[Redditolavoro] Elezioni negli USA: le lezioni di una vittoria reazionaria

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Wed Nov 9 16:14:33 CET 2016


Elezioni negli USA: le lezioni di una vittoria reazionaria
Il ritardo della rivoluzione socialista genera mostri
9 Novembre 2016

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Donald Trump Presidente degli Stati Uniti non è certo un fatto ordinario
della vicenda politica internazionale. Alla testa della più grande potenza
imperialista del pianeta si afferma non un tradizionale esponente del
Partito Repubblicano, dentro la normale alternanza bipolare della
democrazia borghese americana, ma un outsider radicalmente reazionario
estraneo alla storia del suo stesso partito, e combattuto dall'intero
establishment. È un fatto inedito nella storia americana. Nei prossimi
giorni approfondiremo l'analisi delle possibili conseguenze di questo fatto
sul terreno delle relazioni internazionali, dove la postura isolazionista e
protezionista di Donald Trump annuncia forti elementi di discontinuità e
ricadute potenzialmente profonde. Ma da subito è necessario e possibile
leggere l'eccezionalità del fatto accaduto in rapporto al contesto sociale
e politico USA.

Quanto è accaduto trova la sua radice più profonda nell'esperienza della
grande crisi capitalistica che ha attraversato e scosso la società
americana. La grande crisi iniziata nel 2007 ha disgregato i vecchi blocchi
sociali, ha impoverito larghi settori di classe operaia già colpiti dal
lungo ciclo di ristrutturazioni e delocalizzazioni, ha declassato ampie
fasce di classe media, ha colpito le condizioni sociali delle masse rurali
americane. La modesta ripresa capitalista USA, seppur prolungata, non solo
non ha sanato le ferite sociali della crisi, ma ha ampliato tutte le
disuguaglianze sociali a vantaggio unicamente del capitale finanziario e di
Wall Street. Da qui la crisi profonda dell'egemonia di Wall Street sul
senso comune popolare, ed anzi la rabbia diffusa di un vasto blocco sociale
interclassista contro la classe dirigente americana in tutte le tutte le
sue espressioni tradizionali. Donald Trump ha dato a questo sentimento
popolare una radicale traduzione reazionaria, volgendolo contro tutti i
bersagli fittizi su cui scaricare la frustrazione popolare (messicani,
donne, europei, minoranze, banche e fisco) in un classico esercizio della
peggiore demagogia. E vi è riuscito proprio in quanto outsider, da "solo
contro tutti". La composizione sociale del voto per Trump, con lo
sfondamento ottenuto nelle roccaforti della vecchia cintura industriale
americana come nell'America profonda delle campagne misura il successo
della polarizzazione reazionaria. La campagna sciovinista per "fare grande
l'America" ha avuto lo stesso successo della Brexit, e in fondo ha raccolto
lo stesso blocco sociale. C'è da augurarsi che chi a sinistra ha brindato
alla Brexit non brindi oggi per la vittoria di Trump.

La candidata del Partito Democratico Hillary Clinton ha costituito il
bersaglio perfetto per Trump. Una candidata espressione diretta
dell'establishment e della continuità del potere, coinvolta personalmente
negli scandali di Wall Street, lautamente remunerata dal capitale
finanziario, apertamente invisa ad ampi settori dell'elettorato democratico
ed in particolare al suo bastione giovanile, ha rappresentato il miglior
alleato della campagna reazionaria. La capitolazione di Sanders a Clinton a
conclusione delle primarie democratiche nel nome dell'unità contro la
destra ha clamorosamente mancato l'obiettivo dichiarato. La subordinazione
alla candidata del capitale finanziario non solo non ha sbarrato la strada
di Trump ma l'ha lastricata (con buona pace dei commentatori del quotidiano
Il Manifesto che tanto avevano applaudito tale scelta). Milioni di
lavoratori e di giovani colpiti dalla crisi che non hanno trovato
un'alternativa a sinistra, o hanno ripiegato nel non voto o hanno cercato
una soluzione a destra.

La vittoria di Trump è infine anche un bilancio del doppio mandato di
Barack Obama. La misura del fallimento impietoso di tutte le illusioni
riformiste e progressiste che tanta parte della sinistra internazionale
aveva seminato attorno alla sua esperienza. Gli otto anni di
amministrazione Obama sono serviti a salvare le banche con le risorse
pubbliche, e i capitalisti dell'auto col taglio dei salari e dei diritti.
Parallelamente, milioni di proletari americani si trovano a pagare polizze
sempre più care per l'assistenza medica lasciata nelle mani delle
assicurazioni private. Milioni di studenti restano impiccati a un debito a
vita per pagare le rette dei propri studi. Milioni di giovani lavoratori
alternano la disoccupazione con lavori miserabili, ricattabili,
sottopagati. Milioni di giovani neri vivono sulla propria pelle il
peggioramento della propria condizione e le vessazioni odiose, spesso
omicide, della polizia. L'unico progresso che Obama ha assicurato è quello
dei profitti di Wall Street e dei voti di Trump. Il mito del capitalismo
democratico ha subito, da ogni versante, l'ennesima smentita.

Ora si prepara in America un nuovo terreno di confronto e di scontro col
Presidente più reazionario della storia americana. Nonostante tutto, non
mancano le risorse sociali di una opposizione al trumpismo. Negli ultimi
anni la ripresa delle lotte salariali nell'industria dell'auto, il
movimento per l'aumento del salario minimo, le mobilitazioni giovanili di
Occupy Wall Street, il movimento della popolazione nera misurano un
potenziale importante. I 13 milioni di lavoratori e di giovani che avevano
votato Sanders alle primarie contro Clinton, attratti da un richiamo, per
quanto formale, al socialismo, sono anche espressione di nuove dinamiche
sociali.
Ma proprio l'esperienza della capitolazione di Sanders a Clinton e della
disfatta di Clinton a vantaggio di Trump ripropone in tutta la sua
attualità storica la necessità di un partito di classe indipendente
contrapposto ai Clinton e ai Trump, al Partito Democratico come al Partito
Repubblicano. È l'unica via, tanto più oggi, per dare rappresentanza e
prospettiva alla classe operaia e a tutti gli oppressi della società USA,
alle loro esigenze e alle loro lotte.

La vittoria di Trump ripropone infatti una considerazione di fondo, che va
al di là della vicenda americana. Dentro la svolta d'epoca segnata dalla
grande crisi del capitalismo e del riformismo, non c'è spazio storico
duraturo per le vecchie forme della politica borghese. Il bivio di
prospettiva storica che interroga il mondo è quello tra rivoluzione o
reazione. Il ritardo della rivoluzione socialista genera mostri. Trump non
è il primo, non sarà l'ultimo. La costruzione di un partito rivoluzionario
internazionale che lavori ad elevare la coscienza della classe lavoratrice
all'altezza di un alternativa globale di sistema trova nella vicenda USA
una ulteriore e clamorosa conferma.
Partito Comunista dei Lavoratori

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