<!DOCTYPE HTML PUBLIC "-//W3C//DTD HTML 4.0 Transitional//EN">
<HTML><HEAD>
<META content="text/html; charset=iso-8859-1" http-equiv=Content-Type>
<META name=GENERATOR content="MSHTML 8.00.6001.18783">
<STYLE></STYLE>
</HEAD>
<BODY bgColor=#ffffff>
<DIV>
<DIV><BR>il giorno prima<BR><BR>Espulsi i sans papiers che occupavano da 15 mesi
la Bourse de Travail (* si tratta di strutture territoriali "storiche" del
sindacalismo, dell'ordine delle Camere del lavoro) della rue Charlot.<BR><BR>Le
prime informazioni dicono che alle 13 una "truppa" del servizio d'ordine della
CGT (che "friggeva" da mesi, con le mani che gli prudevano...) ha fatto
irruzione nella corte ; ne è nata una bagarre con gli occupanti a difesa, che
avrebbe fatto scattare, 'a orologeria', il pronto intervento dei CRS (* diciamo,
equivalente di quella che classicamente va sotto il nome di "Celere"
).<BR><BR>Adesso, centinaia di bambini, di donne e di uomini, sono 'alla
strada', e sotto l'ipoteca di retate di espellibili...<BR><BR><BR>Si prega di
far circolare l'informazione.<BR><BR>NOTABENE<BR><BR>NB Je crois que l'on puisse
trouver le site du Journal de la bourse de travail occupée (ou Quotidien...),
contenant aussi les n°s del quotidien des sans papiers.<BR><BR>Ciao, Oreste
& C.<BR></DIV>
<DIV>il giorno dopo:<BR><BR>POSCRITTO AL TESTO A CHE PUNTO È LA NOTTE… , CHE
FINIVA COSÌ :<BR>°°° Una nota – non già di speranza, ma di scommessa : dopo più
di ventiquattrore, sono ancora tutti e tutte lì, su quel marciapiede, e a
rischio di una retata che li porti in un centro di detenzione, e di smistamento
per la deportazione. La vita nuda mostra così la sua irriducibile potenza,
disperata vitalità, potenza di persistere nel proprio essere.<BR>Paris, 25
giugno 2009 Oreste Scalzone<BR>POSCRITTO , 26 giugno <BR>Ieri arriviamo sul
marciapiede brulicante-di-vita sotto la Bourse du travail verso le otto di sera,
venendo dalla settimanale “assemblea a cielo aperto” sulla piazza-sagrato del
Beaubourg dove – come “ieri” contro l’estradizione di Marina Petrella, oggi
testimoniamo della determinazione a interporci coi nostri corpi ad una eventuale
sciagurata decisione di estradare i nostri fraterni amici e compagni Sonja e
Christian. I CRS che, a loro volta circondati dalla lunga teoria dei loro
camion, circondano il marciapiede e “massa umana” che lo riempie di – anche se
disperata, vita –, ti bloccano e ti chiedono di aprire borsa o zaino per
controllare. Non già “armi improprie”, o “proprie” – che so, metti a uno come me
che in un libro di Valcarenghi sulla Milano dei Seventies veniva chiamato
“Scalzolotov”. No, controllano che non si faccia entrare del cibo ! D’altra
parte, ci raccontano dei compagni, conosciuti e sconosciuti, e delle donne ed
uomini accampati, che la sera prima si è sfiorata la Battaglia perché gendarmes
e CRS eseguivano con puntiglio da banalità del male l’ordine di non lasciar
accedere, nemmeno le donne, ad un paio di quei moderni vespasiani d’acciaio, a
moneta ed apertura automatica, che troneggiano sui marciapiedi della metropoli.
Il motivo, « non lasciar deteriorare delle attrezzature urbane ». Stessa cultura
– polizia e sindacati di Stato, servo/padronali – di quella specie di Franti
d’altobordo, che – senza nemmeno la virtù democristiana, togliattiana,
clerico-liberale e clerico-stalinista di ipocrisie e doppiezze – apre
l’impermeabile dell’esibizionista per parlare di « quantitativi di donne » e
relativi « utilizzatori » (sto parlando, tanto per non far nomi, dell’On. Avv.
