui la debolezza del sindacato, che su queste questioni era schierato
oggettivamente con la “Fiat”, tanto è vero che mentre la vertenza era in pieno
svolgimento, il sindacato lanciava una campagna forsennata contro l'assenteismo
all'Alfa-Sud. Ciò che era "naturale" aspettarsi fin dall'inizio era un accordo
bidone classico, che convergesse sulla questione della produttività, mascherando
in parte i licenziamenti. Ma è proprio questo che non avviene: <STRONG>il
sindacato, messo sotto pressione dal partito comunista, accetta lo scontro
frontale e simbolico.</STRONG></FONT></FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4
face="times new roman,serif"></FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><STRONG><FONT size=4
face="times new roman,serif"></FONT></STRONG> </DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><STRONG><FONT size=4
face="times new roman,serif">3 - Il PCI alla Fiat</FONT></STRONG></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><STRONG><FONT size=4
face="Times New Roman"></FONT></STRONG> </DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4 face="times new roman,serif">Qui
la questione non è tanto limpida, a meno di non credere a un Berlinguer che dopo
dieci anni di compromesso storico riscopre la "centralità della classe operaia".
Anche se a "Il Manifesto" e a DP ciò pare possibile, a noi sembra totalmente
privo di senso. E in questa direzione, il dibattito tenutosi immediatamente dopo
la sconfitta, che conferma la sostanziale continuità della "linea Berlinguer"
sul compromesso, ci sembra togliere spazio a qualsiasi illusione. Certo è che
invece la "svolta" del PCI nell'estate-autunno del 1980 contribuisce a rendere
ancor più carica di simboli la vertenza. Quest'inversione provoca un'improvviso
rovesciamento dei ruoli classici instaurati fra PCI, sindacato e classe operaia
torinese. Francesco Ciafaloni, in uno dei più lucidi interventi sulla sconfitta
Fiat, così descrive la situazione creatasi nella classe a Torino in quei giorni.
"I torinesi, che hanno il problema in casa e sono abituati a camminare inclinati
quarantacinque gradi a sinistra per reggere il richiamo delle confederazioni, e
che hanno anche loro una forte tendenza a caricare di simboli la vertenza –
perché la centralità emblematica della Fiat è anche la loro centralità –-
restano di colpo senza contrappeso: si trovano di nuovo sostenuti dal loro
partito, che li ha dispersi e percossi" (Il Manifesto 25.10.1980). Priva di
contrappeso la classe operaia torinese si trova lanciata a tutta velocità contro
il "muro" Fiat. Il PCI riacquista dopo anni un ruolo centrale
nell'organizzazione della lotta. Ritorna un clima e una cultura
vetero-comunista. Anche ciò contribuisce a rendere irreale la lotta.
</FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4 face="times new roman,serif">Il
soggetto sociale che regge lo scontro è un soggetto sociale "vecchio". Vecchio
come composizione prima che politicamente. È come se tutti i <STRONG>nuovi
soggetti emersi nelle lotte dell'estate '79</STRONG> – che avevano allora
impegnato al livello più alto la lotta dentro i nuovi processi produttivi,
dentro l'automazione e l'informatizzazione dell'azienda – operassero invece
adesso una sorta di "delega" verso la vecchia composizione di classe. Una
composizione rigida, sì, ma rigida in difesa. Non a caso<STRONG> la lotta non
percorre l'articolazione produttiva</STRONG>, come nel '79, non è guerriglia
dentro la produzione, ma guerra di trincea contro il "padrone". Una guerra che
nei “picchetti ad oltranza” trova la sua rappresentazione simbolica, ma anche,
oggi, la sua maggior debolezza. Assistiamo ad <STRONG>una divaricazione pazzesca
fra composizione tecnica e politica della classe.</STRONG> Eravamo abituati a
