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style="FONT-FAMILY: Courier New; COLOR: navy; FONT-SIZE: 14pt; FONT-WEIGHT: bold"><FONT
color=#000000 size=3><FONT face="Times New Roman">Non voglio nobilitare il mio
eterno copia-incolla. Tuttavia ritengo molto meritorio il lavoro di questi
compagni. La storia militante, sempre utile, diventa preziosa in questa fase di
crisi del capitalismo cognitivo per contrastare l'immaginario prodotto - mai in
modo tanto massiccio - dai media, dalla pubblicità, dal mito dell'individualismo
proprietario ecc. E per favorire, nell'attuale frammentazione e scomposizione
della forza lavoro, la produzione di soggettività orientate alla lotta e
all'esodo dalla società del capitale e un processo di ricomposizione della
moltitudine precaria e di quanto resta dei lavoratori/trici della fase
industriale-fordista. E' il compito prioritario del presente, considerata la
faticosità e il ritardo di percorsi di costruzione di una nuova coscienza di
sfruttati/e, anche se stanno aumentando episodi di conflitto e scontro, e
testimonianze del recupero di un orizzonte anticapitalista, da Pomigliano alla
gente dell'Aquila. <BR>Fatte le debite proporzioni e registrate le differenze di
prospettiva teorico-politica, il "non dimenticare" dei compagni
internazionalisti si colloca nella stessa linea della riproposizione della
rivista «Primo Maggio» da parte di DeriveApprodi.<BR>Comunque, ben pochi nel '62
avevano la chiarezza e il rigore che sottendono il racconto e la valutazione
della rivolta di Piazza Statuto.<BR>Perdonate il grassetto: non riesco a
toglierlo con gli escamotage che conosco.<BR><BR>enrico</FONT></DIV>
<DIV>
<DIV> </DIV>
<DIV> </DIV>
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href="http://www.deriveapprodi.org/estesa.php?id=393&stato=prossime_uscite">http://www.deriveapprodi.org/estesa.php?id=393&stato=prossime_uscite</A></FONT></DIV>
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style="FONT-FAMILY: Courier New; COLOR: navy; FONT-SIZE: 14pt; FONT-WEIGHT: bold">CIRCOLO
DI INIZIATIVA PROLETARIA GIANCARLO LANDONIO</SPAN></SPAN> </DIV>
<DIV><BR><SPAN style="COLOR: black; FONT-SIZE: 14pt"></SPAN></DIV><SPAN
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<P style="MARGIN: 0cm 0cm 0pt" class=MsoNormal><SPAN
style="FONT-SIZE: 14pt"><SPAN
style="FONT-FAMILY: Courier New; COLOR: navy; FONT-SIZE: 14pt; FONT-WEIGHT: bold">VIA
STOPPANI,15 -21052 BUSTO ARSIZIO –VA-</SPAN> <SPAN
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<P></P>
<P style="MARGIN: 0cm 0cm 0pt" class=MsoNormal><SPAN
style="FONT-SIZE: 14pt"><SPAN
style="FONT-FAMILY: Courier New; COLOR: navy; FONT-SIZE: 14pt; FONT-WEIGHT: bold">(Quart.
Sant’Anna dietro la piazza principale)</SPAN> <SPAN
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<P></P>
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style="FONT-FAMILY: Courier New; COLOR: navy; FONT-SIZE: 14pt; FONT-WEIGHT: bold">e-mail:
<A href="mailto:circ.pro.g.landonio@tiscali.it" target=_blank><SPAN
style="FONT-FAMILY: Times New Roman; FONT-SIZE: 14pt; FONT-WEIGHT: normal">circ.pro.g.landonio@tiscali.it</SPAN></A></SPAN></DIV>
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<SPAN style="FONT-SIZE: 14pt; FONT-WEIGHT: bold">Archivio docum. storici di
classe </SPAN><BR><SPAN style="FONT-FAMILY: Arial; FONT-SIZE: 9.5pt"><BR><IMG
alt="" src="http://www.militant-blog.org/wp-content/uploads/2009/01/paris68.jpg"
width=518 height=386> <BR></SPAN>
<DIV id=blogdateheader><SPAN style="FONT-WEIGHT: bold">mercoledì, 06 luglio
2005</SPAN><BR style="FONT-WEIGHT: bold"><SPAN
style="FONT-WEIGHT: bold">reprint. luglio 2010</SPAN><BR>dal blog:
..
