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href="http://roma.indymedia.org/node/10759">http://roma.indymedia.org/node/10759</A></FONT></P>
<P><FONT size=2 face=Arial>Lo trovate su indy, a me Oreste quando non
parla di amnistia! piace tanto, proprio per quel suo modo di parlare, e ci
trovate dentro tutta la passione che si coniuga all'analisi.</FONT></P>
<P><FONT size=2 face=Arial>Non ci trovate dentro le citazioni di questo e quel
santino ci trovate dentro il "bilancio" delle esperienze vissute.</FONT></P>
<P><FONT size=2 face=Arial>vittoria</FONT></P>
<P><FONT size=2 face=Arial></FONT> </P>
<P>SCALZONE/Tiananmen, Marx è libero</P>
<P>Un uomo solo, camicia bianca su calzoni neri, ripreso di spalle. Dritto,
fragile e possente, armato di niente, niente di concreto ma molto di più, come
transumano si erige contro una colonna di carrarmati. Non sappiamo chi sia, come
la pensi e cosa voglia.</P>
<P>Rispetto all'essenziale, questo è relativamente un dettaglio - la scena lo
trascende. Un esemplare di specie umana, specie di esseri parlanti e
perciostesso "pericolosa". Nel fondo del fondo comune, di specie, potremmo dire
proletari. Un uomo, astratto-eguale e al contempo singolare, unico, è il segno
forte di chissà quante migliaia. Uno, centomila, nessuno. Lui può essere tutto,
e tutt’altro. Questo, nella nostra percezione indelebile, viene dopo,
specificazione ulteriore.<BR>Un carrarmato è cosa complicatissima. Si può
adattare ad esso la definizione marxiana della merce, plesso di relazioni
invisibili eppur materialmente costituenti il suo ontos. Carrarmato ha un fondo
eguale ad altro, ogni altro carrarmato, come merce con ogni altra, in ultima
analisi. Implica, traduce, incarna reca in sé - condizione d'esistenza, essere,
qualità, natura e funzione - una complessità enorme di relazioni, traduce
rapporto sociale, un'intera sistemica. Abbiamo visto che innanzitutto è una
merce. Come un flacone di penicillina che può salvare. Cambia il valore d'uso,
ma sul piano del Valore, ovverossia valore-di-scambio, questa è la primordiale
qualità. In quanto merce, sottende, implica denaro, accumulazione, lavoro,
mercato del lavoro (della forza-lavoro), estrazione di plusvalore,
profitto.<BR>Eppoi, un carrarmato ha altri caratteri essenziali sul piano di
altre economie politiche. È mezzo di distruzione, di riproduzione allargata di
essa. È dispositivo e funzione dello Stato. Un padrone, uno statista, un
colonialista, un monarca, un tiranno, un gerarca, un rappresentante, un
"democratòcrate", sono tutti compatibili con la forma-carrarmato.<BR>Un
comunista, nel senso etimologico del termine, coniato e/o ripescato all’altezza
dei tempi del diluvio rivoluzionario - come diceva Marx - dilagato in Europa
attorno al 1848, un comunista, nel senso che questa parola aveva
nell’Associazione internazionale dei lavoratori, quella che i suoi becchini
avevano poi etichettato come Prima internazionale; un comunista, nel senso che
il termine aveva all'epoca della Comune di Parigi, «la forma finalmente scoperta
che mostra come il proletariato non possa che liberarsi da sé» cioè un
comunardo, un comun’autonomo (autonomia e comunanza essendo consustanziali
(...)<BR>La forma-carrarmato è intrinsecamente statale. E comunismo statale è
perfetta contraddizione in termini, come comunismo capitalistico, padronale,
nazionale, ideologico, governante, governativo, politico, identitario - cioè
proprietario -, razzistico, moralista, penale. Comunismo critico è agli antipodi
di comunismo cratico.<BR>A meno del verificarsi di una situazione per cui
un'insurrezione si trovasse ad aver requisito carrarmati per rivolgerli contro
le forze armate dell'oppressione, come i cannoni presi dalla Guardia
repubblicana all’Armée nei giorni della Comune, i carrarmati, come gli aerei o
le portaerei… non possono essere - come non può mai esserlo un Libertador,
soggetto individuale o corporazione, casta, gerarchia che pretende
autonomizzarti in tuo nome e per tuo conto - un mezzo, una forma, un'arma
liberatrice.<BR>Se la semantica non fosse stata violentata, se i fatti e le
cose, la loro interpretazione, la loro costruzione, non fossero stati distorti
da malinteso e concatenamenti di vere e proprie alienazioni, contraffatti, resi
mutanti mutageni mostruosi, questo non potrebbe che essere il nòcciolo
primordiale, semplice e chiaro.<BR>Si discute tanto di mezzi e fini, di
violenza, di terrorismo. Non avremo mai abbastanza disprezzo - stavolta sì - per
tutti quegli ipocriti o, peggio, sfrontati che mostrano di considerare mostruosa