veder marciare insieme questi due aspetti: oggi invece di fronte ad una
composizione tecnica mutata, modernamente razionalizzata dall'introduzione
dell'automazione, della cibernetica, della flessibilità delle lavorazioni,
troviamo<STRONG> una composizione politica anni '50, egemonizzata dal Partito
prima che dal sindacato.</STRONG> Come dire che la coscienza politica è posta
fuori dalla fabbrica, esternamente ai rapporti di produzione, e a questo punto
deve fare i conti con una <STRONG>società "normalizzata", con la cappa di piombo
calata da alcuni anni sulla società civile, grazie anche e soprattutto alla
politica di pacificazione sociale condotta dal PCI.</STRONG> </FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4
face="times new roman,serif">Mancano dunque i protagonisti dell'estate del '79,
mancano anche tutti gli altri: i soggetti sociali delle lotte sulla casa degli
anni '70, il proletariato urbano delle donne, gli studenti.<STRONG> La classe si
trova da sola</STRONG>, come negli anni '50: lo sciopero nazionale riesce
nell'industria, ma fallisce al sud, nel pubblico impiego nei servizi. Per non
parlare poi dei "non garantiti", dei disoccupati del proletariato giovanile,
totalmente estraneo alla vicenda. </FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4
face="times new roman,serif">L'<STRONG>occupazione</STRONG>, che avrebbe
riportato a Torino il clima necessario ad una nuova ricomposizione, un
laboratorio prezioso per la classe intera, viene accuratamente evitata. In
compenso, <STRONG>il picchettaggio esterno logora la classe in un impegno
puramente politico e simbolico.</STRONG> Scontato il finale: i “40.000”
rappresentano l'emergenza di un blocco sociale della cui entità tutti erano
consapevoli. Improvvisamente lo scontro si trasforma in una rotta, viene siglato
l'accordo, peggiore quasi della prima proposta Fiat; il PCI, da nerbo d'acciaio
della lotta, diventa il principale accusatore della classe, a cui rimprovera,
dopo 35 giorni di lotta, di non "rispettare la civile convivenza nelle
assemblee!"</FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><STRONG><FONT size=4
face="times new roman,serif"></FONT></STRONG> </DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><STRONG><FONT size=4
face="times new roman,serif">4 - Il sindacato dei consigli</FONT></STRONG></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><STRONG><FONT size=4
face="Times New Roman"></FONT></STRONG> </DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4 face="times new roman,serif">Se
alla chiusura delle vertenze facciamo i conti in tasca ai protagonisti sociali e
politici troviamo che la Fiat ha ottenuto più di quanto aveva inizialmente
richiesto, non solo perché i licenziamenti sono subordinati alle sorti
dell'azienda, ma soprattutto perché ciò che ha ottenuto l'ha conquistato con una
vittoria campale sul sindacato, ridimensionandone così il potere. <STRONG>Gli
operai torinesi, oltre a perdere 60 miliardi di salari, vedono irrimediabilmente
compromesso il proprio potere in fabbrica.</STRONG> Inutile farsi illusioni: gli
operai posti fuori dalla Fiat sono ormai fuori dal tessuto sociale della
fabbrica, i “gruppi omogenei” difficilmente reggeranno la controffensiva dei
"capi" e della gerarchia di fabbrica. I capi, dal canto loro, si trovano al
centro di un processo sociale restaurativo che ha già degli interlocutori
nell'area laico-socialista e verso cui il PCI sta già reimpostando una strategia
d'avvicinamento. La sconfitta diventa una palla che PCI e sindacato fanno
rimbalzare fra di loro, finché rimane in mano al protagonista materiale della
lotta: il sindacato dei consigli. </FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4 face="times new roman,serif">È
questa del sindacato dei consigli una "vexata questio" della sinistra italiana.