<H3 class=r><A class="l vst"
href="http://www.google.it/url?sa=t&source=web&cd=1&ved=0CBkQFjAA&url=http%3A%2F%2Flotteoperaie.splinder.com%2F&ei=wJw0TIKMOJGTOOTO0JcC&usg=AFQjCNEatvRbCOg2BeUl9wslMQybL8O96Q&sig2=pfAqwK7FoZLTG2Nl24U8yw"
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style="FONT-STYLE: italic">Lotte operaie</SPAN></A></H3>.<SPAN
style="FONT-WEIGHT: bold">contro la schiavitù salariale</SPAN><BR>
<H3 class=r><A class=l
href="http://www.google.it/url?sa=t&source=web&cd=1&ved=0CBUQFjAA&url=http%3A%2F%2Flotteoperaie.splinder.com%2Fpost%2F5219182&ei=aZw0TIx62JI45p_chQI&usg=AFQjCNFwb6rMiIaQULTANRSwAALrzoqWwg&sig2=aMWtHjgofW-LYsOV3p2muA"
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style="FONT-STYLE: italic">La rivolta operaia di piazza Statuto del 1962</SPAN>
| <SPAN style="FONT-STYLE: italic">Lotte operaie</SPAN></A></H3>
<DIV class=r><FONT face="Times New Roman"></FONT> </DIV>
<DIV class=r>Lo sciopero riesce in pieno. “All’esterno di Mirafiori e di altre
fabbriche vi furono violenti scontri dopo che i picchetti, bloccate le entrate,
rovesciarono delle macchine e picchiarono alcuni dirigenti senza che la polizia
riuscisse a controllare la situazione. Nel corso della mattinata si sparse la
voce che la Uil e la Sida, il sindacato “giallo” padronale, avevano raggiunto un
accordo separato con la direzione Fiat: in seguito a ciò 6-7.000 operai,
esasperati da questa notizia, si riunirono nel pomeriggio in piazza Statuto di
fronte alla sede della Uil. Per due giorni la piazza fu teatro di una
straordinaria serie di scontri tra dimostranti e polizia: i primi, armati di
fionde, bastoni, e catene, ruppero vetrine e finestre, eressero
rudimentali barricate, caricarono più volte i cordoni della polizia; la seconda
rispose caricando le folle con le jeep, soffocando la piazza con i gas
lacrimogeni, e picchiando i dimostranti con i calci dei fucili. Gli scontri si
protrassero fino a tarda sera, sia sabato 7 che lunedì 9 luglio 1962. Dirigenti
del Pci e della Cgil, tra i quali Pajetta e Garavini, cercarono di convincere i
manifestanti a disperdersi, ma senza successo. Mille dimostranti furono
arrestati e parecchi denunciati. La maggior parte erano giovani operai, per lo
più meridionali. <BR>Il Pci è colto di sorpresa da questa radicalità che non
riesce a controllare, e l’Unità del 9 luglio definirà la rivolta “tentativi
teppistici e provocatori”, ed i manifestanti “elementi incontrollati ed
esasperati”, “piccoli gruppi di irresponsabili”, “giovani scalmanati”,
“anarchici, internazionalisti”. I Quaderni Rossi (Panzieri, Tronti, Negri), dal
canto loro, giudicano gli scontri di piazza una “squallida degenerazione” di una
manifestazione di protesta operaia, ma si guardano bene dal tacciare i
manifestanti come “provocatori e fascisti”, così come li aveva presentati la
sinistra ufficiale. <BR> La rivolta di piazza Statuto segna per la prima
volta l’emergere nella lotta di classe dell’operaio massa, come risulterà al
processo dove due terzi degli imputati per le violenze di strada saranno giovani
immigrati meridionali. La figura dell’operaio-massa emerge in modo più netto e
preciso che durante la rivolta di Genova del ‘60, della quale era stata
protagonista un soggetto più genericamente giovanile, “i giovani dalle magliette
a strisce”, e il nuovo soggetto operaio nato in questi primi anni ’60 sarà una
delle figure sociali protagoniste delle lotte degli anni ‘70. A livello
politico, la rivolta di piazza Statuto segna sia il distacco definitivo tra i
Quaderni Rossi e la Fiom e il Pci, sia una divergenza all’interno dello stesso
gruppo dei Quaderni Rossi: da una parte chi vuole continuare il lavoro di
analisi e lo considera predominante rispetto al lavoro direttamente politico
(Panzieri), dall’altra chi (Tronti, Negri, Asor Rosa) vuole arrivare
immediatamente a soluzioni politiche e organizzative. Questi ultimi daranno vita
alla rivista Classe Operaia [1] .<BR>La rivolta operaia di Torino, provocherà,
inoltre, nelle fila internazionaliste (Programma comunista) una tensione
crescente tra chi insisterà a restare aggrappato alla “difesa e alla
restaurazione del programma” e chi, invece, cercherà di legarsi al movimento
reale di lotta; tensione che sfocerà, nel novembre 1964, nella scissione di
Rivoluzione comunista.
