[Redditolavoro] Si muore di obiezione di coscienza e si diventa più poveri di servizio sanitario nazionale.
Partito Comunista dei Lavoratori
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Mon Oct 31 12:49:22 CET 2016
Si muore di obiezione di coscienza e si diventa più poveri di servizio
sanitario nazionale.
Si muore all’Ospedale Cannizzaro di Catania, si muore con molta probabilità
di obiezione di coscienza e non è il segreto di Pulcinella che tale scelta
informi quasi interamente quel personale medico, tanto che il Direttore
Generale Angelo Pellicanò e il Primario del Reparto Ginecologia Paolo
Scocco hanno sostenuto, confermandolo che in reparto, la maggior parte dei
medici sono obiettori di coscienza, dunque non praticano l’aborto. Ora,
cosa sia accaduto alla donna morta e ai suoi piccoli in grembo, cosa abbia
portato al decesso, lo stabilirà la magistratura, che ha messo sotto
inchiesta 12 medici . Le sirene dell“Avvenire” hanno immediatamente
avvertito che è in corso “una caccia all’obiettore di coscienza” solo
perché il marito di Valentina, la donna a cui di fatto se confermato, è
stata sottratta la vita, nell’intempestività di una scelta fatta sulla sua
pelle, ha raccontato in due interviste: “L’ha detto a me quel medico che
era obiettore e non poteva intervenire fino a che c’era vita in quei feti,
l’ha detto a me mentre mia moglie urlava di dolore. L’ha detto a me e ad
altre persone, ora parlino queste persone, raccontino”.
E’ stata dunque un’insufficienza placentare che compromettendo le funzioni
vitali di uno dei due feti in grembo, ne ha trasformato la sofferenza in
quella sepsi che ha condotto la madre alla morte e questa non poteva che
rendersi ineluttabile o piuttosto: la situazione sarebbe stata evitabile se
tale condizione non fosse stata favorita dal ritardo o dal rifiuto del
medico nell’estrarre i feti, mettendo in pratica la procedura d’aborto? I
sanitari del Cannizzaro Reparto Ginecologia si difendono affermando che pur
essendo tutti obiettori, in caso di aborto di necessità, terapeutico e
quindi al fine di una vita salva, l’obiezione cade nei termini di legge.
Dunque è solo rabbrividente l’ipotesi che potesse essere presente una sorta
di purista dell’obiezione che abbia considerato lo strazio di Valentina,
nella richiesta implicita di aborto, come non urgente, non impellente e in
definitiva non necessaria, unendo alla presunzione ideologica, l’errore
clinico. Ovviamente indipendentemente dalle conclusioni autoptiche e degli
inquirenti, non si può che definire assurdo, incomprensibile che in
quell’ospedale, nel reparto di ginecologia, fossero tutti obiettori.
Se abbiamo una legge che rende possibile l’obiezione di coscienza ai
medici, consente ugualmente alle donne il diritto all’assistenza e
all’aborto nelle strutture sanitarie pubbliche. Un ospedale dunque che
contempli un reparto ginecologia dove tale diritto è negato, non praticato,
è scandaloso ed è davvero poi difficile stabilire il confine tra la
stupidità e l’indecenza, quando gli stessi vertici dell’ospedale lo
dichiarino come situazione che non sfugge ad una prassi anche usuale. E con
buona pace delle coscienze che non hanno troppo da obiettare invece in tal
direzione, spesso tale categoria, preferisce seguire tale norma e pratica
per una questione di convenienza. Assistere e seguire una donna nell’aborto
non offre particolari vantaggi nella carriera e rende poco in onorario,
tanto da verificarsi l’assurdità di ritrovarsi con almeno l’80 per cento
dei medici obiettori di coscienza all’interno degli ospedali e di non
essere più tali nelle prestazioni extra moenia. Vi è dunque
un’interpretazione piuttosto opportunista e furba della 194, assistendo in
Italia, 38 anni dopo dall’approvazione della legge che introduceva
l’aborto, al 70% di obiettori di coscienza fra ginecologi, con la
percentuale parossistica del 90% al Sud (la metà quasi tutta in Sardegna ).
L’obiezione di coscienza si avvale dell’articolo 9 che si riferisce
unicamente ai ginecologi ed invece investe e illegalmente categorie mediche
più disparate: anestesisti, operatori sanitari e addirittura non esenta i
farmacisti nella somministrazione della pillola del giorno dopo, farmaco
che ricordiamo non abortivo ma contraccettivo.