Ghedini… non ricordo il prenome di quest’infimo).<BR>Per fortuna, un paio di
compagne vanno a cuocere chili di riso ed altro, e tornano riuscendo a lanciare
i sacchetti, un po’ come “il cuore oltre i reticolati”, e i bambini fanno cena.
A proposito, devo scappare a salutare, con altri uomini e donne della
rifugiaterìa parigina, i compagni di Sensibili alle foglie (Marita, Renato e la
figlia Cloe ; Nicola, Pierofumarola e qualche altro nuovo amico), che ripartono
dopo un convegno su Georges Lapassade, la socioanalisi, gli incroci con la
Critica della vita quotidiana di Henri Léfebvre, con la schizoanalisi, la
psicoterapia istituzionale, e molto altro. Si è discusso, nell’ultima giornata,
di « socio-analisi narrativa », di « stati modificati di coscienza », di
tarantula, “morso e rimorso”, ed altro. Si discute, qualcuno irrompe cantando e
ballando tammurriate, si va avanti fino a tardi. Saluti, appuntamenti, abbracci.
Rientro qualche minuto troppo tardi per evitarmi lo scroscio di un acquazzone
imponente dopo la cappa del caldo. Crollo a dormire un po’, e al risveglio piove
ancora.<BR>Nella congiunzione fra fragilità fisica, “salute cagionevole” (da –
reale o, reale e decretato da ipocondria esportata e proiettatami addosso dalla
prima infanzia – “scampato” di giustezza a complicanze da prematuri), e
vigilanza iperestesìaca un po’ ipertrofica, penso che una notte di pioggia
battente non sia stata sopportabile per la gente di quell’odioso marciapiede.
Arrivo là per cercar notizie, e trovo “tutto il villaggio”. I teli azzurri di
plastica dura coprono le povere cose accatastate contro il muro di pietra e
merda della cattedrale sindacale, i bambini scorrazzano, parlano a voce alta le
donne in gruppo, gli uomini fumano silenziosi e a domanda ti raccontano.<BR>Sono
tornato a casa solo per scrivere, alla meno peggio, quanto segue. Lo dico in
fretta, d’un fiato, senza ripensarci, senza spiegare, spiegarmi, spaccar
capelli, farmi avvocato del diavolo, tentar di tagliare la strada a malintesi e
altro del genere : devo tornare là, e dunque mi arrendo ad un assurdo nodo
d’ingiunzioni contraddittorie, alla prescrizione, intimazione a doppio taglio,
doppio vincolo, nodo scorsoio, groviglio di intimazioni autocontraddittorie,
quale « in fretta e breve, conciso e semplice e chiaro e nel linguaggio corrente
» …<BR>“Infame società…” , cantava la romanza anarcomunista “Battan l’otto”,
originariamente chiamata “Quelli dello sciopero di Terni” (sciopero poi serrata
dell’anno millenovecento – moi nonn’Oreste Fabbri lo raccontava, raccontava dei
treni coi bambini che partivano per essere accolti dalle braccia fraterne delle
famiglie operaie del nord, o di proletari “terroni”).<BR>Oggi, ecco, I had a
dream. Che una fiumana di gente senza troppi striscioni, bandière, distintivi,
orpelli, investa il palazzo rossiccio e vetro della sede centrale della CGT qui
a tre passi da dove abitiamo noi, a porte de Montreuil.<BR>Che li si copra di
mmerda, li si chiami coi nomi che gli spettano, “Servi dei servi dei servi dei
servi”, servo/padroni, corporativi, prosseneti, razzisti, stalino-fascisti,
teppa, white-shit ! Altro che Lama !<BR>L’affare delle ruspe segno, come un
presagio, una profezìa che si autorealizza, l’inizio del declino inesorabile del
PCF. Questa vergogna deve segnare l’inizio della fine di un cancro che mina ogni
possibilità di anche solo pensare, non si dice la rivoluzione sempre più
necessaria e sempre più difficile, fino a sfiorare l’impensabile, ma anche
semplicemente delle lotte, foss’anche di adeguate resistenze…<BR>Malgrado a
tanti possa far male al cuore, non si può non far soffrire “Billancourt”… * [*
L’espressione fu usata da Jean-Paul Sartre, Simone De Beauvoir, Simone Signoret
e Yves Montand di ritorno da un ultimo viaggio in URSS dopo il disincantamento.