<DIV> </DIV>
<DIV><BR>Vedi sotto anche: EVVIVA I TEPPISTI DELLA GUERRA DI CLASSE!
<BR>Fonti:<BR>- D.
Lanzardo, La rivolta di Piazza Statuto. Milano,
1979.<BR>- Il ghiaccio è
rotto: cronaca dettagliata della lotta alla Fiat (estate 1962).</DIV>
<DIV> </DIV><FONT face="Times New Roman">
<DIV><BR>EVVIVA I TEPPISTI DELLA GUERRA DI CLASSE! <BR>Analisi dei Comunisti
Internazionalisti 10 giorni dopo gli avvenimenti di piazza statuto del 7Luglio
1962<BR>
Fonte: "Il programma comunista" n. 14 del 17 luglio 1962<BR> Abbasso gli
adoratori dell'ordine costituito!<BR><BR>Non è<BR>mai avvenuto, nella storia del
movimento operaio, nemmeno nei periodi di più<BR>vile opportunismo di partiti e
sindacati, che gli operai che insorgono contro<BR>le sopraffazioni del capitale
e dei suoi lacchè, e che, ricorrendo all'arma<BR>dello sciopero, non dimenticano
che questo è appunto un'arma, un'arma di guerra<BR>sociale, fossero bollati come
"teppisti" e come "provocatori" da quelli che<BR>sconciamente pretendono di
rappresentarli.<BR><BR>I peggiori riformisti potevano<BR>deplorare gli "eccessi"
ai quali, secondo loro, gli scioperanti si<BR>abbandonavano; ma era prassi
corrente, alla quale essi stessi si inchinavano,<BR>che lo sciopero fosse non
già l'innocua manifestazione aziendale, simile a una<BR>festa di parrocchia,
alla quale oggi lo si vorrebbe ridurre, ma una franca e<BR>decisa battaglia
dilagante dalle fabbriche nelle vie e nelle piazze, mentre per<BR>i comunisti
che portavano questo nome non per forza di inerzia storica ma per<BR>milizia
vissuta, il dilagare dello sciopero dai limiti aziendali e il suo<BR>scontrarsi
come episodio della guerra di classe nelle forze dell'ordine non<BR>solo erano
scontato, ma salutato con entusiasmo come un fatto sociale fecondo,<BR>perché
spezzava le barriere delle convenzioni e delle gerarchie stabilite e<BR>poneva
anche la più modesta battaglia rivendicativa al centro di un più vasto<BR>gioco
di azioni e reazioni sociali, in cui non una singola categoria operaia
ma<BR>l'insieMe dei proletari erano inevitabilmente travolti e recitavano,
volenti o<BR>nolenti, il ruolo di protagonisti, scrollando dal sonno i
dormienti, abbattendo<BR>i confini fra settore e settore, opponendo in forma
netta e irrevocabile classe<BR>contro classe.<BR><BR>Era il risveglio della
"santa canaglia", e canaglia era un<BR>titolo onorifico, così come oggi teppismo
è un titolo di disprezzo; e i<BR>combattenti oscuri di queste battaglie aperte
erano esaltati e contrapposti al<BR>marciume dei crumiri e dei "lavoratori in
colletto duro", così come oggi si<BR>pretenderebbe che i proletari fossero tutti
in colletto duro, crumiri anche<BR>quando scioperano, per distinguersi dalla
"teppa" dei veri, autentici<BR>scioperanti.<BR><BR>Torino proletaria, che i
partiti del più sconcio tradimento si<BR>sono precipitati a battezzare
"teppista" con un servilismo di fronte al quale i<BR>vecchi arnesi del
riformismo diventano rispettabili, ha fatto né più né meno<BR>quello che una
tradizione non imbelle insegnava: ridestatasi dal lungo sonno<BR>del
paternalismo vallettiano e del costituzionalismo e legalitarismo sindacale<BR>e
politico dei partiti della convivenza pacifica, della democrazia, e
imboccata<BR>la via dello sciopero, essa è balzata d'un salto – come gia negli
episodi della<BR>Lancia e della Michelin – al disopra di un trentennio di