Per di più – e qui la triste e non peculiare condizione dell’ospedale di
Cannizzaro - ci si imbatte spesso in strutture impossibilitate ad
effettuare interruzioni volontarie di gravidanza, in una stima che le
indica in 4 su 10, dal momento che tutti i dipendenti sono obiettori.
L’articolo 9 era stato inserito, affinché ai medici che già esercitavano,
fosse consentita l’obiezione. Ma dopo le lauree del 1978, chi ha scelto
nella professione medica di diventare ginecologo, è perfettamente a
conoscenza della possibilità di praticare l’aborto per mezzo di una legge
dello stato. Va sottolineato tra l’altro che l’obiezione di coscienza non
ha alcun tipo di ricaduta su chi la conduce ma semmai sulle donne e su chi
non è obiettore in termini di rincari di lavoro e di turni più pesanti. La
ragione è presto detta: la maggior parte dei medici che si batté per la
legge 194 aveva delle motivazioni forti e importanti, conoscendo la crudele
e violenta realtà degli aborti clandestini (per non parlare del supporto
degli strumenti diagnostici capaci di monitorare il feto nel grembo materno
fin dalle prime settimane, rendendo il rapporto quasi univoco tra il
nascituro e il medico, con la gestante sempre più in secondo piano); la
situazione attuale, vuole però che la promozione e le nomine in ospedale
siano di ordine politico e se si aspira ad un ruolo di primario in regioni
governate dal centrodestra, è meglio prendere in considerazione
l’obiezione, anche perché il Movimento per la vita, ha scavalcato e trovato
terreno fertile ai piani alti delle Istituzioni e nel mondo accademico.
L’obiezione di coscienza si realizza come il perfetto corto circuito che
impedisce il pieno diritto delle donne alla libera scelta e con rischi per
la propria salute, tra snervanti attese e la ricerca defatigante di
strutture che pratichino l’ivg. E così nel 2014, La Comunità europea
bacchetta l’Italia per l’impossibilità all’interruzione di gravidanza,
violando apertamente l’articolo 11 (diritto alla salute) della Carta
Sociale Europea. Anche se in definitiva questa non è solo un’anomalia
italiana, dato che ben quattro Stati membri dell’UE continuano a
criminalizzare l’aborto e la crisi colpisce sempre più duramente i servizi
sanitari pre-e post parto.
Nel 2016 in Europa, molte donne non hanno accesso ai mezzi contraccettivi e
all’aborto sicuro proprio perché il proprio diritto di scelta riguardo
questioni sessuali e riproduttive è fortemente limitato. E comunque la
fotografia del nostro paese racconta di strutture inadeguate per giovani
precarie/disoccupate ed emigranti (soprattutto per quest’ultime che trovano
inaccessibili le profilassi anticoncezionali dati gli alti costi), con
pochi consultori (la percentuale dovrebbe essere di 1 ogni 20.000 abitanti
e sono invece 1 ogni 100.000), anzi spesso, questi servizi di base nell’
assistenza alle donne e di educazione alle pratiche contraccettive,
diventano i luoghi di ancoraggio dei volontari del mpv, di chiara vocazione
cattolica che diffondono più che distorte idee sulla contraccezione e la
sessualità. Le donne che scelgono l’aborto, vengono ancora stigmatizzate,
ritrovandosi in estrema difficoltà a causa della burocrazia e delle
modalità che rendono il momento dell’ivg un’esperienza ulteriormente
traumatica. Andrebbe di sicuro riformulata l’impostazione che limiti per le
strutture ospedaliere l’uso inappropriato della scelta dell’obiezione di
coscienza, indirizzando gli studenti contrari all’aborto ad altre
specializzazioni e organizzando concorsi per soli non obiettori come
avviene altrove. Ma soprattutto è importante che vi sia una forte presa di
coscienza delle donne in forme di discussione e di lotta come quelle che in
Spagna vede le donne organizzarsi e battersi in nuovi percorsi,
arricchendosi di continuo di nuove riflessioni. A tutte queste situazioni
di enorme disagio vi sovrasta, in una trama spessa e di raccordo, il
“Sistema Sanitario Nazionale” che non fa mancare le profonde differenze tra
nord e sud Italia nella discontinuità delle prestazioni offerte e dove i
piccoli ospedali e gli ambulatori subiscono il declassamento e vanno
assottigliandosi, sia nell’organico che nelle prestazioni, con
l’inevitabile chiusura dei reparti, la diminuzione dei posti letto, fino
alla chiusura completa dei presidi.
