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<DIV>Tronti è sempre efficace. Tuttavia in queste righe serpeggia una sorta di
rivalsa sull'elaborazione degli operaisti che hanno concettualizzato e studiato
il lavoro cognitivo e immateriale. Certo, più elegante del tizio della Cgil di
Perugia ma affine nella sostanza. L'autore di Operai e capitale sembra poi
ignorare l'esistenza di un "altro movimento operaio", oggi mal messo, ma che è
stato il protagonista del ciclo di lotte degli anni Sessanta e Settanta.
Restringendo il proprio orizzonte ai sindacati concertativi e al partito
maggiore della sinistra storica che fu. Malgrado la sua degenerazione ed
implosione continua ad essere la sua stella polare, da rimproverare,
interrogare, stimolare ecc. Sembra che Tronti davvero viva oggi tra le
nuvole!!!</DIV>
<DIV>Rossana, che lo ha postato nella lista neurogreen, entra giustamente nei
dettagli, concreti e sputtananti, commentando: "ma può un articolo così corposo
come questo dimenticare che a Pomigliano non si riescono ad eleggere
democraticamente i lavoratori? Che i sindacati di base sono sistematicamente
confinati anche da FIM-FIOM-UILM?".</DIV>
<DIV> </DIV>
<DIV>e</DIV>
<DIV> </DIV>
<DIV><BR> </DIV></DIV>
<DIV><FONT size=2>----- Original Message ----- </FONT>
<DIV><FONT size=2>From: "rossana" <</FONT><A
href="mailto:rossana@comodinoposta.org"><FONT
size=2>rossana@comodinoposta.org</FONT></A><FONT size=2>></FONT></DIV>
<DIV><FONT size=2>To: <</FONT><A
href="mailto:neurogreen@liste.comodino.org"><FONT
size=2>neurogreen@liste.comodino.org</FONT></A><FONT size=2>></FONT></DIV>
<DIV><FONT size=2>Sent: Friday, June 25, 2010 7:02 PM</FONT></DIV>
<DIV><FONT size=2>Subject: [neurogreen] Il che fare di Pomigliano</FONT>
</DIV></DIV>
<DIV><BR></DIV><BR>Mario Tronti, il manifesto 25 Giugno 2010 <BR><BR>Lo
slogan «da Pomigliano non si tocca a Pomigliano non si piega» è <BR>emerso
dall'interno di una conricerca che un gruppo di giovani <BR>ricercatori del Crs
sta conducendo da tempo in quella fabbrica insieme <BR>agli operai. Descrive
l'arco di sviluppo della vicenda, fino all'esito a <BR>sorpresa del referendum:
dalla difesa del posto di lavoro alla <BR>rivendicazione della dignità e della
libertà del lavoratore. La posta in <BR>gioco infatti si è alzata. E chi l'ha
alzata imprudentemente è stato <BR>l'intelligentissimo ed efficientissimo
management Fiat, con una ben <BR>orchestrata manovra politica su una delicata
situazione economica. Hanno <BR>commesso un errore. E una volta tanto hanno
perso.<BR>Non era solo Marchionne. E non ha perso solo lui. Mi sono chiesto:
<BR>perché la questione Pomigliano è salita al centro dell'attenzione
<BR>politica, primi titoli sui giornali, prima notizia nelle tv? Era forse
<BR>morto per incidente sul lavoro un grappolo di operai, unico motivo di
<BR>visibilità per queste sottopersone? No, semplicemente si tentava un
<BR>colpo in fabbrica, in un pezzo di paese, per dire a tutti che cominciava
<BR>una nuova età di rapporto tra impresa e lavoro - l'ormai famoso e
<BR>incredibilmente supponente dopo Cristo - e che esemplificava brutalmente
<BR>ed empiricamente l'intento più generale di rovesciare il dettato
<BR>costituzionale del vetusto, avanti Cristo, art. I, Repubblica
<BR>democratica fondata sul lavoro. Nell'impresa comando io, se volete
<BR>lavorare queste sono le condizioni, non trattabili, dovete solo dire si
<BR>o no, l'unico sindacato ammissibile è il sindacato di collaborazione,
<BR>niente più, mai più, sindacato di conflitto. Il direttore del Sole24ore
<BR>diceva: lì si gioca una partita del campionato del mondo nella
<BR>globalizzazione, il fondatore di Repubblica sentenziava, come fa ormai
<BR>profeticamente: non è un ricatto, è la pura realtà, e così via.<BR>In verità
il modello non era nuovo, celebrava un trentennale, anno 1980, <BR>sempre Fiat,
stessi moduli, perfino la marcetta dei disponibili, e <BR>questa volta dei
ricattati. Sotto il pullover sono rispuntati Valletta e <BR>Romiti, dei bei
tempi Cinquanta e Ottanta. Qualcuno sa che a Nola c'è un <BR>reparto confino,
dove vengono spediti gli insubordinati di Pomigliano? <BR>La Fabbrica che si
intitola a Gianbattista Vico ripropone corsi e ricorsi.<BR>La notizia qual è. E'
che questa volta gli è andata male. E gli è andata <BR>male per il solo merito
di quel 40% di operai che hanno detto: non ci <BR>stiamo. E per il solo altro
merito di quella Fiom, che si voleva <BR>sconfiggere una volta per tutte, ultimo
residuo di una conflittualità <BR>operaia, estrema espressione fuori tempo di
quella novecentesca - e oggi <BR>dire novecentesca è come dire medioevale -
lotta di classe.<BR>Insomma, l'hanno voluta mettere sul piano simbolico e sul
piano <BR>simbolico hanno rimediato una sconfitta. Guardate come arretrano i
<BR>grandi organi di opinione: ma forse c'è ancora un problema lavoro, ma
<BR>dunque c'è lavoro materiale e non solo immateriale, ci sono tute blu e
<BR>non solo camici bianchi, c'è il salario e non solo partite Iva.<BR>Eppure il
punto da mettere in evidenza non è questo. Chi se ne importa <BR>di quello che
dicono. Il fatto da cui bisognerebbe ripartire è questo <BR>nuovo livello di
conflitto emerso nella vicenda, che loro hanno evocato <BR>e che quegli eroici
«no» hanno rovesciato: da un lato ricchezza e potere <BR>dall'altro dignità e
libertà. Da un lato l'arroganza di chi credeva di <BR>avere tutto nelle proprie
mani, dall'altro chi ha rivendicato <BR>l'indisponibilità di alcune cose
precise. Voi mettete 700 milioni e io <BR>vi dico che non mi vendo per questo,
non metto a vostra disposizione la <BR>mia persona, rischio il lavoro ma tengo
la testa alta e la schiena <BR>dritta. Una lezione. Non morale, ma politica.