pacifismo sociale, ha<BR>ridato sangue e vita al motto marxista che lo sciopero
è la "scuola di guerra"<BR>del proletariato, non una festa patronale o una
celebrazione patriottica.<BR><BR><BR>Violenza? Certo: non era stata violenza la
firma, da parte di due sconce<BR>organizzazioni cosiddette operaie, di un
contratto separato forcaiolo? Non è e<BR>non continua ad essere violenza lo
sfruttamento al quale sono sottoposte le<BR>masse che affluiscono nel grande
centro industriale dalle campagne e dal Sud,<BR>tallonate da una miseria che lo
stamburamento degli "aiuti alle aree depresse"<BR>e de1le Casse del Mezzogiorno
rende ancora più amara, per un salario miserabile<BR>e duramente sudato da
consumare nelle bidonvilles del neo-capitalismo, fra il<BR>disprezzo venato di
razzismo dei borghesi locali (torinesi o milanesi)<BR>"evoluti" e degli
incipriati figli di papà?<BR><BR>E' vano il tentativo, nel quale la<BR>stampa e
i partiti della costellazione democratica si lanciano concordi, di<BR>separare
come due fatti diversi e contrastanti lo sciopero della Fiat e
gli<BR>"incidenti" di Piazza Statuto: il primo sedicentemente pacifico,
rispettoso<BR>della legalità, in frac e sparato bianco, manifestazione di
"coscienza<BR>democratica" e di rispetto della legge: il secondo sconciamente
piazzaiolo<BR>(secondo la versione ufficiale proclamata da tutti) e teppista. I
proletari<BR>torinesi – è il loro vanto – si sono mossi dal primo fino
all'ultimo momento su<BR>un terreno di guerra di classe, davanti alla fabbrica e
fuori: lungi dal<BR>mendicare il riconoscimento del "diritto di sciopero", se lo
sono preso, questo<BR>diritto, con la forza, e lo hanno affermato come dovere! I
cronisti, arrivati<BR>buoni ultimi e d'altronde consapevoli delle 1eggi del
mestiere, si sono<BR>sbizzarriti a dipingere i fatti di piazza Statuto: nessuno
ha descritto<BR>l'atmosfera di tempesta davanti ai cancelli della Fiat; nessuno
ha parlato<BR>degli operai di altre fabbriche che accorrevano per una
solidarietà istintiva<BR>non solo ad aiutare i fratelli finalmente in lotta, non
solo a rincuorarli, ma<BR>a premere perché entrassero in lotta e poi non
mollassero, né dello<BR>schieramento dei proletari decisi a picchettare gli
stabilimenti gettando<BR>intorno ad essi una rete di corpi umani attraverso la
quale nessun "colletto<BR>duro" potesse filtrare; nessuno ha fotografato
l'immagine in carne ed ossa<BR>della divisione della società in classi
inconciliabili nei viali alberati del<BR>paradiso neo-capitalistico di Valletta,
una marea di proletari coi pugni<BR>serrati da una parte, le forze d'ordine e i
pompieri sindacali, gli uni e le<BR>altre impotenti, dall'altra.<BR><BR>Non
c'era il "dialogo", non c'era la "pacifica<BR>discussione di problemi di
categoria", c'era battaglia, muta ed imperiosa. Non<BR>c'era divisione fra
proletari "interessati alla vertenza" ed "estranei": erano<BR>proletari senza
etichetta di dipendenza da nessun padrone, con la sola e<BR>gloriosa qualifica
di sfruttati in lotta aperta contro gli sfruttatori. Per la<BR>morale e la
convenzione borghese erano, certo, dei teppisti: chi si rifiuta di<BR>subìre
servilmente i soprusi di una società che è una provocazione continua è,<BR>per
definizione, il rappresentante della feccia. Per noi, alla Mirafiori o
alla<BR>Lingotto come a Piazza Statuto, erano la santa canaglia.
