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<body bgcolor="#ffffff" text="#000000">
<p class="MsoNormal">La Repubblica: ecco la “tassa” sulla speranza di
vita</p>
<p class="MsoNormal"><span class="date-display-single">Giovedì, 12
Novembre, 2009</span>
</p>
<p style="text-align: justify;">La Repubblica pubblica oggi un articolo
dedicato
alla <strong><u><a
href="http://www.repubblica.it/2009/05/sezioni/economia/pensioni/tassa-vita/tassa-vita.html#commenta">nuova
“tassa” sulla speranza di vita</a></u></strong> che ridurrà la pensione
dei
giovani. A causa infatti della “revisione dei coefficienti di
trasformazione”,
già a partire da gennaio scatterà la riduzione degli assegni
pensionistici
futuri, dovuti al fatto che… si vive più a lungo.</p>
<p style="text-align: justify;">“Il fatto che gli italiani vivano più a
lungo
rispetto a quindici anni fa nasconde una contropartita che in pochi
conoscono:
la pensione sarà più bassa – si legge sul quotidiano –. Con buona pace
di chi
annuncia che il sistema previdenziale non sarà toccato. Tutto nasce da
un
semplice problema: vivere di più significa, a parità di condizioni,
ricevere la
pensione per un numero maggiore di anni, con un costo che lo Stato
ritiene fin
d'ora insostenibile. La soluzione trovata è aritmeticamente
ineccepibile:
l'assegno mensile non potrà più essere quello di prima, ma
necessariamente più
leggero”.</p>
<p style="text-align: justify;">“Lo Stato – prosegue l’articolo a firma
di Marco
Ruffolo –, invece di pagare poniamo 1.000 euro al mese per 19 anni (era
la
speranza di vita dei maschi ultrasessantenni una quindicina di anni
fa), darà
905 euro al mese per 21 anni (speranza di vita attuale). E non è finita
qui,
perché ogni ulteriore aumento della vita media in futuro farà scattare
di tre
anni in tre anni un taglio della pensione. Insomma, campare di più non
è un
regalo ma ha un prezzo da pagare alla collettività”.</p>
<p style="text-align: justify;">“Ma lasciamo parlare i dati,
cominciando dalla
situazione del lavoratore dipendente cinquantenne (diciamo 52), assunto
nel
1985. Immaginiamo che voglia andare in pensione nel 2020 all'età minima
consentita: 62 anni e 35 di contributi. Se non fosse introdotta la
nuova
"tassa sulla speranza di vita", prenderebbe il 62 per cento dello
stipendio. Con la penalizzazione avrà invece il 58,5%. Per continuare a
prendere il 62%, dovrà aspettare tre anni, fino al sessantacinquesimo
anno di
età. Se invece il lavoratore aveva deciso in ogni caso di andare in
pensione a
65 anni, perderà quattro punti percentuali del proprio stipendio: circa
80 euro
al mese su uno stipendio di 2.000 euro”.</p>
<p style="text-align: justify;">”Prendiamo ora un giovane ventisettenne
– spiega
il giornale – che dopo un lungo precariato sta finalmente per essere
assunto
all'inizio del prossimo anno. Nel 2045 avrà 62 anni e 35 anni di
contributi (di
più non è riuscito ad accumularne). Lasciando il lavoro a quell'età, se
non
venisse introdotta la nuova ‘tassa sulla speranza di vita’, avrebbe un
assegno
pari al 60 per cento del proprio stipendio. Con la tassa, otterrà solo
poco più
del 52%. Se invece decidesse di rinviare il pensionamento fino al
sessantacinquesimo compleanno, otterrebbe il 57 per cento, ossia
recupererebbe
qualcosa ma perderebbe comunque tre punti percentuali del proprio
stipendio.
Una stangata anche maggiore subirebbe chi avesse fin dall'inizio
progettato di
andare in pensione a 65 anni: perdita secca di nove punti, che per uno
stipendio di 2.000 euro equivale a quasi 200 euro al mese in meno”.</p>
<br>
<br>
<pre class="moz-signature" cols="72">--
</pre>
<p class="MsoNormal">Ultimo aggiornamento: Giovedì, 12 Novembre, 2009 -
15:50</p>
<p class="MsoNormal">ECONOMIA</p>
<h3>Da gennaio scatta la riduzione degli assegni futuri dovuta alla
circostanza<br>
che si vive più a lungo. Tagli da 150 euro solo in parte evitabili
lavorando
più anni</h3>
<h1>La "tassa" sulla speranza di vita<br>
che ridurrà la pensione dei giovani</h1>
<h2><span class="txt12"><span style="font-style: normal;">di MARCO
RUFFOLO</span></span></h2>
<p class="MsoNormal"><o:p> </o:p></p>
<p class="MsoNormal"><br>
<b>ROMA -</b> Si potrebbe chiamare "tassa sulla speranza di vita". Il
fatto che gli italiani vivano più a lungo rispetto a quindici anni fa
nasconde
una contropartita che in pochi conoscono: la pensione sarà più bassa.
Con buona
pace di chi annuncia che il sistema previdenziale non sarà toccato.