Fiore all'occhiello del sindacato, bestia nera dei burocrati, il sindacato dei
consigli nasce nel '69 sulla scorta della più grande operazione giacobina mai
lanciata dal PCI nei confronti del movimento operaio, perché – è bene ricordarlo
in questo periodo di memorie e pentimenti – <STRONG>l'Autunno caldo</STRONG>
nacque e si sviluppò all'esterno della struttura sindacale. "Siamo tutti
delegati" non fu slogan studentesco, come molti oggi vorrebbero, ma espressione
alta di una <STRONG>spontaneità operaia costituitasi fuori e contro il
sindacato.</STRONG> Il sindacato dei consigli venne dopo, come prima<STRONG>
istituzionalizzazio<WBR>ne di un'esperienza</STRONG> – dio ci perdoni –<STRONG>
anti-istituzionale e rivoluzionaria</STRONG>. Esso fu la prima mediazione fra il
nuovo movimento e il vecchio movimento operaio, fra il '68-'69 e i grigi anni
'70. </FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4 face="times new roman,serif">A
distanza di dieci anni, anche questa esperienza consiliare era diventata
inconciliabile al clima di nuove compatibilità espresse nella strategia del
compromesso storico. Se andiamo a rileggere la storia di questi anni del
compromesso, risulta evidente come la linea del PCI si sia infranta
metodicamente su due scogli alla sua sinistra, fra i tanti che aveva alla sua
destra. Essi erano da una parte <STRONG>il movimento dei “non
garantiti”</STRONG>, dall'altra la<STRONG> rigidità operaia ad accettare la
linea dell'Eur, rigidità consolidatasi nei consigli, ultima espressione, sia pur
mediata, di una volontà assembleare della classe. </STRONG>Per sconfiggere il
"movimento" è stata necessaria la più selvaggia campagna di repressione che si
sia mai abbattuta su un movimento di sinistra europeo dal dopoguerra ad oggi.
<STRONG>Per sconfiggere il sindacato dei consigli è stato necessario simulare
una lotta per gestirne la sconfitta.</STRONG> È questa la sostanza politica del
"caso Fiat", sostanza confermata dal successivo dibattito al C.C. del PCI, dove
un caso come quello della Fiat è passato quasi indolore nel dibattito.
</FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4 face="times new roman,serif">La
“linea-Amendola” contro cui si levarono gli scudi di tutta la sinistra, è oggi
oggettivamente passata in modo quasi indolore nel dibattito. Ed è passata non
nella rigida staliniana contrapposizione fra Partito e Classe, come proponeva
Amendola, ma nella più aggirante strategia compromissoria del gesuita
Berlinguer. Il PCI s'è di fatto limitato ad abbandonare alla sua dinamica
interna, alla forza d'inerzia che ancora esprimeva, il soggetto sociale della
Fiat. Soggetto che esprimeva sì una composizione di classe vecchia sul piano
della ristrutturazione interna del ciclo di fabbrica e della nuova
stratificazione del mercato della forza-lavoro, ma che ancora rappresentava
l'ostacolo più "scomodo" per la razionalizzazione che il PCI tende ad introdurre
nei meccanismi produttivi del capitale in Italia. Così, da parte comunista si è
assistito cinicamente alla sconfitta di un intero comparto di classe che andava
consumando fino in fondo la sua esperienza e la propria valenza politica. Un
soggetto che era stato il centro della "trasformazione" e delle aspettative di
comunismo nell'Italia dagli anni '60 agli anni '70, e che ora consumava da solo
la propria distruzione. </FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4 face="times new roman,serif">Il
PCI, d'un sol colpo, raggiungeva due obiettivi: si riaccreditava come "il
partito operaio" e contemporaneamente liquidava definitivamente ogni variabile
"impazzita" alla sua sinistra. Dimostrava, attraverso la sconfitta della linea
“massimalista” la giustezza della sua impostazione “revisionista”<WBR>. Certo
l'operazione ha costi enormi: ma il PCI da anni non fonda più la sua forza sulla
forza operaia. Anzi,<STRONG> la forza del PCI è inversamente proporzionale alla
forza della classe. Il partito è l'amministratore della "passività", non
dell'azione di classe. Sgombrato il campo da quella variabile impazzita
costituita dal sindacato dei consigli, in quanto residua espressione
dell'autonomia decisionale della classe, il PCI può riaccreditarsi come partito
di tutta la classe, in vista di una nuova fase di compromesso e di nuovi
equilibri. </STRONG>Sullo spazio, ormai normalizzato della società, oggi la
"politica" del "compromesso" può ritornare al gioco delle parti, può
amministrare la complessità sociale senza correre il rischio di un deficit di
legittimazione. Di più, si può dire solo che il PCI ha fatto più danni nella sua