Sorprese,<BR>disorientate, le forze dell'ordine si affidavano ai buoni uffici
dei pompieri e<BR>dei conciliatori, quelli che per somma ironia si chiamano gli
"attivisti" del<BR>PCI, del PSI, della CGIL, della CISL: sembrava loro che tutto
dovesse finire<BR>lì, sul posto e in una rapida sfuriata, certo deplorevole ma
inevitabile e<BR>forse salutare, come un febbrone che prelude al ritorno della
normalità fisica<BR>e psichica.<BR><BR>Non fu così. La furia dilagò nelle strade
e nelle piazze e,<BR>com'era nella sua logica di fatto sociale creativo,
trascinò con sé i proletari<BR>di tutte le categorie, gli sfruttati di tutte le
denominazioni, gli schiavi del<BR>miracolo economico, i beffati e gli irrisi
della convivenza pacifica. Per<BR>un'inconsapevole ironia, essi si concentrarono
in Piazza dello Statuto: certo<BR>involontariamente, scelsero a teatro della
loro collera un "campo di battaglia"<BR>intitolato alla prima costituzione
borghese italiana madre della più recente,<BR>quella che essi avrebbero dovuto e
dovrebbero rispettare con affetto filiale,<BR>secondo le direttive della CGIL,
con "unità e disciplina democratica"<BR>(comunicato della Camera confederale del
7 luglio, dopo gli avvenimenti). E<BR>qui, a sentire la stampa borghese, sarebbe
avvenuto qualcosa come 1'apocalissi,<BR>il giorno del giudizio, il diluvio
universale.<BR><BR>Santa ipocrisia borghese! I<BR>popolani delle Cinque Giornate
milanesi sradicarono ben altro che cubetti di<BR>porfido e gli equivalenti di
allora dei paletti segnaletici di oggi, infransero<BR>ben altro che vetri e
cristalli, usarono ben altro che temperini o bastoni;<BR>fecero le barricate:
per l'ideologia corrente, trattandosi di una battaglia<BR>risoltasi a favore
della nazione e della nascente borghesia italiana, furono<BR>degli eroi. I
proletari torinesi che si battevano contro il nemico nazionale di<BR>classe sono
dei teppisti; essi che – troppo miti, troppo generosi – non<BR>tentarono nemmeno
di erigere una barricata. Nel '48 nazionale e borghese la<BR>"teppa" è salutata,
blandita e coccolata, fin che fa comodo e salvo le<BR>successive repressioni:
nel '62 proletario diviene, logicamente, il mostro che<BR>leva la sua testa
immonda!<BR><BR>E giù fiumi di retorica scandalizzata. "I più non<BR>erano
metallurgici": come se i proletari non metallurgici non soffrissero sotto<BR>lo
stesso giogo degli altri! "La manifestazione doveva essere
semplicemente<BR>sindacale": come se esistesse lotta sindacale che non fosse
lotta politica!<BR>"C'erano in mezzo dei pregiudicati": come se l'enorme
maggioranza degli<BR>sfruttati non avesse conosciuto la giustizia almeno per...
