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<DIV><FONT face=Arial size=2>Vi invio un bellissimo documento sui diritti nel
lavoro.</FONT></DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2>Buona lettura.</FONT></DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2>Saluti libertari.</FONT></DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2>Simona da Pescara.</FONT></DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2></FONT> </DIV>
<DIV><FONT face=Arial size=2>IL COLLEGATO LAVORO E I DIRITTI DEI
LAVORATORI<BR>Il Parlamento sta approvando un disegno di legge che farebbe
tornare indietro di 60 anni le leggi di tutela dei<BR>diritti dei lavoratori.
Gli aspetti più devastanti sono:<BR>• la possibilità (o l’obbligo a seconda di
quanto deciderà in via definitiva il Parlamento) di una rinuncia<BR>preventiva a
rivolgersi al giudice nelle controversie col datore di lavoro e l’impegno ad
accettare la<BR>decisione di arbitri privati;<BR>• la possibilità per gli
arbitri di decidere secondo equità, disapplicando le norme di legge ed i
contratti<BR>collettivi di lavoro;<BR>• l’obbligo del lavoratore di pagare un
compenso anticipato agli arbitri (il processo del lavoro è gratuito)<BR>• la
possibilità per i “contratti individuali certificati” (anche dai consulenti del
lavoro che stabilmente<BR>collaborano con i datori di lavoro) di derogare alla
legge ed ai contratti collettivi, aprendo lo spazio<BR>alla contrattazione
privata in deroga a quella collettiva;<BR>• la possibilità dei contratti
individuali certificati di individuare ulteriori cause di licenziamento
oltre<BR>quelle stabilite dai contratti collettivi;<BR>• la retroattività
dell’effetto vincolante per il giudice delle certificazioni rispetto anche ai
contratti in corso;<BR>• il divieto del giudice di sindacare le valutazioni
tecniche organizzative e produttive dei datori di lavoro<BR>(e quindi di entrare
nel merito delle ragioni dei licenziamenti, dei trasferimenti, dei contratti a
termine);<BR>• l’impossibilita’ di impugnare tutti i contratti precari
esistenti, trascorsi due mesi dall’entrata in vigore<BR>• il termine di due mesi
per impugnare il licenziamento orale (ad oggi non esiste un termine anche
perché<BR>è impossibile al lavoratore provare quando è stato licenziato “a
voce”);<BR>• il termine di due mesi per impugnare un trasferimento o un
contratto a termine illegittimo (oggi non<BR>c’è alcun termine);<BR>• un termine
di sei mesi per iniziare la causa (oggi non c’è alcune termine);<BR>• la
riduzione del risarcimento per i contratti a termine illegittimi da due a dodici
mensilità mentre oggi<BR>non vi è alcun limite al risarcimento danni a favore
del lavoratore.<BR>Questo ddl - che rispolvera una concezione ottocentesca della
contrattazione, quando ogni lavoratore era solo<BR>davanti al padrone – ha il
consenso dei sindacati concertativi (CISL, UIL, UGL, CISAL) e vede solo
una<BR>tiepida opposizione della CGIL che ha lanciato l’allarme solamente
all’ultimo momento, dopo avere taciuto<BR>durante il percorso parlamentare
durato quasi 2 anni!<BR>D’altro canto, il PD ha presentato una proposta di legge
(del tutto in linea con la politica “riformatrice” del<BR>governo), che prevede
