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<H2 id=post-2972><A href="http://baruda.net/2009/07/14/2972/"
rel=bookmark>L’ennemi interieur, di Mathieu Risouste</A></H2>
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un commento »</A></P>
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<P><STRONG>L’Ennemi interieur, La généalogie coloniale et militare de
l’ordre sécuritaire dans la France contemporaine, di Mathieu
Rigouste</STRONG></P>
<P> di Paolo Persichetti</P>
<P>La temperatura sociale delle periferie francesi è sempre alta. La cronaca non
esita restituirci immagini non molto lontane dalle scene di guerra. Ed, in
effetti, i dispositivi messi in piedi dal governo evocano apertamente la figura
del «nemico interno». Dispiegamento delle più aggiornate tecnologie antisommossa
(elicotteri, micro-droni, telecamere di sorveglianza), fino alla
spettacolarizzazione delle retate di polizia con massiccio dispiegamento di
forze sotto gli occhi delle telecamere, fermi in massa, introduzione d’istituti
giuridici come la «testimonianza sotto anonimato» e i giudizi processuali per
direttissima; creazione di una branca specifica dei Servizi (appartenenti alla
nuova <EM>Direction centrale du renseignement intérieur</EM>, Dcri), con
competenza sulle banlieues, sui moti urbani, il cosiddetto fenomeno delle
«bande», la nascita di nuove banche dati centrali, come il sistema
Edvige-Edvirsp e Cristina (Cf. <EM>Liberazione</EM> – <EM>Queer</EM> del 5
ottobre 2008), finalizzati alla schedatura «di ogni persona d’età superiore ai
13 anni che abbia sollecitato, esercitato o stia esercitando un mandato
politico, sindacale o economico o che rivesta un ruolo istituzionale, economico,
sociale o religioso significativo». <A
href="http://baruda.net/2009/07/14/2972/ennemi_interieur182/"
rel="attachment wp-att-2973"><IMG class="alignright size-full wp-image-2973"
title=Ennemi_interieur182 alt=Ennemi_interieur182
src="http://baruda.files.wordpress.com/2009/07/ennemi_interieur182.gif?w=374&h=582"
width=374 height=582></A>Insomma un intero arsenale tecnico, giuridico e
poliziesco che rinvia apertamente al regime dello stato d’eccezione.</P>
<P>È indubbio che tutto ciò ricalca un immaginario di guerra che conduce a
rappresentare alcune zone della società come dei teatri bellici dove
l’intervento pubblico non si concepisce più nei termini della politica e del
welfare ma unicamente sotto l’aspetto repressivo, per giunta nella sua forma più
intensa: quella militare. Questo «nuovo ordine sicuritario» contemporaneo
avrebbe una genealogia ben precisa rintracciabile nell’esperienza coloniale e
militare della Francia. È quanto dimostra Mathieu Rigouste in un recente volume
edito dalla casa editrice La Découverte, <EM>L’Ennemi interieur. La généalogie
coloniale et militare de l’ordre sécuritaire dans la France contemporaine</EM>.
Il caso francese deve intendersi in questo caso come un laboratorio,
un’esperienza pilota, l’anticipazione di scenari e comportamenti esportabili nel
resto del mondo.</P>
<P>In fondo è già accaduto in passato, quando la «dottrina della guerra
rivoluzionaria», elaborata dagli stati maggiori francesi nel corso delle guerre
coloniali d’Indocina e d’Algeria, popolarizzata nel libro del colonnello Roger
Trinquier, pubblicato nel 1961 col titolo, <EM>La Guerre Moderne</EM>
(ripubblicato da Economica nel 2008) e da cui la Cia ispirò il suo primo manuale
antisovversione, è diventata la madre di tutte le dottrine
contro-inssurrezionali del dopoguerra impiegate dalle forze Nato come da tutte
le dittature militari e fasciste, in particolare in Sud America. La
<EM>counterinsurgency</EM> statunitense altro non è che la rielaborazione delle
tesi che i generali francesi hanno insegnato nelle scuole di guerra del Nord
America. Si veda in proposito il lavoro di Marie-Monique Robin, <EM>Escadrons de
la mort, l’école française</EM>, La Découverte 2004, che ritraccia l’inquietante
percorso di alcuni ufficiali maggiori dell’esercito di Parigi, reduci
dall’Indocina e dall’Algeria, che hanno formato alla controguerriglia gli
ufficiali Usa a Fort Bragg e nella famigerata Scuola delle Americhe. Un
apostolato antisovversivo segnato da varie tappe: lo sbarco come consigliere
militare in Argentina, nel 1957, del colonnello Bentresque; il suo primo giro di