breve estate d'opposizione, che in tutti gli anni di compromesso.</FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4
face="Times New Roman"></FONT> </DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><STRONG><FONT size=4
face="times new roman,serif">5 - I “40.000”</FONT></STRONG></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><STRONG><FONT size=4
face="Times New Roman"></FONT></STRONG> </DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4 face="times new roman,serif">La
lotta Fiat è ben lungi da costituire una sconfitta aziendale: costituisce la
<STRONG>sconfitta di un "soggetto sociale"</STRONG>, della possibilità stessa di
formazione di un soggetto sociale antagonista fuori e contro la legge della
valorizzazione capitalistica. È in questa prospettiva che va colto il fenomeno
dei 40.000. L'estrema sinistra tende invece a sottovalutarlo o a ridurlo a
semplice movimento "reazionario" dei capi. <STRONG>I 40.000 non sono solo capi,
ma anche operai ed impiegati.</STRONG> Sono la punta emergente di una
trasformazione sociale che avviene dentro il lavoro produttivo. All'origine vi
sono cause diverse: dalla vecchia e reazionaria collocazione anti-operaia dei
capi e dei guardiani, alla dequalificazione e delegittimazione del comando che
ha investito settori di impiegati e capi, dopo l'automazione e informatizzazione
di alcune linee di montaggio. Vi è anche la nuova gerarchia di fabbrica, tecnici
adibiti a funzioni di controllo e di supervisione alle linee automatizzate ed ai
robot. Qui si vanno a saldare <STRONG>le campagne per una maggior qualificazione
e per una maggior diversificazione salariale. Si saldano non sul versante
riformista, ma su quello della subalternità integrale al comando
capitalista.</STRONG> Destino forse immutabile della classe: se la soggettività
non diventa rivolta collettiva, movimento contro la legge del valore-lavoro,
essa sarà invece richiesta di valorizzazione della propria forza-lavoro
individuale all'interno della scala gerarchica capitalista. </FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4
face="times new roman,serif">L'operaio come merce, altro che la società dei
"produttori" di Trentin! Il dato nuovo è però nel fatto che <STRONG>questa
"subalternità" oggi si organizza soggettivamente contro il resto della
classe.</STRONG> Acquista dignità "politica", e trova interlocutori, nell'area
socialista di Craxi, nella Confindustria, ma anche nel PCI. Ecco come Aris
Accornero risponde a una domanda postagli dal "Manifesto" sulla collocazione
politica dei capi: "...devo dirti che i capi a me sembrano più vicini al PCI che
al sindacato. Loro criticano il sindacato, ma non è una critica qualunquistica:
nel sindacato non trovano alcune ragioni che trovano invece nel partito
comunista (...). Questo conferma la mia ipotesi: si tratta di uno strato sociale
che ha ascendenze politiche e ideologiche che non ci sono antitetiche. Per dirla
in termini semplici: i capi non sono necessariamente nemici, dipende da noi
portarli o meno dalla nostra parte, capire le loro esigenze." (“Il Manifesto”,
26 novembre 1980). Ancora una volta il partito come istanza politica contro un
sindacato eccessivamente dominato dall'"operaismo ingenuo". </FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4 face="times new roman,serif">I
40.000 della "Fiat-sana-che-<WBR>lavora" alla fine hanno molti più punti di
contatto con il PCI del "giusto profitto", dell'"equo riconoscimento delle
capacità professionali", dell'"efficientismo aziendale" e della "moralizzazione
della cosa pubblica", che non con il sindacato dei consigli, dove un quadro di
"operatori sindacali" più o meno attraversati dal '68-'69, più o meno legati
alla "nuova sinistra", esprimevano ancora rigidità e intolleranza verso la linea
dell'"Eur" e la normalizzazione sociale. I 40.000 non rappresentano oggi la
"vandea piccolo borghese" da sempre usata storicamente dal padronato contro la
classe operaia. Qui siamo davanti a settori di classe operaia che si sono
riciclati dentro il processo produttivo, andandosi a funzionalizzare
definitivamente dentro il processo di accumulazione capitalistica. Sono lavoro
vivo soggettivamente incorporato nel lavoro-morto, nel sistema di macchine che
esprime la razionalità del Capitale. Non si tratta né di aristocrazia operaia,
né di "nuova professionalità": qui siamo di fronte al fatto che è l'ideologia
del capitale stesso a far presa nel corpo di classe. <STRONG>Questo settore
sociale di “disgraziati” che ricercano una propria identità non nella lotta, ma
nel lavoro, nella gratificazione di sentirsi parte di una macchina collettiva
finalizzata alla riproduzione sociale capitalista: sono questi i "nuovi lumpen"