che nei primi tre anni dall’assunzione tutti i lavoratori, possano essere
licenziati senza<BR>alcuna giustificazione con un risarcimento danni risibile ed
una liberalizzazione di tutti i contratti a termine<BR>con retribuzione annua di
oltre 25 mila euro.<BR>E il salario orario minimo sarebbe stabilito con decreto
presidenziale su proposta del governo!<BR>Nessuno di quelli che hanno accesso ai
mezzi d’informazione ha fatto nulla per informare i lavoratori. Forse<BR>perché
questo provvedimento si pone in continuità con le leggi e gli accordi sindacali
concertativi che, a<BR>partire dal 1993, hanno favorito il dilagare della
precarietà del lavoro?<BR>Al momento, il Presidente Napolitano si è rifiutato di
firmare la legge e ha chiesto alle Camere alcune<BR>modifiche. Quindi, per ora,
quel disegno di legge è provvisoriamente bloccato ma nessuno lavora
per<BR>costruire la mobilitazione dei lavoratori!<BR>Questa vicenda é una
manifestazione di una “democrazia” sempre più manipolata (e autoritaria
quanto<BR>basta), con un’opposizione che non si oppone ed è portatrice di
pesanti responsabilità riguardo al progressivo<BR>affermarsi della cultura della
destra.<BR>Tutto questo nel quadro strutturale del capitalismo globalizzato,
della finanziarizzazione dell’economia, della<BR>delocalizzazione del lavoro,
della privatizzazione di tutto ciò che può produrre profitti.<BR>La UE incarna
l’ufficializzazione del neoliberismo come ideologia comune europea. Non è un
caso che le<BR>politiche del liberismo si affermino in modo crescente, in
particolare in Italia, dal 1992, l’anno del Trattato di<BR>Maastricht. Esso
”impone” ai ben consenzienti governi nazionali solo parametri monetari e
relativi al<BR>bilancio dello stato, senza alcun riferimento a parametri di tipo
sociale o all’occupazione. La politica<BR>economica è dettata dalla Banca
Centrale Europea, che non ha mai nascosto di privilegiare gli interessi
della<BR>1<BR>rendita finanziaria e ha sempre imposto tassi d’interesse
altissimi per attirare capitali e rafforzare l’euro<BR>rispetto al dollaro.
Anche se ciò danneggia le esportazioni e quindi la produzione e l’occupazione
nella UE!<BR>Nonostante la grave crisi economica mondiale dimostri proprio il
fallimento di quelle politiche e l’attacco<BR>della speculazione finanziaria
internazionale alla Grecia (in preda ad una crisi
economico-finanziaria<BR>profondissima) faccia cadere anche il mito della UE
come ombrello protettivo degli Stati membri, nessuno<BR>azzarda qualche
autocritica per i mal riposti entusiasmi.<BR>Questo quadro d’insieme e
l’esperienza quotidiana possono far pensare che la normalità in materia di
diritti,<BR>di salari e di pensioni sia quella di subirne la riduzione,
contemporaneamente e inesorabilmente. Come un<BR>fatto naturale e
ineludibile.<BR>Ma non è così e ce n’è testimonianza nella nostra storia
recente. Trent’anni non sono, in assoluto, tantissimi,<BR>anche se sembrano
secoli. Eppure alla fine del ciclo di lotte dal ’62 al ’75, salari e diritti
erano fortemente<BR>cresciuti, l’orario di lavoro era stato ridotto ed era stato
introdotto un sistema previdenziale che garantiva<BR>pensioni dignitose. Il
tutto come risultato dell’onda alta del movimento operaio di quegli anni.
