[Redditolavoro] Il segno politico delle elezioni del 5 giugno

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Wed Jun 8 11:16:43 CEST 2016


Il segno politico delle elezioni del 5 giugno

*Mentre Renzi ha esaurito la spinta propulsiva e vede il suo spazio di
manovra restringersi, il M5S cresce sulle macerie della destra e sul non
sfondamento del lepenismo di Salvini. La crisi della sinistra riformista è
aggravata.*



*​*

Le elezioni comunali del 5 giugno sono un passaggio importante dello
scenario politico generale. Il quadro complessivo è molto frastagliato, e
il risultato dei ballottaggi del 19 giugno sarà molto importante per
valutare il segno politico complessivo della prova elettorale. Tuttavia già
il primo turno fornisce indicazioni chiare di tendenza.


*LA CRISI DEL RENZISMO*

Il PD registra una perdita consistente di voti, sia in assoluto, sia in
percentuale, in larga parte d'Italia (210.000 voti in meno nei ventiquattro
capoluoghi) con una flessione più accentuata nelle periferie metropolitane
e nel Mezzogiorno. Il renzismo ha esaurito da tempo la spinta propulsiva di
quel populismo sociale di governo (gli 80 euro) che ne aveva accompagnato
la scalata nelle elezioni europee del 2014 (41%). Già le elezioni regionali
di un anno fa registravano la dispersione del bottino. Le elezioni comunali
del 5 giugno confermano il dato. Il progetto del partito della nazione è al
palo.

Ciò non significa che quel progetto sia sconfitto e tanto meno archiviato.
Al contrario. La prospettiva del referendum istituzionale di ottobre, e la
ricerca dell'incoronazione plebiscitaria del Capo, riflettono la volontà di
rilancio del richiamo populista sul terreno politico e istituzionale. Ma il
populismo politico ( «mando a casa un politico su tre», «riduco lo
stipendio ai senatori»…) fatica a nutrirsi del populismo “sociale”. Renzi
moltiplica, da buon imbonitore, annunci e promesse di regalie sociali in
vista della prossima Legge di stabilità (riduzione Irpef, 80 euro alle
pensioni minime, flessibilizzazione delle uscite pensionistiche, abolizione
del bollo auto e tanto altro). Ma la crisi capitalista, i limiti della
ripresa, il quadro negoziale complesso in sede UE, restringono pesantemente
lo spazio di manovra delle politiche di bilancio. Molte promesse sono
destinate a restare tali, con un possibile effetto boomerang. La ragione
dell'anticipo del referendum istituzionale al 2 ottobre sta anche qui: la
volontà di anticipare non solo il responso della Consulta sulla legge
elettorale prevista per il 4 ottobre, ma anche la presentazione della Legge
di stabilità. È la confessione di una paura, che i risultati del 5 giugno
non possono che accrescere.

Inoltre proprio quei risultati aggiungono un ulteriore elemento di
incertezza. Il successo politico del M5S, il suo possibile configurarsi
come il principale candidato al ballottaggio contro Renzi alle future
elezioni politiche, esaltano il difetto di sistema della legge elettorale
inventata da Renzi. In un quadro tripolare come l'attuale, un M5S al
ballottaggio diventa temibilissimo per il PD per la sua maggiore capacità
di attrazione elettorale trasversale. (Da questo punto di vista sarà
interessante il ballottaggio di Torino, ancor più di Roma.) Una legge
elettorale concepita a misura di un "Renzi al 41%" rischia di trasformarsi
in un cappio al collo per un Renzi al 30%.
È un elemento di preoccupazione per la borghesia italiana. Renzi si è
presentato ai suoi occhi, e agli occhi del capitale finanziario europeo,
come l'argine vincente contro il populismo di opposizione. Anche per questo
la borghesia ha investito su Renzi. Per la stessa ragione, un cedimento
dell'argine PD contro i 5 Stelle investirebbe come un ciclone le relazioni
di potere del renzismo.