della società post-tayloristica, gli uomini senza qualità su cui oggi può
nascere l'ipotesi di una società totalmente organizzata dal Capitale.</STRONG>
Si tratta di vedere chi per primo sarà il “portavoce politico” di questa
soggettività, se il “laburista” Craxi o "il real-socialista" Berlinguer. E se
per il PSI e parte del padronato si tratta di giocare questo strato sulla linea
dell'"anticomunismo viscerale", per il PCI occorre invece porli al centro di un
"blocco storico" produttivo contro l' "immoralismo" democristiano. </FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4 face="times new roman,serif">Siamo
di fronte, oggi, da parte comunista, al tentativo di definire un "laboratorio
sociale" per un modello di comunismo che è ancora una volta quello
dell'"agiografia" più becera dell'armamentario teorico del PCI: <STRONG>la
società dei produttori, l'etica del lavoro abbinata ad un'equa ripartizione
della ricchezza sociale in chiave di efficientismo e di qualificazione</STRONG>.
Il PCI, nel dopo-Fiat, si misura direttamente su questa "nuova soggettività",
certo teoricamente a lui più vicina di quanto non lo siano gli "operai
incazzati", i giovani proletari, le nuove leve operaie della stessa Fiat, da
Adalberto Minucci definite il "fondo del barile". D'altronde, l'intero PSI, con
Craxi in testa e Benvenuto quinta colonna sindacale, sta sviluppando questa
cultura della crisi, cinica e “laburista”, in grado di compattare un blocco
sociale "razionalizzatore" e laicamente inserito nello "Stato delle
Corporazioni". Il rischio è oggi che il "movimento dei 40.000" si estenda, al di
là della sua composizione sociale originaria, verso strati rilevanti di vera e
propria classe operaia. Una classe a cui il PCI e il sindacato hanno fatto
comprendere di persona "l'inutilità della lotta", e che oggi spingono verso
nuove forme di integrazione sociale.</FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4
face="Times New Roman"></FONT> </DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><STRONG><FONT size=4
face="times new roman,serif">6 - Soggettività ed
automazione</FONT></STRONG></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><STRONG><FONT size=4
face="Times New Roman"></FONT></STRONG> </DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4 face="times new roman,serif">In
questo processo di <STRONG>atomizzazione del lavoratore collettivo</STRONG>, la
diversificazione salariale e professionale comporta una<STRONG> nuova
organizzazione capitalista del "sapere operaio".</STRONG> Una nuova
organizzazione dei saperi individuali in un'organizzazione funzionale allo
sviluppo tecnologico del Capitale. Qui è il capitale stesso a sviluppare una
<STRONG>“cultura del soggetto”</STRONG>: l'operaio non più come "oggetto inerte"
ed appendice delle macchine, ma come soggetto produttivo integrato nella
fabbrica automatica ed informatica. Per questo la vertenza Fiat ha assunto una
caratteristica generale: l'offensiva punta a rimuovere non solo la rigidità
quantitativa della forza lavoro, ma anche la sua rigidità qualitativa, la sua
autonomia. </FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT face="times new roman,serif"><FONT
size=4><STRONG>Nella fabbrica taylorista le lotte dell'operaio-massa avevano
scoperto come ribaltare la struttura del lavoro alla catena contro
l'organizzazione capitalistica della produzione.</STRONG> La rigidità della
catena diveniva rigidità operaia, attraverso tutto un processo di articolazione
della lotta in grado di scoprire le debolezze del sistema tayloristico di
produzione. L'operaio ridotto ad "oggetto" dall'organizzazione capitalistica del
lavoro, scopriva una propria "soggettività antagonista" fuori e contro
quest'organizzazione. Con l'introduzione alla Fiat, ad esempio, del sistema
"Digitron", basato su sistemi automatici di produzione e su una fitta rete di
"informazioni" elaborate elettronicamente, cambia totalmente la posizione
dell'operaio rispetto alla produzione. <STRONG>Alcuni spezzoni del piano di
produzione devono essere gestiti dal basso, e d'altronde è necessaria una
"cooperazione" fra lavoro operaio e intelligenza produttiva cristallizzata nel
sistema di macchine.</STRONG> Senza addentrarci nell'analisi complessiva della
fabbrica post-tayloristica, analisi che richiederebbe altro tempo ed altro
spazio, quello che ci preme sottolineare sono alcuni aspetti immediatamente
politici. Il nodo centrale ci sembra quello di questa nuova
<STRONG>“soggettività integrata”</STRONG>, di questa “politicizzazione in
negativo” di cui i 40.000 rappresentano, a nostro avviso, solo un'avvisaglia.