La pianificazione riguardo la prevenzione e la salute in alcune Regioni è
assolutamente inesistente. Addirittura il decreto sulla sanità del ministro
Lorenzin, consente unicamente per alcuni esami specifici la prescrizione
dei medici di base secondo determinati criteri e limitazioni. Dunque, solo
se si presenta una determinata condizione, è possibile avere tale
possibilità e supporto ed infatti, sono previste delle sanzioni per i
medici che prescrivono visite ed esami non ritenuti necessari dal
Ministero.
Se si è affetti da una patologia si può accedere ad indagini mediche ma
senza di queste ovviamente non è possibile risalire ad alcunché alimentando
un paradosso che solo tali disposizioni possono ingenerare. Poi abbiamo la
ridefinizione dei nuovi LEA (livelli essenziali d’assistenza), che
sarebbero le prestazioni sanitarie che al cittadino vengono erogate in
maniera gratuita o con una compartecipazione alla spesa e che non
dovrebbero essere onerose ma che – e almeno nel numero di 24 – diventano a
carico dei pazienti. Interventi ambulatoriali come la cataratta, il tunnel
carpale, l’operazione del cristallino e che rientrano nelle patologie che
pesano sulla tasca di persone anziane o di chi fa lavori usuranti e spesso
precari in difficoltà nell’accedere alle cure, vengono fortemente limitati.
E in questa girandola di miliardi di euro di finanziamenti sottratti alla
sanità pubblica, nel proliferare di strutture convenzionate,
nell’imposizione delle strutture private, alla fiscalità normale, si
aggiunge anche il costo della spesa sanitaria il cui confine tra pubblico e
prestazione a pagamento è sempre più labile, dove anche i consultori, come
abbiamo già accennato, si riducono sempre di più, con il proliferare di
obiettori di coscienza che si realizzano come seria minaccia ad un’offerta
realmente universale e democratica del sistema sanitario.
Si moltiplicano i tempi di attesa di liste lunghissime per la prenotazione
di una visita medica, aumentano le peregrinazioni in altre città alla
ricerca di strutture mentre chi può consentirsi la sanità privata accorcia
i tempi. La Gazzetta Ufficiale del Governo, non molto tempo fa, ha
pubblicato un nuovo elenco di farmaci, tutti riclassificati dalla fascia A
(dunque a carico del servizio sanitario nazionale, mentre nella fascia C
sono interamente a carico del cittadino) e di cui di fatto, sono venute a
conoscenza solo le farmacie. In questa rendicontazione, vi sono le pillole
anticoncezionali a basso dosaggio e distribuite fino ad oggi ad un costo
esiguo. Tali ormoni sono indispensabili nella prevenire e curare patologie
serie quali i fibromi e l’endometriosi ma oramai non essendo più mutuabili,
verranno conteggiati interamente per il costo sulla confezione e questo a
sfavore ovviamente dei strati popolari più in difficoltà. Le proletarie a
cui le strutture pubbliche sono inaccessibili, avranno sempre maggiore
difficoltà a curarsi, rischiando di dover rinunciare alla contraccezione e
alla libertà di scelta riguardo la gravidanza. Ad onor del vero comunque,
tutte le forme contraccettive, non sono mai state a carico del servizio
sanitario nazionale.
Le donne che fanno tale scelta, si trovano a spendere anche 20 euro al mese
e senza alcuna possibilità di detrazione. In compenso, il servizio
sanitario, in questo climax di tagli, aumenti della spesa e preclusione
alle cure, “concede” in ultima ratio, l’aborto, pratica dolorosissima
fisicamente ed emotivamente estenuante che nel moralismo protervo degli
obiettori, aggiunge ulteriore sofferenza per una decisione che
frequentemente viene assunta proprio malgrado. L’aborto è il rimedio ultimo
a cui si incorre quando – e ciò avviene sempre più di frequente – non si è
in grado da sole o in coppia di concedersi la sopravvivenza del proprio
figlio senza rischiare l’assoluto impoverimento. Altro che la miope e
colpevole campagna per la fertilità del ministro Beatrice Lorenzin (che
riguardo l’ospedale di Catania, già il giorno dopo ha sentito l’esigenza di
negare la responsabilità dell’avvenuto, interno alle logiche legate
all’obiezione di coscienza) nel fingere di non vedere d’aver contribuito
all’ennesima sperequazione sociale per quanto concerne la gestione della
sanità e delle strutture ad essa afferenti e all’aver marcato il solco che
separa le donne per possibilità economiche e condizioni sociali nella
condizione di decidere ancora una volta di sé, del proprio corpo e della
possibilità o meno di diventare madri.
Chiara Pannullo
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