Naturalmente,<BR>non é sostenibile che quella fase sia ripetibile con le stesse
modalità. Tutto è anche strutturalmente cambiato,<BR>a partire
dall’organizzazione del lavoro. Ma nulla, neppure l’attuale evidente sconfitta
deve essere vissuto<BR>come definitivo e irreversibile!!!<BR>L’affermarsi del
pensiero unico del Mercato, assunto come unica ideologia autorizzata ad
esistere, (visto che<BR>anche i soggetti politici e sindacali che hanno detenuto
il quasi monopolio della rappresentanza dei<BR>lavoratori, ormai da decenni
hanno accettato e condividono i principali cardini della teoria
liberista,<BR>applicando nel migliore dei casi la teoria del contenimento del
danno) ne ha cancellato persino la memoria<BR>storica, proprio perché essa
costituisce un pericolo per il potere.<BR>Ma ripercorriamo sinteticamente la
parabola dei diritti dei lavoratori dagli anni ’50 ad oggi.<BR>Le imprese
potevano scegliere liberamente se assumere i lavoratori con contratto a termine
o con contratto a<BR>tempo indeterminato e potevano licenziare anche i
lavoratori assunti a tempo indeterminato senza dover<BR>addurre nessuna
motivazione, con un breve preavviso o la corresponsione di una piccola indennità
di<BR>Le tre leggi fondamentali per la tutela dei diritti dei
lavoratori<BR>L.230/1962 sul contratto a tempo determinato (ne limita
l’applicazione a cinque casi ben precisi: lavori<BR>stagionali, straordinari,
nello spettacolo, in sostituzione di lavoratrice in maternità o lavoratore in
malattia);<BR>L.604/1966, detta “sulla giusta causa” (subordina il licenziamento
al sussistere di una giusta causa o di un<BR>giustificato motivo, nelle imprese
con più di 35 dipendenti); L.300/1970 lo “Statuto dei lavoratori”: oltre
a<BR>“far entrare la Costituzione nei posti di lavoro”, col diritto al reintegro
in caso di licenziamento illegittimo<BR>rende “reale” la tutela dei lavoratori,
nelle imprese con più di 15 dipendenti: l’art.18.<BR>Nel 1978 viene parzialmente
estesa per la prima volta la possibilità di stipulare contratti a termine per
i<BR>giovani (legge cd. “sull’occupazione giovanile”, sostenuta in prima persona
dall’allora segretario CGIL<BR>Luciano Lama). Nel 1984 vengono introdotti i
“contratti di formazione – lavoro” che estendono<BR>sensibilmente questa
possibilità.<BR>Negli anni ’90 la flessibilità viene assunta dai sindacati
confederali come un elemento che favorisce<BR>l’occupazione e, a seguito della
politica concertativa, viene inserita negli accordi governo – sindacati
–<BR>confindustria del 1993 (quello della “politica dei redditi”), che per la
prima volta afferma la “necessità”<BR>dell’introduzione del lavoro interinale e
del 1996 (“patto per il lavoro”). Quest’ultimo si traduce, nell’ambito<BR>della
politica di concertazione, nel “pacchetto Treu” (L.196/1997), che introduce, tra
l’altro, il lavoro<BR>interinale, sia pure con una serie di paletti che ne
impedirono il decollo nel ’98. I sindacati concertativi,<BR>quindi, nel 1999,
fecero pressione sul governo D’Alema (certo ben disposto!) affinché il lavoro
interinale<BR>fosse esteso ai settori lavorativi per i quali era escluso
(agricoltura ed edilizia) ed ai lavoratori dal 2° livello.<BR>2<BR>Poi, col
governo Berlusconi, il diluvio<BR>D.lgs.n.368/2001 sul contratto a termine
(abroga la L. 230/62, eliminandone la limitazione a specifiche e<BR>precise
tipologie di lavoro e permettendo al datore di lavoro di ricorrervi per “ragioni
di carattere tecnico,<BR>produttivo, organizzativo o
sostitutivo”).<BR>D.lgs.n.66/2003 sull’orario di lavoro ( si rende possibile una
giornata lavorativa anche di 13 ore, si eliminano<BR>tutte le garanzie relative
al lavoro notturno per minori, donne ed inabili al lavoro. Il part-time può
avere ogni<BR>giorno durata diversa. Ciò flessibilizza la gestione del tempo di
lavoro, sottraendola al controllo del<BR>lavoratore e dei
sindacati.!).<BR>D.lgs. n. 276/2003, attuativo della L.30 sul mercato del lavoro
(che, da un lato, mette a disposizione delle<BR>imprese una quarantina di
tipologie contrattuali e, dall’altro, introduce l’istituto della certificazione
del<BR>Queste leggi sembravano travolgere qualsiasi parvenza di diritto per i
lavoratori. ma il Collegato lavoro<BR>dimostra che quello non era il peggio
possibile! L’obiettivo dichiarato, nel più completo ossequio
alla<BR>globalizzazione capitalistica, era (ed è) quello di rendere l’Italia più
accogliente possibile per il capitale<BR>finanziario nei suoi flussi
internazionali, proponendosi come oasi di flessibilità assoluta (“il paese
più<BR>americano”, come lo definì allora un raggiante Berlusconi durante un suo
pellegrinaggio negli USA).<BR>Il governo di centro-sinistra ribadisce la
legislazione della destra<BR>Col “protocollo sul welfare” (poi trasformato in L.
