[Redditolavoro] UE o Brexit: una falsa alternativa per i lavoratori

Partito Comunista dei Lavoratori pclavoratoribologna at gmail.com
Sat Jun 25 23:58:02 CEST 2016


UE o Brexit: una falsa alternativa per i lavoratoriL'esito del referendum
britannico e la lotta anticapitalista contro l'UE


​

L'uscita della Gran Bretagna dalla UE apre un nuovo capitolo della crisi
dell'Unione degli stati capitalisti del vecchio continente.

Da tempo a cavallo tra integrazione e dissoluzione, la UE ha visto
moltiplicarsi nell'ultima fase le spinte disgregatrici. Il combinato della
crisi capitalista, della prolungata stagnazione, della profonda crisi di
consenso delle politiche di austerità ha sospinto un approfondimento delle
contraddizioni nazionali nella UE . Il fiscal compact è virtualmente
fallito senza che si delinei un nuovo equilibrio. L'Unione bancaria resta
al palo, col rifiuto tedesco di una assicurazione europea sui depositi,
mentre l'intero settore bancario europeo è investito da nuovi venti di
crisi (crisi dei crediti deteriorati in Italia, crisi dei derivati nella
finanza tedesca e nordica). Il riconoscimento o meno della Cina come
economia di mercato amplifica il contrasto tra capitalismo tedesco
(disponibile) e interesse opposto di Italia e Francia, minacciate sul
proprio mercato interno dalla concorrenza asiatica. La pressione migratoria
- fattore strutturale di lungo periodo - sospinge processi combinati di
rinazionalizzazione dei confini, con la dissoluzione del blocco est-europeo
a trazione tedesca e nuovi processi di polarizzazione politica xenofoba
all'interno di diversi paesi. Fattore a loro volta di nuove spinte
centrifughe e di effetti politici destabilizzanti all'interno dei diversi
paesi dell'Unione.

La Brexit è stata un effetto di questo quadro generale di crisi, e al tempo
stesso concorre ad approfondirlo.


*LA NATURA DELL'OPERAZIONE CAMERON. LA CITY A FAVORE DEL REMAIN *

Lo scontro interno alla Gran Bretagna tra “remain” e Brexit ha visto
affrontarsi su opposti versanti forze ugualmente nemiche dei lavoratori
britannici e dei lavoratori europei. Sia sul fronte politico, sia sul
fronte sociale.

Sul fronte politico, David Cameron ha ideato il referendum
sull'appartenenza della Gran Bretagna alla Unione Europea in funzione del
proprio rafforzamento nel partito conservatore e nel governo, contro i
propri avversari interni, lungo la linea di continuità dell'attacco ai
lavoratori britannici. Prima la promessa del referendum, poi il negoziato
con la UE, infine la campagna a favore del remain brandendo le
“concessioni” ottenute in sede UE (contro i diritti sociali degli stessi
immigrati comunitari), hanno perseguito un solo obiettivo: incassare il
plauso popolare per coronare la propria ambizione politica. La disfatta
della cinica operazione ha sancito la fine politica di Cameron, a vantaggio
di quegli stessi avversari interni (Boris Johnson) che puntava a sgominare.

Al di là degli scopi politici di Cameron, la campagna per il remain ha
selezionato e raccolto attorno a sé il fiore della grande borghesia
britannica: il cuore della City londinese, la principale piazza del
capitale finanziario europeo; la grande borghesia industriale (l'80% degli
aderenti alla Confindustria britannica ha aderito alla campagna); la
maggioranza delle Camere di commercio (sia pure con una percentuale
minore). La ragione del sostegno borghese maggioritario al remain è molto
semplice: la UE rappresenta il 45% delle esportazioni del Regno Unito. Una
uscita della Gran Bretagna dalla UE significa la rinegoziazione
dell'accesso al mercato unico, in condizioni presumibilmente più difficili.