</FONT></FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT face="times new roman,serif"><FONT
size=4>La fabbrica post-tayloristica ha dunque bisogno di un nuovo rapporto fra
sistema produttivo e lavoro. Ha bisogno di una ridefinizione del lavoro non in
contrapposizione al sistema di macchine, ma socialmente integrato ad esse. Ha
bisogno cioè di una "cooperazione", di una partecipazione soggettiva alla
produzione, superiore a quella della "catena" taylorista. Essa richiede
uno<STRONG> sfruttamento complessivo della forza-lavoro: non più solo estorsione
di lavoro fisico, ma un inglobamento del soggetto nella produzione, come fattore
"intelligente" accanto all'intelligenza oggettivata nel sistema di macchine.
</STRONG></FONT></FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4 face="times new roman,serif">La
rottura della rigidità della catena è nello stesso tempo rottura della rigidità
operaia di un intero mondo di rapporti sociali costituitosi in decenni di lotte,
di trasformazioni e di potere operaio nella produzione. È un <STRONG>processo di
spaccatura verticale del corpo di classe, su cui inizia ad incidere direttamente
l'ideologia capitalista.</STRONG> Un processo che a partire dalla trasformazione
dei rapporti materiali di produzione, tende a riproporre una “logica aziendale”.
Una logica attraverso cui il profitto diventa il fine supremo intorno a una
società civile trasformata in società- fabbrica. A partire dalle microcellule
produttive, dagli operai, fino al tentativo di razionalizzazione complessiva
dello Stato come fabbrica-del-<WBR>piano. (E qui bisogna valutare una certa
simpatia di [alcuni] gruppi capitalistici privati verso i modelli del
“socialismo industriale” che si spingono ben al di là dello scenario attuale
della guerra fredda). </FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4 face="times new roman,serif">È in
questo quadro che muta il <STRONG>soggetto rivoluzionario</STRONG>.
Modificazione che avviene direttamente dentro i rapporti di produzione, e non
all'inverso nella soggettività astratta dell'ideologia, come sembrano credere i
teorizzatori del “ritorno al privato” e del “riflusso”. La storia di questi
dieci anni è la storia delle trasformazioni del soggetto a partire dai rapporti
di produzione. Questo ci ha permesso in passato di fondare una<STRONG> critica
della politica</STRONG> a partire dai rapporti di produzione, dalla forma cioè
del rapporto operai-capitale dentro il sistema sociale capitalista. Questo ci
può permettere oggi di formulare una <STRONG>critica del “soggetto” fondata
materialisticamente</STRONG>, adeguata alla trasformazione sociale e produttiva
in atto. In altri termini, oggi il "soggetto" non è la libertà della politica
contrapposta alla "necessità" dell'economia, né tanto meno la volontà
rivoluzionaria pura. <STRONG>Il soggetto non esiste che dentro rapporti di
produzione</STRONG>; è funzione di questi rapporti, che ne costituiscono il suo
limite e la sua oggettività. Qui è tutta la scoperta marxiana della
<STRONG>"duplicità della forza-lavoro"</STRONG>; forza di valorizzazione del
Capitale, da un lato, agente storico sociale, autonomia, dall'altro.
</FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4 face="times new roman,serif">Oggi,
il Capitale tenta di governare entrambi i lati di questa soggettività.
<STRONG>Tenta di ridurre la "soggettività" in "partecipazione attiva" al
processo di accumulazione capitalista.</STRONG> La rigidità classica della
forza-lavoro ha subito alla Fiat un duro colpo. Il Capitale avrà per un dato
periodo di tempo mano libera.<STRONG> </STRONG>Per un periodo di tempo, non
sappiamo ancora quanto lungo,<STRONG> l'attività sarà sotterranea: la classe non
riuscirà ad esprimere una "soggettività antagonista complessiva".</STRONG>
</FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT face="times new roman,serif"><FONT
size=4><STRONG>Mai come oggi è necessario passare attraverso la produzione,
attraverso i suoi mutamenti, le tecnologie e le nuove strutture di relazioni
aziendali. Passarci attraverso per comprendere dove la classe può trovare punti
per sviluppare una nuova strategia offensiva.</STRONG> Si tratta di saper
ricostruire una "teoria del soggetto" a partire dai rapporti di produzione e
dalla loro trasformazione. Si tratta di anticipare le mutazioni indotte dallo
sviluppo capitalistico. <STRONG>Non basta più giocare la complessità del sociale
contro la rigidità del sistema. Perché ormai il sistema conosce queste regole:
la complessità, la molecolarizzazione del movimento costituiscono nuove forme di
“governo sociale”. Nessun movimento “parziale” riuscirà a vincere oggi, perché
la parzialità ne sarà il limite insormontabile. </STRONG></FONT></FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT face="times new roman,serif"><FONT
size=4>Con la sconfitta alla Fiat sono crollate una serie di ipotesi intermedie:
si annulla la strategia di un settore del sindacato – specie nella CISL – di
portare avanti un sindacalismo duro, “all'americana”, perché la rigidità della
forza lavoro è ormai compromessa dall'interno e non esistono più le condizioni
per una "americanizzazione" dello scontro. Altre cose spariscono, subiscono un
riflusso, ma non vengono sconfitte completamente. Noi crediamo che i nuovi
comportamenti emersi alla Fiat, ad esempio nelle lotte del '79 non siano stati
liquidati, né sia possibile liquidarli del tutto. Perché essi non erano dentro
la sconfitta dell'autunno '80. <STRONG>Ciò che viene liquidata è la cerniera fra
il movimento operaio degli anni '60-70 e la tradizione della "Sinistra". Come
dire che quella che viene sconfitta definitivamente è l'ipotesi che aveva
guidato l'agire dei gruppi extraparlamentari, dalla sinistra sindacale ad alcune
esperienze dell'“autonomia organizzata”. </STRONG></FONT></FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT face="times new roman,serif"><FONT
size=4>Se ora spostiamo l'analisi sulla composizione di classe, sembra di
vedere, al di là del fumo della sconfitta, una nuova configurazione, quantomeno
lo scenario possibile per un nuovo ciclo di lotte operaie. Perché, <STRONG>se vi
sarà un prossimo "movimento", essa non riguarderà più la "difesa della
forza-lavoro", ma metterà in discussione la struttura stessa del lavoro: dovrà
misurarsi non più con il comando e la gerarchia di fabbrica, ma con il sapere
incorporato nelle macchine</STRONG>, con l'intelligenza produttiva immessa
direttamente nel ciclo produttivo dalla nuova organizzazione del lavoro. Le
lotte del '79 riguardano questo livello dello scontro, e non altri. Lotte che si
svolgono direttamente nella produzione, dentro quell'insieme di automazione e
cibernetica applicata allo sfruttamento complessivo dell'operaio, che
costituisce la struttura attuale della produzione capitalista; lotte che
richiedono un "soggetto" nuovo, una capacità soggettiva di essere "fuori" da
tutti i meccanismi d'integrazione sociale.<STRONG> Se il Capitale sviluppa una
"cultura del soggetto", un'integrazione della forza lavoro, in quanto soggetto,
nella produzione, allora l'alternativa radicale è "chiamarsi fuori" del tutto,
come individuo sociale non più mediato dalla dialettica