247/2007) il centrosinistra e i sindacati confederali<BR>tornano alla politica
concertativa. Il fenomeno sociale più colpito è quello della precarietà. I danni
che ne<BR>derivano ai precari sono così sintetizzabili:<BR>- si lascia
inalterata la loro condizione giuridica (che resta sottoposta alla L. 30, nel
2003 attaccata dalla<BR>CGIL come una delle maggiori nefandezze di
Berlusconi)<BR>- si peggiora la condizione strutturale dei precari nel mercato
del lavoro, da un lato aumentando l’età<BR>pensionabile e dall’altro
incentivando il ricorso delle imprese agli straordinari. Diminuiranno
le<BR>occasioni di lavoro<BR>- si aumentano i contributi sociali dei più precari
tra i precari (co.co.pro e co.co.co)<BR>- si diminuiscono ulteriormente le
pensioni future, diminuendo i coefficienti di trasformazione.<BR>Con l’assoluto
silenzio sui D.lgs. su contratto a termine ed orario di lavoro (a suo tempo non
condivisi dalla<BR>CGIL) il centrosinistra e la CGIL fanno sostanzialmente
propria l’intera legislazione della destra!<BR>La destra continua la sua opera
con l’approvazione del cd Collegato lavoro alla finanziaria 2009, poi<BR>Come è
facile constatare, l’andamento dei diritti dei lavoratori segnala con precisione
lo stato dei rapporti di<BR>forza tra capitale e lavoro.<BR>Abbiamo già
ricordato, che nel periodo ascendente (anni ’60–’70) le lotte dei lavoratori
ottennero, attraverso<BR>i rinnovi contrattuali, anche sensibili aumenti del
salario reale e la riduzione dell’orario di lavoro, mentre a<BR>partire dalla
seconda metà degli anni ’70 iniziarono gli attacchi alla scala mobile ed al
salario, che si<BR>velocizzarono negli anni ’80, ed in particolare negli anni
‘90. Così come non è un caso che la riforma delle<BR>pensioni che introduceva un
sistema pensionistico a ripartizione e con sistema di calcolo retributivo
(appunto<BR>ciò che viene smantellato nel 1995 da Dini e da reiterati attacchi
legislativi) venga varata nel 1969!<BR>Con la possibilità di stipulare contratti
individuali di lavoro di contenuto difforme rispetto alla legge ed ai<BR>CCNL si
tornerebbe sostanzialmente alla situazione precedente gli anni ’60, prima
dell’affermarsi di un<BR>Diritto del lavoro autonomo dalle esigenze delle
imprese. Quando i diritti dei lavoratori erano regolati<BR>principalmente dal
Libro V del Codice Civile del 1942, lo stesso che costituiva la fonte principale
del Diritto<BR>commerciale. Esso era il Diritto delle imprese e, solo in quanto
tale, regolava anche i rapporti di lavoro.<BR>E, ripercorrendo la parabola dei
diritti dei lavoratori, siamo tornati all’attuale contesto, nel quale si assiste
già<BR>ad un altro attacco, sferrato, ancora una volta, nel silenzio
generale.<BR>Al momento ben tre ddl si stanno contendendo in Parlamento una
nuova limitazione al diritto di sciopero,<BR>dopo quella introdotta dalla L.
146/1990 (modificata dalla L. 83/2000)!!!<BR>Il 14 aprile 2010 è iniziata la
discussione congiunta del ddl n. 1473 (presentato dal governo) “Delega
al<BR>governo per la regolamentazione e prevenzione dei conflitti collettivi di
lavoro con riferimento alla libera<BR>circolazione delle persone” e del ddl n.