Per ragioni di classe complementari, la permanenza della Gran Bretagna nel
Regno Unito era la speranza del grosso del capitalismo mondiale, delle
grandi borghesie europee e dei loro governi nazionali, interessati ad
evitare sia i contraccolpi economici della Brexit sul mercato finanziario,
in una situazione già critica; sia un nuovo possibile fattore di
incoraggiamento delle spinte centrifughe nell'Unione. Ma era la speranza
anche degli Stati Uniti, da sempre alleato storico privilegiato della Gran
Bretagna. La permanenza del Regno Unito nell'Unione rispondeva a molteplici
interessi USA: preservare la principale piattaforma finanziaria delle
proprie multinazionali e banche sul mercato europeo; mantenere una propria
sponda politica fidata all'interno della UE; favorire una tenuta
dell'Unione quale fattore di contenimento della crisi capitalistica
mondiale ed anche possibile alleata ai fini del controbilanciamento della
potenza cinese (accordi TTIP). Per tutte queste ragioni è indubbio che la
vittoria della Brexit contraddice gli interessi dominanti del capitalismo
internazionale. Il crollo delle borse di venerdì, proporzionale al loro
investimento sulla permanenza nell'UE, è un primo metro di misura del
contraccolpo subito.


*BREXIT COME VITTORIA DEI LAVORATORI E DELLA DEMOCRAZIA?*

Ma è perciò stesso la Brexit una vittoria dei lavoratori e della
democrazia?
Colpisce il sostegno entusiasta alla Brexit di forze diverse della sinistra
europea (e non solo). Come il tripudio ideologico per la sua "vittoria".

La campagna a favore della Brexit è stata ispirata e diretta dalle forze
politiche più reazionarie del panorama inglese. Dallo UKIP xenofobo di
Farage, alleato del M5S nel Parlamento europeo. Dai movimenti fascisti
della Gran Bretagna. Dalle bande ostili a Cameron nel Partito Conservatore
e nel governo stesso. Il tono ideologico della campagna è emblematico. Da
un lato la campagna ossessiva contro i migranti: contro gli immigrati
comunitari (inclusi i tanti giovani e lavoratori italiani emigrati) e la
loro “pretesa” di diritti sociali; e tanto più contro i migranti
extracomunitari e la loro presunta “invasione”, a partire dall'immagine
simbolo dell'accampamento disperato di Calais, rappresentato come avamposto
minaccioso della UE ai confini della patria. Dall'altro, la rivendicazione
del peggiore sciovinismo all'insegna della nostalgia del vecchio impero
britannico e della grande potenza inglese nel mondo. «Una grande potenza
imperiale che potrebbe tornare a risorgere, se solo la gran Bretagna si
liberasse della Unione Europea», ha testualmente annunciato Farage.

Anche settori della borghesia inglese si sono allineati al fronte della
Brexit, a partire da un consistente settore delle Camere di commercio. Ai
quali Boris Johnson si è così rivolto: «Noi potremo fare accordi con le
economie emergenti del mondo intero, accordi che la UE è incapace di
siglare a causa delle forze protezioniste europee. Liberiamoci delle catene
dell'Unione.» (Le Monde). È la (improbabile) promessa al capitalismo
britannico di un autonomo aggancio al mercato cinese aggirando l'Unione
Europea e il suo contenzioso con la Cina. L'appello al libero mercato
mondiale e alla sue umani sorti e progressive si combinava dunque col vezzo
ideologico nazionalista, dentro un comune impasto reazionario.


*UNA MINACCIA REAZIONARIA CONTRO I LAVORATORI *

La vittoria di questo fronte reazionario è una minaccia per i lavoratori
britannici e per il movimento operaio europeo.

Certo, un settore di classe lavoratrice e la maggioranza della popolazione
povera delle periferie e delle campagne sono stati catturati dalle sirene
della Brexit. La rabbia sociale accumulata dalla crisi capitalista e dalle
politiche di austerità è stata dirottata con successo contro l'Unione
Europea. Il ritorno mitologico alla “vecchia potenza inglese” è stato
venduto come canale di riscatto sociale ed emancipazione. Ma si tratta di
una cinica truffa, oggi rilanciata su scala continentale da tutti gli
ambienti politici più reazionari d'Europa, a partire da Le Pen e Salvini.