lotta-ristrutturazi<WBR>one-lotta. La costituzione di un "soggetto sociale"
nella produzione che non è più solo "antagonismo" e "rigidità", ma che comincia
ad essere comunismo. Costruzione pratica di una società altra, rispetto a quella
del Capitale. </STRONG></FONT></FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT size=4 face="times new roman,serif">Oggi,
questa estraneità è vissuta ancora in termini negativi di marginalità
auto-distruzione e penuria. Si tratta di ribaltarla nella ricchezza di una
"società civile proletaria" contro lo Stato del Capitale. In questo la lotta
"polacca" contiene un insegnamento, al di là delle differenze di situazione, e
di composizione di classe. Di fronte a una società politica e a rapporti di
produzione organizzati in modo totalitario, l'alternativa radicale è quella
della costruzione di una società civile antagonista, di una <STRONG>totale
estraneità alla dialettica del potere</STRONG>. La forza dell'estate polacca, al
di là delle mediazioni svolte dalla Chiesa e da settori del partito, è stata
questa <STRONG>"illegalità" di massa</STRONG>. Una strategia della
contro-società<WBR>, che svuota di senso politico l'organizzazione totalitaria
del potere. Ciò che ormai appare evidente, è che<STRONG> non si può più
concepire la lotta nei termini "leninisti" del “potere-contropotere”<WBR>, dello
Stato e dell'Antistato. O si riesce a contrapporre alla miseria del capitalismo
la ricchezza dispiegata di una progettualità sociale superiore, oppure
l'alternativa sarà ancora per molti anni la barbarie.</STRONG> Una barbarie in
cui la combinazione di "capitalismo" e "socialismo", al di là della simulazione
di una catastrofe continuamente rinviata, sarà l'uguaglianza dell'oppressione.
</FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT face="times new roman,serif"><FONT
size=4><STRONG>Se il salto tecnologico e scientifico, che già appare
prepotentemente oggi, viene gestito nella "forma capitalistica di produzione",
nessuna forza riformista, nessun compromesso potrà evitare "l'apocalisse" di una
società totalmente organizzata dal capitale.</STRONG> Già in questi dieci anni
qualcosa è emerso, ma troppo presto riassorbito da ipotesi politiche logorate,
da progetti legati ad una tradizione che ora appare definitivamente liquidata.
Ancora una volta il Capitale ha alzato il livello dello scontro, è stato
costretto a modificazioni radicali della sua struttura e composizione della
lotta operaia. Oggi ha l'iniziativa in mano. Non potrà tenerla troppo a
lungo.</FONT></FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: justify"><FONT
face="times new roman,serif"><BR></FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: right"><STRONG><FONT size=4
face="times new roman,serif">" CE N'EST QU'UN DEBOUT CONTINUONS LE
COMBAT"</FONT></STRONG></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: right"><FONT face="times new roman,serif"><BR><FONT
size=4></FONT></FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: right"><FONT size=4 face="times new roman,serif">Roma
1°/XII/'80</FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: right"><FONT face="times new roman,serif"><BR><FONT
size=4></FONT></FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: right"><FONT size=4 face="times new roman,serif">Per la
redazione di Roma di</FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: right"><FONT size=4
face="times new roman,serif">"Collegamenti - per l'organizzazione diretta di
classe"</FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: right"><FONT size=4 face="times new roman,serif">Marco
Melotti</FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: right"><FONT size=4 face="times new roman,serif">Franco
Lattanzi<BR clear=all></FONT></DIV>
<DIV style="TEXT-ALIGN: right"><FONT face="times new roman,serif"><BR>--
<BR><FONT size=4>Les Mauvais Jours Finiront - <A
href="http://mondosenzagalere.blogspot.com/">http://mondosenzaga<WBR>lere.blogspot.<WBR>com/</A><BR></FONT></FONT></DIV>
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