un furto di gallina,<BR>e come se l'enorme maggioranza degli agghindati
osservatori borghesi avesse la<BR>fedina pulita o almeno (poiché la fedina è
elastica come la giustizia di<BR>classe) la coscienza netta! "Erano giovani":
come se non toccasse appunto ai<BR>giovani di dare ai vecchi le braccia
muscolose e il cuore intatto, ch'essi più<BR>non hanno! Sotto sotto, corre pure
una vena sprezzante di razzismo nuovo<BR>modello: "i soliti terroni"; figurarsi,
non sanno nemmeno fare la loro firma e<BR>al processo è tanto se mostrano di
sapere il loro nome e luogo di nascita, come<BR>chi dicesse "i soliti negri",
che poi nella stampa "d'alto livello" diventano<BR>gli incolti, gli ineducati,
quelli che non hanno avuto la fortuna di andare a<BR>scuola, i non ancora
castrati dalla cultura ufficiale e dal galateo, gli uomini<BR>dalla fronte bassa
e dal coltello a serramanico.<BR><BR>Dopo la retorica, i processi<BR>per
direttissima e le condanne di proletari che non solo i
cosiddetti<BR>rappresentanti operai non hanno difeso, ma hanno ignobilmente
sconfessato.<BR><BR><BR>Erano, ecco tutto, dei proletari autentici, dei senza
riserve. Chi li aveva<BR>"organizzati"? Si erano organizzati da sé. La
"coscienza borghese" non potrà<BR>ammettere mai che gli incolti, i diseredati,
gli straccioni, sappiano<BR>difendersi e sappiano attaccare con una loro
strategia istintiva, fatta di una<BR>solidarietà che lo stesso sistema di
produzione borghese, contro voglia e<BR>contro ogni suo desiderio, crea e
cementa in loro: non possono accettare l'idea<BR>che come per un improvviso
fenomeno di liberazione di una forza compressa che<BR>trova la sua strada per
erompere, quel fenomeno sul quale i grandi militanti<BR>rivoluzionari – i Lenin,
i Trotskij, la Luxemburg – costruirono non soltanto<BR>gigantesche teorie;
quell' "assalto al cielo" che Marx esaltò e che è la grande<BR>forza della
storia e, che è la stessa cosa, della rivoluzione. I proletari<BR>scoprano
dentro di sé quelle risorse incorrotte di combattività organizzata,
di<BR>solidarismo istintivo, di abilità e perfino di astuzia nel dirigersi, che
hanno<BR>sempre fatto la croce delle classi dirigenti e che sono sempre stata la
grande<BR>forza, la sola forza, degli oppressi, sotto qualunque regime di
classe. Per i<BR>borghesi, i proletari possono soltanto muoversi come un gregge:
se il loro<BR>movimento ubbidisce a una logica, a un metodo, perfino ad una
strategia,<BR>bisogna che ci sia in mezzo a loro qualcuno, e il "qualcuno" per
gli idealisti<BR>borghesi può essere soltanto l'organizzatore uscito dalle
scuole di partito, il<BR>provocatore formatosi all'alta accademia della polizia,
magari il gesuita<BR>travestito. Chi aveva "organizzato", per restare negli
esempi della storia<BR>borghese, i popolani e le popolane del 14 luglio
francese? Chi – per passare<BR>agli esempi nostri – aveva organizzato i
proletari del quartiere di Vyborg o di<BR>Cronstadt nel 1905 e nel febbraio
1917? O la gloriosa canaglia della Comune<BR>parigina o
berlinese?<BR><BR>Nessuno li aveva organizzati: appunto perciò si
erano<BR>organizzati da sé. Nessuno era disposto a proteggerli: perciò si
difesero.<BR>Nessuno ordinava loro di attaccare: ordinarono a se stessi di
farlo. C'erano,<BR>al contrario, Coloro che, come si vanta la famosa
"federazione giovanile<BR>torinese del PSI)) descritta come... estremista,
"tentavano di porre ordine<BR>invitando alla calma" mentre la polizia caricava:
li picchiarono, come sempre,<BR>in un secolo e più di battaglie di classe, si
sono trattati i cani da guardia<BR>del padrone.<BR><BR>Non erano soltanto
metallurgici: certo, tutti i proletari avevano<BR>capito che in quei giorni si
giocava il comune destino di ogni sfruttato. Non<BR>erano sempre in regola con
la giustizia: per definizione, i proletari non sono<BR>mai in regola con la
giustizia, se non si lasciano pecorescamente sfruttare.<BR>Erano straccioni:
certo, li avete resi straccioni voi. Erano incolti: è proprio<BR>il fatto che
non abbiano digerito la vostra cultura da chierichetti e da<BR>macellai che li
rende la classe levatrice della storia, come rese tali i<BR>sanculotti che voi
esaltate solo perché vi prepararono, inconsciamente, la<BR>tavola imbandita di
due secoli di banchetti.<BR><BR>C'era un provocatore, in mezzo a<BR>loro? Certo,
ma questo provocatore si chiama la società borghese, il capitale e<BR>i suoi
sgherri, la vendita quotidiana di forza-lavoro, l'estorsione quotidiana<BR>di
lavoro non pagato, l'inganno della "libertà di lavoro" e della "libertà
del<BR>cittadino", la beffa dell'eguaglianza per tutti la menzogna della
democrazia e<BR>delle riforme, la realtà del miracolo economico che è, per i
proletari,<BR>sinonimo di lacrime, sudore e sangue. Tutto questo li ha spinti,
giovani prima<BR>e vecchi lietamente poi, meridionali e piemontesi infine
uniti!<BR><BR>Falso che li<BR>abbia mobilitati il PCI: esso sogna il pacifico
viale che conduce non al<BR>socialismo, ma alla più miserabile versione dei
capitalismo in termini<BR>economici, e della democrazia in termini politici.