Il capitalismo britannico e la sua sovrana sterlina non sono meno
responsabili dell'Unione Europea per la miseria crescente dei lavoratori
inglesi. Ben prima della UE, fu il governo - nazionalista - di Margaret
Thatcher (quello che brandì la guerra all'Argentina sulle Malvinas) a
realizzare il grande sfondamento liberista contro il movimento operaio
(guerra ai minatori) e l'attacco frontale allo stato sociale. Blair e
Cameron, nel quadro della UE (ma fuori dall'Euro), hanno amministrato la
continuità devastante di quella politica, che Farage, già nelle vesti di
deputato conservatore, e tanto più Boris Johnson, hanno fedelmente e
attivamente sostenuto. Oggi proprio Boris Johnson, astro nascente della
Brexit, si candida a gestire una nuova pesante stagione di austerità contro
i lavoratori inglesi, e una stretta discriminatoria xenofoba contro gli
immigrati. Naturalmente nel nome di "Britain First" e della guerra tra
poveri. Presentare tutto questo, a sinistra, come "vittoria della
democrazia" e come "esempio per i popoli europei" significa aver perso la
testa.


*CONTRO L'UNIONE EUROPEA, PER GLI STATI UNITI SOCIALISTI D'EUROPA *

Siamo da sempre contro l'Unione Europea. Una Unione di stati capitalisti
unicamente interessati a partecipare alla spartizione del mondo dopo il
crollo dell'URSS, nel nuovo mercato globale. Per questo interessati a
concertare le proprie politiche di rapina contro i propri lavoratori. Per
la stessa ragione ci siamo sempre opposti e tanto più ci opponiamo oggi
alle illusioni di una possibile UE “democratica e sociale”, portate avanti
dai partiti di Sinistra Europea (Syriza, Rifondazione Comunista, Izquierda
Unida, Die Linke, PCF...). Partiti che si sono ciclicamente compromessi nei
diversi governi borghesi dell'Unione Europea gestendo le stesse politiche
di austerità e di rapina che dall'opposizione dicevano di combattere. La
capitolazione di Tsipras alla troika è solo l'ultimo esempio del fallimento
del riformismo europeista.

Ma la lotta contro l'Unione Europea può procedere da opposti versanti,
politici e di classe, e mirare ad opposte prospettive.

Può procedere dal versante dell'opposizione di classe del movimento
operaio, a difesa delle proprie ragioni e diritti sociali. Come ha mostrato
la lunga ascesa del movimento di massa in Grecia contro la troika prima del
tradimento di Syriza. Come mostra oggi la mobilitazione di massa prolungata
ancora in corso in Francia contro la Loi Travail del governo Hollande.
Questa è la dinamica di lotta che ha valore progressivo, che può unire gli
sfruttati, che può ricomporre attorno alla classe operaia un blocco sociale
anticapitalista, che può alimentare una solidarietà di classe
internazionale tra i lavoratori d'Europa. La proposta di una Europa
socialista, nella forma degli Stati Uniti socialisti d'Europa, è l'unica
proposta strategica capace di dare una prospettiva storica a questa
dinamica di lotta. L'unica che può indicare un'alternativa reale all'Unione
Europea del capitale, nell'interesse dei lavoratori.

La lotta contro l'Unione Europea e contro l'Euro oggi indicata dalla
Brexit, e promossa dai Farage, Le Pen, Salvini, è non solo diversa, ma
esattamente opposta. È la lotta che mira a far leva sulla crisi
capitalista, e sulla mancata risposta del movimento operaio alla crisi, per
costruire uno sbocco reazionario, in ogni paese e su scala continentale.
All'insegna della continuità delle politiche di rapina, e di un nuovo
drammatico appesantimento dell'offensiva dominante contro i diritti
sociali, sindacali, democratici del movimento operaio europeo e di tutti
gli oppressi.

Ogni subordinazione a questa dinamica reazionaria va apertamente denunciata
e combattuta, tra le fila dei lavoratori, tra i giovani, in ogni
organizzazione sindacale e di massa.
Partito Comunista dei Lavoratori


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