1409 (presentato da Ichino ed altri senatori) “Disposizioni per
la<BR>3<BR>regolazione del conflitto sindacale nel settore dei pubblici
trasporti”, presso la commissione affari<BR>costituzionali e la commissione
lavoro del senato.<BR>Il sen. Giuliano (PDL) nella relazione in commissione
lavoro ha affermato la necessità<BR>“dell’accertamento da parte dell’opinione
pubblica della giustezza delle rivendicazioni degli stessi<BR>lavoratori”.
Durante la seduta, il sen. Ichino (PD) ha avanzato la richiesta di assegnare
congiuntamente<BR>alle stesse commissioni l’esame del ddl n. 1170 “Disposizioni
in materia di sciopero virtuale” (sempre<BR>Il disegno di legge delega del
governo (messo a punto da Sacconi) è stato approvato in CDM il 27<BR>febbraio
del 2009 e punta a una stretta fissando una serie di paletti ai conflitti. Le
nuove regole<BR>prevedono, per i conflitti che riguardano “la libera
circolazione delle persone”, che i sindacati per poter<BR>proclamare uno
sciopero abbiano una soglia del 50% di rappresentatività, mentre le sigle che
hanno il<BR>20% sono tenute a indire un referendum preventivo, e poi a ottenere
almeno il 30% dei consensi allo stop<BR>tra i lavoratori per poter scendere in
piazza. Viene anche previsto un giro di vite contro le proteste<BR>“selvagge”
(con multe sino a 5 mila euro), i blocchi della circolazione ed i fermi dei tir.
Ma le novità non<BR>finiscono qua. Arrivano infatti anche l’adesione preventiva
individuale e lo sciopero virtuale (che potrà<BR>essere obbligatorio se il
servizio è necessario) che saranno disciplinati per via contrattuale. Per
quanto<BR>riguarda lo sciopero virtuale, spiega Ichino, «noi lo proponiamo come
possibilità aggiuntiva rispetto allo<BR>sciopero tradizionale, attivabile nel
quadro di un accordo collettivo preventivo, che definisca la
quota<BR>dell’esborso orario a carico delle imprese per ciascuno lavoratore
aderente all’iniziativa».”<BR>Infine, Marchionne, presentando il piano di
ristrutturazione Fiat, ha posto questo ricatto: il successo del suo<BR>piano
industriale (peraltro pieno di incognite per i lavoratori) è legato alla
flessibilità della forza lavoro e dei<BR>dirigenti. «e’ un elemento
indispensabile - ha sottolineato - perché gli stabilimenti possono funzionare
solo<BR>se lavorano a piena capacità». Di conseguenza si rende necessario
«ridefinire gli accordi con i sindacati,<BR>perché quelli in vigore non sono più
adeguati alla realtà attuale». Promette, a questa condizione, che
gli<BR>impianti italiani della Fiat nel 2014 produrranno 1,4 milioni di vetture
anziché 900mila. E agli analisti che gli<BR>chiedevano se, a suo parere,
sindacati e governo avrebbero condiviso il piano per l’Italia, il supermanager
ha<BR>ammonito minaccioso che «è già pronto un piano b, e vi assicuro che non è
un piano molto bello».<BR>In compenso ha ribadito la necessità di un sostegno
alla produzione attraverso nuovi incentivi, cioè<BR>finanziamenti pagati,
attraverso le imposte, quasi totalmente dai lavoratori!<BR>Insomma i lavoratori
dovrebbero finanziare un piano che prevede un’ulteriore precarizzazione del
lavoro!<BR>Si tratta dell’eterna visione asimmetrica del cosiddetto libero
mercato: da un lato si richiede il rispetto delle<BR>sue “leggi” (lavoro
flessibile), ma dall’altro si chiede di poterle violare, chiedendo finanziamenti
pubblici!<BR></FONT></DIV>
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