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19/3/2010</DIV></DIV></TD></TR>
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<DIV align=center>Finora soltanto 35 fuoriuscite
volontarie<BR></DIV></DIV></TD></TR>
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<DIV align=center>Dalmine lima i tagli <BR></DIV></DIV></TD></TR>
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<P>Tutta quella voglia di licenziare, con la ripresa degli ordini,
alla Dalmine è sparita quasi d’incanto. Non che i 741 tagli (576
operai e 165 impiegati) siano da considerare cancellati, ma finora,
a due mesi e mezzo dalla firma dell’accordo, gli unici a lasciare
effettivamente l’acciaieria sono stati 35 dipendenti con invalidità
leggera (Rcl: ridotte capacità lavorative). E anche il ricorso alla
cassa integrazione speciale, prenotato in teoria per 2.700
cristiani, viene usato oggi con il contagocce, con l’unica eccezione
del Fapi (Fabbrica piccoli tubi) che è il reparto con i problemi
maggiori, in odore di delocalizzazione tra Dalmine e la
Transilvania. Fatto sta che la situazione aziendale si presenta
decisamente migliore di quanto prospettato dal management, al punto
che le RSU della Tenaris Dalmine ha chiesto ufficialmente un
incontro per chiarire come e quando verrà applicato il
piano.<BR><BR>Un discorso che, oltre ai lavoratori, coinvolge anche
il programma biennale di investimenti: 114 milioni di dollari,
destinati in buona parte al laminatoio. Alla Dalmine, la crisi è
scoppiata a fine 2008. Per quasi un anno - magrissimo per l’economia
- nella stanza dei bottoni hanno studiato l’andazzo poi, il 29
dicembre 2009, la multinazionale della famiglia Rocca ha chiuso
l’accordo sui tagli. E’ accaduto però che, tra fine 2009 e fine
2009, il fatturato sia cresciuto del cento e passa per cento (240,8
milioni di dollari dai 114,5 milioni dell’anno prima). Di tutta la
catena produttiva in affanno - dall’auto all’edilizia - quella del
petrolio è poi una delle meno tartassate, oppure la prima a
riprendere quota, con il greggio sugli 80 dollari al barile. Il
primo punto di incertezza, invece, riguarda la solidità di questa
ripresa apparente: è legata A) a una maggiore domanda effettiva,
oppure B) è l’effetto dei dazi europei e americani sui tubi senza
saldatura importati dalla Cina? Nell’ipotesi B), tempo qualche mese
e le fuoriuscite saranno centinaia. Nell’ipotesi A), invece, al
posto dei lavoratori tagliati potrebbero entrarne di nuovi, che
costano meno, magari con il contratto a termine. Per quanto riguarda
gli investimenti, i 114 milioni fanno parte di un piano biennale
destinato soprattutto a potenziare la produttività del laminatoio,
introducendo un sistema «a isole » sul modello della Brembo. Alla
luce dell’andamento di mercato, sempre più premiante per i tubi di
grosso calibro e penalizzante per i piccoli tagli, potrebbe essere
rispolverato il progetto di modifica dell’impianto, che un
rafforzamento strategico che punta sulle lavorazioni maggiormente
redditizie. Ovvio che, su argomenti come questi, la parola spetti ai
Rocca, dai quali è attesa una risposta sul futuro della Dalmine. La
tempistica non è stretta, tenendo presente che gli accordi
garantiscono due anni si cigs con l’opzione di un terzo anno, però
nemmeno rifare il laminatoio è lavoro di pochi giorni e si rende
anzi necessaria una fermata. Intanto, gli esuberi sono ancora tutti
lì, al loro
posto.</P></DIV></TD></TR></TBODY></TABLE></DIV></TD></TR></TBODY></TABLE></FONT></DIV></BODY></HTML>