Viene da quel mondo. E <BR>apre una nuova frontiera a una sinistra
moderna.<BR>Non direi tanto lavoro e diritti. Direi di più lavoro e persona.
Quel <BR>referendum in quel modo, sotto quelle condizioni, come ricatto sulla
<BR>vita, sull'esistenza delle persone, non andava accettato. Era dovere di
<BR>tutta la Cgil, era dovere di tutto il partito democratico, mettersi di
<BR>traverso. Mi interessano qui meno gli sbreghi alla legalità, che pure
<BR>c'erano, erano gravi e vanno ancora denunciati. Quel referendum era
<BR>politicamente illegittimo. Era finalizzato a mettere gli operai contro
<BR>la loro organizzazione e a mettere gli operai contro altri operai. Esito
<BR>questo ancora presente, se dovessero emergere reali pericoli per
<BR>l'occupazione. Adesso bisogna ricostruire una unità di lotta e
<BR>costringere il padrone a trattare. La Fiat oggi è più debole e meno
<BR>lucida, come si è visto dalle prime reazioni. E il governo non ha
<BR>proprio niente da dire. Bisogna non aspettare, passare all'attacco, come
<BR>sindacato generale e come partiti politici, proporre soluzioni e far
<BR>cadere la discriminante anti-Fiom. E' il programma minimo.<BR>Ma c'è un
compito di più lungo periodo. La lezione va appresa. Il Pd ha <BR>preso sabato
scorso una lodevole iniziativa: un'assemblea popolare <BR>contro la manovra
governativa. Mi dicono sia riuscita molto bene, <BR>soprattutto nel discorso
appassionato del segretario. Si poteva fare di <BR>più e meglio. In quella
settimana, con rapida decisione, ad esempio, <BR>spostare il raduno dal
Palalottomatica a Pomigliano. Senza tante parole, <BR>con un solo gesto, si
sarebbe fatto capire che cos'è, e che cosa <BR>dovrebbe essere, un partito che
si colloca in quello spazio fisico del <BR>Parlamento e del Paese. Non si
trattava nemmeno di prendere posizione <BR>sul come votare, ma solo di stare lì,
con gli operai del si e del no, a <BR>giocare la partita e non a vederla in tv.
I giornali-guida del <BR>centro-sinistra li avrebbero colti in fallo al richiamo
della foresta. I <BR>nativi sarebbero rimasti sconcertati, perché, immagino, la
parola operai <BR>è come la parola compagni, qualcosa che non appartiene alla
«loro» <BR>tradizione. Ma un popolo avrebbe respirato. E certo, non il popolo
<BR>viola, che cercasi invano nei dintorni del problema Pomigliano. C'è da
<BR>arrabbiarsi di fronte a certe mancate occasioni. E badate che questa
<BR>rabbia cresce, è più diffusa di quanto si pensi. La sento arrivare su di
<BR>me da varie parti. E solo per questo la esprimo. E non è un'istanza
<BR>distruttiva, è un'energia positiva, nascosta nel fondo del paese, che
<BR>bisogna far emergere, e farla parlare e parlare ad essa con le parole
<BR>della politica, sottraendole le parole dell'antipolitica, con cui troppo
<BR>spesso è costretta ad esprimersi. Occorre tornare a dirigere, a
<BR>orientare, a indirizzare, per grandi segnali, in luoghi giusti e negli
<BR>spazi che contano e che fanno veramente la differenza.<BR>Il problema non è
il Cavaliere, il problema è il Cavallo, e cioè questo <BR>modo d'essere che
occupa le nostre vite e che osa sempre di più per <BR>avere un comando assoluto,
modo d'essere di privilegi intoccabili, di <BR>poteri arroganti, di ingiustizie
palesi, di sistema di leggi eterne, <BR>oggettive, dicono, nei cui confronti non
c'è niente da fare se non <BR>piegarsi e obbedire. Ascoltateli questi «no» di
Pomigliano: segnano il <BR>«che fare» per un'operazione forte di un grande
partito a vocazione <BR>alternativa.<BR><BR><BR><BR></BODY></HTML>