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<H3><A title="Permanent Link to Il lato nero del profitto"
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<P class=posted>Guglielmo Forges Davanzati - 09 Dicembre 2008</P>
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<P class=MsoNormal style="TEXT-ALIGN: justify" align=left><IMG height=191
src="http://62.149.211.37/economia/wp-content/uploads/rockefeller-lavoro-320x200.jpg"
width=320 border=0>Il Ministro Sacconi dichiara, in ogni occasione possibile,
che il lavoro nero va contrastato con tutti gli strumenti possibili, in primo
luogo con l’attività di vigilanza e repressione. Si tratta dello stesso Ministro
che ha voluto il Libro Unico del Lavoro, di cui al decreto-legge n. 112/2008, il
cui primo obiettivo consiste nel ‘semplificare’ l’attività d’impresa, mediante
due principali dispositivi. In primo luogo, si esonerano le imprese dal tenere
la documentazione necessaria a comprovare la regolarità delle assunzioni nel
caso in cui esse abbiano più sedi operative, rendendo obbligatoria la
disponibilità dei registri nella sola sede legale. In secondo luogo, si dispone
che se un ispettore riscontra manodopera non regolare, ma se l’imprenditore “non
mostra la volontà di occultarla”, non è possibile comminare una sanzione. Non
soltanto si è in presenza di norme che oggettivamente favoriscono il ricorso al
lavoro nero, ma si è di fronte a una inversione di tendenza – difficilmente
giustificabile - rispetto a quanto si è cercato di fare nel recente passato,
soprattutto per impulso della CGIL, mediante l’adozione di “indici di congruità”
finalizzati a quantificare l’impiego ‘normale’ di forza-lavoro in relazione al
fatturato aziendale, con interventi di sanzionamento per deviazioni
significative da tali valori, che hanno dato buon esito laddove sono stati
sperimentati. Nel corso degli ultimi anni, si è potuto riscontrare il simultaneo
aumento delle dimensioni dell’economia sommersa, in Europa e in Italia, e dei
profitti. Il Fondo monetario internazionale stima che, nell’Unione europea, sono
circa 20 milioni gli individui coinvolti in attività irregolari, che in Italia
una percentuale di lavoratori oscillante fra il 30 e il 48% si colloca in
segmenti di mercato ‘nascosti’ e che tale percentuale è di molto aumentata nel
corso dell’ultimo decennio. Disaggregando il dato, si rileva, su fonte CENSIS,
che il tasso di irregolarità si assesta intorno al 20% nel Mezzogiorno, in
aumento rispetto ai primi anni 2000, a fronte di una media del 9% al Nord, dove
subisce una pur lieve flessione. Al tempo stesso, la BCE registra che i
profitti complessivi in Europa sono aumentati dai circa 7 milioni di euro nel
1999 ai quasi 13.000 milioni nel 2007. Paiono sufficienti questi dati per
destituire di fondamenta la tesi liberista secondo la quale l’intera economia
sommersa costituisce causa di concorrenza sleale nei confronti dell’economia
regolare e, dunque, comprime i profitti delle imprese che rispettano la
normativa vigente. Ciò può portare a ritenere il sommerso – o almeno una sua
porzione significativa – come semmai funzionale alla riproduzione capitalistica,
per diverse ragioni. In primo luogo, soprattutto tramite esternalizzazioni, le
imprese formalmente regolari riescono ad approvvigionarsi a più bassi prezzi di
prodotti intermedi; il che consente loro di ridurre i costi di produzione,
acquisendo quote di mercato a danno delle potenziali concorrenti, e soprattutto,
delle imprese concorrenti formalmente e sostanzialmente regolari. In secondo
luogo, data l’inesistenza di vincoli di orario di lavoro nell’economia sommersa,
le imprese che operano in quel contesto riescono a ottenere ritmi di produzione
superiori alle imprese che fronteggiano tali vincoli e, dunque, possono produrre
in tempi più brevi e consentire alle imprese formalmente regolari di vendere
prima delle proprie concorrenti, acquisendo – anche per questa via – quote di
mercato e profitti. Si può anche notare che il crescente ricorso all’economia
sommersa è strettamente connesso all’intensificazione dei processi
concorrenziali, quantomeno nel senso che l’aumento dell’intensità competitiva –
in larga misura derivante dall’accelerazione dei movimenti internazionali di
capitale - stimola la crescente necessità di farvi fronte mediante
l’acquisizione di profitti di breve periodo. Vi è di più. Per quanto
specificamente attiene al sommerso da seconda busta paga, in un’economia nella
quale è significativamente elevata la trasmissione di informazioni, e nella
quale dunque gli effetti di emulazione giocano un ruolo non secondario,
l’aumento delle disuguaglianze – caratteristica delle economie OCSE almeno
dell’ultimo trentennio – connesso all’ostentazione dei consumi, tende a generare
un aumento dei consumi desiderati da parte dei ceti meno abbienti, il cui
soddisfacimento si rende possibile per il fatto che le imprese irregolari hanno
costantemente necessità di forza-lavoro da sottopagare.<BR>L’Italia e, ancor più
il Mezzogiorno, sperimentano una crescita delle dimensioni dell’economia
sommersa maggiore rispetto alla media OCSE. Se è osservabile che il sommerso ha
natura pro-ciclica, la variabilità delle sue dimensioni rispetto al PIL si
spiega essenzialmente alla luce dei diversi modelli di sviluppo, nel senso che
le economie che competono mediante strategie di compressione dei costi di
produzione - ed è il caso dell’Italia - sono quelle nelle quali è vitale
disporre di un bacino di manodopera da utilizzare in modo irregolare. E tali
strategie sono strettamente associate alle piccole dimensioni aziendali. Può
essere sufficiente ricordare, a riguardo, che, stando all’ultimo rapporto
SVIMEZ, il 95% delle imprese meridionali occupa meno di 9 dipendenti. Letta in
questa prospettiva, la tesi che vede nel sommerso meridionale un segno di
‘vivacità imprenditoriale’ – così che si ritiene che non debba essere
contrastato – getta luce sul fatto che il sottosalario pagato ai lavoratori
irregolari è comunque una componente della domanda interna e, per questa via,
contribuisce alla realizzazione monetaria dei profitti, quantomeno di entità
maggiore rispetto al caso in cui il sommerso venga significativamente
ridimensionato. Si tratta di una tesi che, se ben maschera le ragioni
strutturali che rendono il sommerso funzionale alla riproduzione del sistema,
presenta seri vizi logici e che, messa alla prova dei fatti (vedi i contratti di
riallineamento), si è rivelata fallimentare. Innanzitutto, non si capirebbe per
quale ragione le imprese irregolari, in un futuro che non è dato prevedere,
intraprendano più o meno spontaneamente un processo di regolarizzazione, dal
momento che il mercato non dispone di meccanismi endogeni tali da rendere
conveniente l’emersione spontanea. In secondo luogo, questa tesi regge sulla
proposizione implicita - per nulla neutrale sul piano etico-politico - secondo
la quale è preferibile tollerare l’ingiustizia oggi per avere (forse) maggiore
crescita economica domani, piuttosto che sanzionare ciò che oggi è
illecito.<BR>Non è un fatto nuovo che, nei periodi di recessione, le imprese
cerchino di recuperare i propri margini di profitto avvalendosi di ogni
possibile strategia, anche violando le più elementari regole formali e morali.
E’ semmai un fatto abbastanza nuovo, e allarmante, che il nostro Governo non
solo le lasci fare, ma crei i presupposti normativi perché l’irresponsabilità
sociale d’impresa diventi la norma.</P>
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