Tutto nasce
da un semplice problema: vivere di più significa, a parità di
condizioni,
ricevere la pensione per un numero maggiore di anni, con un costo che
lo Stato
ritiene fin d'ora insostenibile. La soluzione trovata è aritmeticamente
ineccepibile: l'assegno mensile non potrà più essere quello di prima,
ma
necessariamente più leggero. <br>
<br>
Lo Stato, invece di pagare poniamo 1.000 euro al mese per 19 anni (era
la
speranza di vita dei maschi ultrasessantenni una quindicina di anni
fa), darà
905 euro al mese per 21 anni (speranza di vita attuale). E non è finita
qui,
perché ogni ulteriore aumento della vita media in futuro farà scattare
di tre
anni in tre anni un taglio della pensione. Insomma, campare di più non
è un regalo
ma ha un prezzo da pagare alla collettività. Non stiamo ovviamente
parlando di
quanti vanno in pensione adesso o ci stanno per andare: per loro
l'assegno più
o meno resta quello previsto. Stiamo parlando di tutti gli altri: i
cinquantenni cui manca ancora una decina di anni, e soprattutto i
giovani
appena assunti o destinati ad esserlo. Che si porranno subito una
domanda:
scegliendo di andare in pensione più tardi, si eviterà la decurtazione
dell'assegno? Per i cinquantenni la risposta è "sì", almeno in parte.
Per i giovani "no". <br style="">
<!--[if !supportLineBreakNewLine]--><br style="">
<!--[endif]--></p>
<p class="MsoNormal"><br>
Tutto questo non è un progetto, è già deciso e scatterà dal primo
gennaio 2010.
Lo ha disposto la riforma Dini del '95, lo ha tradotto in cifre una
legge del
2007, lo ha confermato l'attuale governo. Dunque, decisione
assolutamente
bipartisan. Il fatto che non se ne parli tanto è almeno in parte dovuto
all'astruso titolo di questa norma, incomprensibile per i non addetti
ai
lavori: "Revisione dei coefficienti di trasformazione". Si tratta di
quei numeretti che moltiplicati per la totalità dei contributi versati
danno
come risultato la pensione dovuta a ciascun lavoratore. Ogni tre anni
questi
numeri andranno rivisti al ribasso man mano che crescerà la speranza di
vita.
Primo taglio a gennaio, dopo un lungo rimpallo tra i governi
succedutisi dopo
Dini. <br>
<br>
Ma lasciamo parlare i dati, cominciando dalla situazione del lavoratore
dipendente cinquantenne (diciamo 52), assunto nel 1985. Immaginiamo che
voglia
andare in pensione nel 2020 all'età minima consentita: 62 anni e 35 di
contributi.
Se non fosse introdotta la nuova "tassa sulla speranza di vita",
prenderebbe il 62 per cento dello stipendio. Con la penalizzazione avrà
invece
il 58,5%. Per continuare a prendere il 62%, dovrà aspettare tre anni,
fino al
sessantacinquesimo anno di età. Se invece il lavoratore aveva deciso in
ogni
caso di andare in pensione a 65 anni, perderà quattro punti percentuali
del
proprio stipendio: circa 80 euro al mese su uno stipendio di 2.000
euro. <br>
<br>
Prendiamo ora un giovane ventisettenne che dopo un lungo precariato sta
finalmente per essere assunto all'inizio del prossimo anno. Nel 2045
avrà 62
anni e 35 anni di contributi (di più non è riuscito ad accumularne).
Lasciando
il lavoro a quell'età, se non venisse introdotta la nuova "tassa sulla
speranza di vita", avrebbe un assegno pari al 60 per cento del proprio
stipendio. Con la tassa, otterrà solo poco più del 52%. Se invece
decidesse di
rinviare il pensionamento fino al sessantacinquesimo compleanno,
otterrebbe il
57 per cento, ossia recupererebbe qualcosa ma perderebbe comunque tre
punti
percentuali del proprio stipendio. Una stangata anche maggiore
subirebbe chi
avesse fin dall'inizio progettato di andare in pensione a 65 anni:
perdita
secca di nove punti, che per uno stipendio di 2.000 euro equivale a
quasi 200
euro al mese in meno. <br>
<br>
Tutto chiaro. Ma resta un dubbio, anzi due. Finora ci hanno ripetuto
fino alla
nausea che per salvare il sistema previdenziale è necessario innalzare
l'età
pensionistica, anche più di quanto già previsto. E ora scopriamo che
per tutti
i giovani lavoratori e i futuri assunti, rinviare l'addio al lavoro non
servirà
affatto a evitare un taglio dell'assegno. Ci si aspetterebbe che il
sacrificio
richiesto andasse in una sola direzione, e invece non solo si dovrà
andare in
pensione più tardi, ma si riceveranno meno soldi. <br>
<br>
Un doppio onere che per molti critici del nuovo sistema non sembra
avere alcuna
logica. Secondo dubbio: il taglio dei coefficienti si applica a tutta
la massa
dei contributi versati nel corso della propria vita lavorativa e non -
come
sarebbe più giusto per evitare la retroattività - solo a quelli
successivi
all'introduzione del nuovo sacrificio. <br>
<br>
Alla fine, tirate le somme, il baratro che divide giovani e meno
giovani non fa
che allargarsi ulteriormente, con i primi costretti a pagare, oltre
alle
conseguenze della propria precarietà lavorativa, anche quelle della
crescente
speranza di vita. Su cui sta per abbattersi, silenziosa e implacabile,
la nuova
tassa occulta. <br style="">
<!--[if !supportLineBreakNewLine]--><br style="">
<!--[endif]--></p>
<a class="moz-txt-link-freetext" href="http://www.repubblica.it/2009/05/sezioni/economia/pensioni/tassa-vita/tassa-vita.html#commenta">http://www.repubblica.it/2009/05/sezioni/economia/pensioni/tassa-vita/tassa-vita.html#commenta</a>
<pre class="moz-signature" cols="72">
-(Rapt)-
<a class="moz-txt-link-abbreviated" href="http://www.inventati.org/rapt">www.inventati.org/rapt</a>
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