conferenze (1962) nelle caserme sudamericane per insegnare le strategie
antisovversive; Il manuale <EM>Instruction pour la lutte contre la
subversion</EM>, scritto sempre dai colonnelli Ballester e Bentresque; la
proiezione, nel 1971, all’interno della famigerata scuola di meccanica della
Marina a Buenos Aires (dove furono torturati migliaia di cittadini sospettati
d’essere militanti di sinistra) delle scene di tortura presenti nel film la
<EM>Battaglia d’Algeri</EM> di Gillo Pontecorvo, per rendere più efficaci i
corsi di tortura impartiti ai presenti. La missione in Brasile del generale Paul
Aussaresses, il gran maestro della tortura in Algeria, l’uomo che ha
perfezionato e insegnato a tutti gli eserciti e polizie dell’Occidente l’uso
degli elettrodi (sui genitali e le tempie) e della <EM>waterboarding
</EM>(l’annegamento simulato) durante gli interrogatori. Metodi impiegati
diffusamente anche dalla nostra Digos contro i militanti della lottarmata
arrestati nel biennio 1982-83, ben prima che suscitassero scandalo perché
impiegati dalla Cia nelle prigioni di Guantanamo e Abu Ghraib.</P>
<P>La dottrina della guerra rivoluzionaria sostituita da De Gaulle, non senza
difficoltà, grazie all’arma nucleare acquisita nel 1960, e sostituita dalla
dottrina della dissuasione del «debole verso il forte», non sarebbe mai stata
rimossa definitivamente, anzi avrebbe mantenuto solide radici all’interno di
alcuni settori militari per trasmigrare nelle forze di polizia ispirando le
politiche di «mantenimento dell’ordine», utilizzate “ufficiosamente” nell’area
d’influenza africana e nella gestione del controllo interno dopo il 1968 e da
qui, soprattutto dopo l’11 settembre, assorbite anche dal mondo della politica
fino a dare forma ad un modello di potere militarizzato.<BR><A
href="http://baruda.net/2009/07/14/2972/police-partout3/"
rel="attachment wp-att-2974"><IMG class="alignleft size-full wp-image-2974"
title=police-partout3 alt=police-partout3
src="http://baruda.files.wordpress.com/2009/07/police-partout3.jpg?w=450&h=407"
width=450 height=407></A>Al vecchio nemico geopolitico comunista dell’epoca dei
blocchi, dopo l’89 si sarebbero venuti a sostituire una proliferazione di «nuove
minacce», terrorismo, islamismo, violenze urbane, <EM>incivilités</EM> (qualcosa
che assomiglia al nostro bullismo) che hanno giustificato la riedizione di una
nuova figura di nemico interno, l’immigrato post-coloniale in grado di
riattivare il risorgere di passate rappresentazioni razziste. Un nemico
socio-etnico, locale e globale al tempo steso, dissimulato nei quartieri
popolari, residente nelle periferie, soprattutto tra i «non bianchi poveri».</P>
<P>L’immaginario, la costruzione e proiezione di raffigurazioni che vanno ad
arricchire il repertorio delle classi pericolose e delle leggende ansiogene,
costituiscono un elemento decisivo di questo nuovo ordine sicuritario che
ispirandosi ai criteri della «guerra totale», ricorre alla cosiddetta «guerra
psicologica», ovvero alla mobilitazione delle coscienze, alla costruzione di
consenso, lì dove lo Stato-nazione è concepito come un organismo che la difesa
nazionale deve immunizzare dalle malattie sociali, dai contagi rivoluzionari,
dalla piaga del crimine, l’epidemia del vizio, e rassicurare dalle
paure.<BR>Questo nuovo ordine collima con una nuova formazione sociale che
Mathieu Rigouste definisce «capitalismo sicuritario», dove il controllo oltre a
riprodursi in forma allargata ha ingenerato un proprio mercato. La forma più
inquietante di questo modello descrittivo è la constazione del grado di adesione
dei controllati ai controllori. Non si tratta di un semplice modello di
dominazione, ma di un processo di adesione dal basso, di controllo reciproco e
autocontrollo. Quello che il sociologo Philippe Robert coglie descrivendo
l’emergere di un «neoproletariato della sicurezza», reclutato grazie al
precariato di massa all’interno di quel sistema di polizia sociale che è il
mondo della sicurezza e della vigilanza privata, un sottosistema del controllo
brulicante di sorveglianti dei metrò e dei supermercati, subalterni della
sicurezza di vario ordine e natura, fino ai mediatori sociali, gli stuart degli
stadi, gli assistenti sociali eccetera. Un sistema dove il povero è preso a
controllare l’altro povero e non alza più la
testa.</P></DIV></DIV></DIV></BODY></HTML>