A domanda sul perché non avessero detto a suo tempo, sin da quando se ne erano
resi conto, che il « socialismo reale » era innanzitutto una dittatura sul
proletariato, risposero « Non potevamo gettare nella disperazione ‘Billancourt’
» : il nome della fabbrica alludeva, simboleggiava la classe operaia e tutto il
gigantesco rizoma di movimenti sociali che, nella sua schiacciante maggioranza,
aveva riposto e continuava a riporre in quella che per noi era una contradictio
in adjecto allo stato puro, la mostruosa Chimera di una “Patria della
liberazione umana”, di uno strano attrattore che confiscava le speranze, di un
Leviathano travestito in tuta blu e stella rossa sul berretto… Dicevano i
quattro, che non se l’erano sentita di provare a sfatare la loro fede, a rischio
– quasi certo – di gettarli nello sconforto, in una disillusione senza né via
d’uscita, e nemmeno consolazione possibile. Certo, gli si sarebbe potuta opporre
un’osservazione di Marx : “se noi strappiamo via i fiori di carta che ammantano,
coprendola, la nuda catena dello sfruttamento, non è per lasciare i proletarî
ancora più disperati e soli ; ma bensì perché, riconoscendola, possano spezzare
la catena e cogliere i fiori vivi…”. Voilà] <BR>Bisogna andare a ‘dare il fatto
loro’ a tutti i poteri costituiti, la catena di commando sociale che sta dietro
questo orrore ed oscenità. Qui si, l’indignazione non è quella cosa ‘a corrente
continua’, tra sindrome di querulenza e pensiero-propaganda, che finisce per
diventare giaculatoria un po’ abietta, autoriconoscimento, vanitas al fondo
identitaria (cioé dell’ordine del patrimoniale, degli assi ereditarî, cioé del
proprietario ; e del rappresentarsi).<BR>Sinora, le “Compagnerìe” intese nel
senso più lato, più indiscriminato, brillano per la loro assenza. Se si tratta
delle “difficolà della vita”, del caldo, dell’impossibile ubiquità…, foss’anche
del “tengo famiglia”, pazienza. Ma me interessano gli uomini e le donne con cui
dividiamo tanto – al netto di tutto – tempo-di-vita, di ascolto e di parola. Se
malauguratamente tante persone, circoli, reti e rizomi, ribelli, critici,
rivoltosi, ultraradicali, “antagonisti”, mantenessero una tiepida distanza,
magari in nome di critiche, obiezioni, magari di tipo “più radicale”, più “puro
e duro”, più “rivoluzionario”, non potrei che dir loro che questo, ‘peggio che
un crimine’, sarebbe un errore. Si porrebbero infatti di colpo come tanti
praticanti una critica della critica critica, poco importa se di parole, d’atti
o d’entrambi. Diventerebbero autoreferenziali, in qualche modo “di lusso”,
facile oggetto su sarcasmi sui dimolto rivoluzionarî…<BR>Questa volta, la
tempestività si impone, sui piani e per gli ordini di considerazione più
diversi. Svicolare questa ‘linea di fronte’, significherebbe essere ben partiti
per un’àlgida vita virtuale, un’altrettanto virtuale
rivoluzionarietà.<BR>26.VI.2009 Oreste Scalzone </DIV></DIV></BODY></HTML>