Sciocca, e peggio, infine<BR>l'accusa che li abbia mobilitati Valletta: egli non
paga nulla, egli si fa<BR>pagare profumatamente l'appoggio al governo di
centro-sinistra; intasca, non<BR>sborsa. Contro costoro e contro tutto lo
schieramento del conformismo<BR>democratico, si sono battuti gli operai, e non
ci fu neppure bisogno che gli<BR>dessero l'imbeccata quei "quattro gatti" che
sono i rappresentanti fisici di<BR>correnti rivoluzionarie (oggi è venuto di
moda tirar fuori ad ogni piè<BR>sospinto, secondo come gira, o gli
anarco-sindacalisti, o noi<BR>internazionalisti, o tutti due insieme mescolati e
confusi nella stupefacente<BR>ignoranza dei coltissimi e degli
intelligentissimi); bastò ad ispirarli, questo<BR>sì – e bisogna gridarlo alto e
con fierezza – la tradizione accumulata in più<BR>di un secolo di lotta non
codarda, di predicazione non vile, di battaglia<BR>politica, ideologica e
organizzativa a viso aperto, che ha come punto di<BR>partenza il Manifesto e
faro più vicino ma non ultimo l'Ottobre Rosso. Se<BR>questa tradizione viva
nella memoria subconscia non degli individui ma della<BR>classe, e richiamata
alla coscienza dalla lotta aperta e dalla sofferenza; se<BR>questa tradizione è
teppista, è un retaggio da teddy-boy, ebbene, noi siamo<BR>pronti a dire con
fierezza: viva i teppisti, viva i teddy-boy! Se noi che<BR>battiamo
quotidianamente sul chiodo di un metodo di lotta che gli operai, nella<BR>grandi
svolte ritrovano da sé, siamo "provocatori", ebbene; siamo pronti a<BR>gridare:
viva i provocatori! Se poi, oggi, questa furia "teppista" possiamo<BR>solo
esaltarla contro tutti, non dubitate: ci prepariamo a
dirigerla!<BR><BR>La<BR>collera proletaria si è scatenata a Torino (e si è
scatenata in una misura che<BR>è solo, purtroppo, un millesimo di episodi
gloriosi del passato, perfino del<BR>passato torinese: 1917! 1920!); per tutta
risposta, i partiti e le<BR>organizzazioni che si dicono operaie hanno gridato,
con una precipitazione<BR>degna soltanto di lacchè gallonati, allo scandalo.
Apriamo le pagine del<BR>vecchio Marx nell'Indirizzo 1850 del Comitato Centrale
della Lega dei<BR>Comunisti:<BR><BR>"Ben lungi dall'opporsi ai cosiddetti
eccessi, casi di vendetta<BR>popolare su persone odiate o su edifici pubblici
cui non si connettono altro<BR>che ricordi odiosi, non soltanto si devono
tollerare quegli esempi, ma se ne<BR>deve prendere in mano la
direzione".<BR><BR>I cosiddetti comunisti e socialisti di<BR>oggi non solo non
ne hanno preso in mano la direzione (il che era escluso in<BR>partenza), ma si
sono opposti agli "eccessi" perfino quando erano modesti<BR>sfoghi di collera
santa – e li hanno sconciamente deplorati: pochi giorni dopo<BR>sedevano al
tavolo delle trattative con la stessa UIL e con lo stesso padronato<BR>contro i
quali si era diretta la furia proletaria. Cada sui "deploratori",
sui<BR>costituzionalisti, sugli esperti in denunzie alla polizia e alla
giustizia, il<BR>disprezzo e la maledizione di tutti gli sfruttati.</DIV>
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