una sassaiola, impensabile ogni rivolta e qualsivoglia spunto di violenza se non
come, addirittura, provocazione, frutto di manipolazione, mossa da marionettisti
e pupari, ma ritengono più che compatibile comunismo e violenza statale.<BR>Un
tank è un tank. Non può esserci un carrarmato "Compagno". Se questo accade, se
una colonna di carrarmati - contro uno solo o contro una folla di operai
scioperanti in tumulto, come a Berlino ’53, come a Budapest ’56, come a
Tienanmen nell’’89 - si avanza inalberando la bandiera rossa, lo stesso colore
di quella de la Sociale che, accanto a quelle nere degli anarchici - nere come i
grembiuli dei tessitori Canuts delle rivolte degli anni ’30 dell’Ottocento alla
Croix rousse di Lione - è stata un vessillo degli insorti comunardi, vuol dire
che è avvenuta una sorta di catastrofica e mostruosa mutazione di ogni parametro
e termine della questione. Che il termine comunismo è stato sottoposto ad una
serie di stupri semantici a catena.<BR>Se una vertigine identitaria, cioè la
peggior forma della patrimonialità, della proprietarietà, fa pensare a tanti
rivoltosi, a tanti antagonisti, che il colore e i simboli facciano la differenza
e contino più della natura, della natura dei rapporti sociali, inter-umani che
fatti e cose rivelano, questo è segno che c'è qualcosa di profondamente
insensato e malato sotto tutto questo, che dura da più di un secolo, e che
rischia di esser mortale.<BR>Ha scritto su queste colonne Piero Sansonetti che
«noi sessantottini avevamo fatto della Cina un'icona, e avevamo visto nel
maoismo non un'orrenda variante dello stalinismo e del comunismo di Stato
oppressivo, ma al contrario una forma di rinnovamento del cupo socialismo
sovietico, un modo per restituire potere al popolo il potere espropriato dalla
nomenclatura di partito [...] Avevamo visto nel maoismo, e nella Cina, una forma
libertaria di comunismo. I carrarmati di Deng hanno sotterrato definitivamente
questa speranza».<BR>Vorrei segnalare a Piero alcune obiezioni cominciando col
dire che il Sessantotto non è certo stato tutto dominato dall’ideologia maoista
o da altre varianti consimili di un'idea comunque statalista, post-giacobina e
lassalliana più che, certo non solo anarchica, ma anche marxiana. Dovrei
ricordare tutta una cartografia dei comunismi "altri", che non sono piccole
élites, ma - per esempio negli anni ‘20 - hanno condotto una durissima guerra su
due fronti della controrivoluzione, quello statal-padronale diretto, classico, e
quello del socialismo reale staliniano, conseguenza estrema di quello che
qualcuno ha chiamato il "kautsko-bolscevismo".<BR>Si può dire piuttosto che i
Viet-cong, sì, sono stati un mito sessantottesco largamente condiviso. Ma, chi
avrebbe potuto aver una pre-scienza, allora, per capire come sarebbe andata a
finire? Non conoscevamo le pagine straordinarie dell’operaio rivoluzionario Ngo
Van, Vietnam 1920-45, rivoluzione e contro-rivoluzione sotto la dominazione
coloniale.<BR>Mi limito dunque a dire che, per tanti come me, il comunismo non
ha una data e luogo di nascita per questo non può avere un certificato di morte.
Comunismo non è un'invenzione, o un regime da instaurare. Come istanza, come
figura della potenza nel senso spinoziano, cioè dell'etica, esso è sempre
vissuto nelle pieghe del reale, venendo a tratti allo scoperto. Vale quello che
vale per la facoltà della parola, l'amore, la rivolta. Forse che possono avere
una territorializzazione, una forma di Stato, un luogo e certificazione di
nascita e dunque di morte? Quello che è morto (e voglio dire: sempre troppo
tardi!) è una radicale contraffazione - derivante da malinteso, da omologia -
del comunismo come movimento, movimento della critica radicale, teorico/pratica.
Nel mio piccolo, vorrei ricordare il poster che nell’89 - dopo la caduta del
Muro e prima di Tienanmen - chiedemmo a Mario Schifano di illustrare (e lo fece,
con una bellissima faccia di Marx che era confusa con la cartografia di un globo
terracqueo). Lo slogan stampigliato sopra era: «Marx 1989, finalmente libero!».
Certo che la previsione era sognante e quella riapertura che ci sembrava di
intravedere e speravamo non si è prodotta. Ma come arrivare a dire che la
partita sia chiusa? Non è forse idea da «fine della Storia» alla Fukujama? Il
comunismo non l’ha inventato nessuno, è una virtualità, che c'è, come la potenza
di vita. Non è un articolo di fede, una giaculatoria. Ma forse il comunismo
potrà riemergere solo quando, e se il suo "doppio" mostruosamente contraffatto
avrà finito di esser dimenticato per sempre.</P>
<P>Oreste Scalzone</P></DIV></BODY></HTML>