*LA CRISI POLITICA DEL CENTRODESTRA*

Il centrodestra aggrava la propria crisi politica. La competizione interna
tra Forza Italia e il blocco lepenista lo ha frantumato in diverse città, a
partire da Roma e Torino. Al tempo stesso non ha prodotto un vincitore. Il
tramonto di Berlusconi prosegue, assieme al declino elettorale di Forza
Italia. Ma il boom del salvinismo si è esaurito nello stesso centro-nord
(Milano), e la speranza di Salvini di “nazionalizzare” la Lega attraverso
una espansione a Roma e nel Sud è ad oggi fallita. Mentre l'alleato del
blocco lepenista (FdI di Meloni), rafforzatosi a Roma e presente nel Sud,
resta debolissimo al Nord. La crisi manifesta dell'egemonia berlusconiana
non è dunque rimpiazzata da un'egemonia alternativa.

Tuttavia, se la crisi politica del centrodestra si aggrava, il suo blocco
sociale ed elettorale tiene. Il renzismo non è riuscito ad aprire brecce
significative in quel mondo, nonostante i suoi sforzi. Il tentativo di
usare (anche) Verdini per aprire quella cassaforte elettorale è fallita
(Napoli, Cosenza). I dati elettorali di Milano, e in termini aggregati di
Roma, mostrano la forza perdurante del blocco sociale ed elettorale del
centrodestra, al di là della sua crisi di direzione politica o della sua
frantumazione.
Proprio questo fatto tiene aperto lo spazio in prospettiva di una
ricomposizione della coalizione attorno ad un nuovo equilibrio, non facile
ma possibile. Se questa ricomposizione si realizzerà, il centrodestra può
tornare ad essere assolutamente competitivo.

L'esito del referendum istituzionale di ottobre non sarà indifferente per
la sorte del centrodestra. Un'eventuale vittoria del Sì potrebbe favorire
una scissione di Forza Italia in direzione di una ricomposizione con Renzi,
passando per la riaggregazione con il centro di Alfano-Casini-Verdini (un
partito di centro che si presenta autonomamente al voto, punta a passare la
soglia di sbarramento del 3% prevista dall'Italicum, e poi si allea al
governo con un PD vincente). Una eventuale vittoria del No, che
innescherebbe un terremoto politico, indurrebbe Berlusconi a rilanciare la
proposta di un governo di unità nazionale, con l'intento di spaccare il PD
e rilanciare una propria centralità. Ciò che aprirebbe nuove contraddizioni
con la Lega. In entrambi i casi si preannuncia una fase prolungata di
instabilità politica all'interno del centrodestra.


*IL SUCCESSO DEL M5S*

Il M5S è il vincitore politico delle elezioni del 5 giugno.
Dal punto di vista elettorale i risultati del M5S sono in realtà molto
disomogenei. Combinano grandi affermazioni (Roma e Torino), stagnazioni
rispetto alle politiche 2013, vistose marginalità e persino crolli. Assieme
ad una assenza da molte competizioni locali, legata a contrasti locali
esplosivi e irrisolti. Tuttavia, la portata della grande vittoria riportata
a Roma, e la forte affermazione conosciuta a Torino, con la seria
probabilità (Roma) o possibilità (Torino) di una clamorosa vittoria ai
ballottaggi, hanno consegnato al M5S l'immagine nazionale del vincitore
politico. Come di fatto è stato. Con ulteriori possibili effetti
moltiplicatori.

Il M5S capitalizza diversi elementi della situazione politica, tra loro
connessi: l'appannamento del renzismo, la frantumazione del centrodestra,
la crisi perdurante della sinistra politica, sullo sfondo della crisi
sociale e dell'arretramento della lotta di classe. La prima analisi dei
flussi elettorali mostra non a caso che a Roma e Torino il M5S ha
polarizzato elettori di ogni provenienza. Un forte travaso diretto da
elettorato PD “antirenziano”, un travaso da elettorato reazionario spinto
dalla frantumazione del centrodestra a votare M5S (come voto utile
anti-Renzi), un travaso dall'elettorato di sinistra in crisi di
rappresentanza e riferimenti. Oltre ad un recupero, a Roma, sul bacino
tradizionale dell'astensione.
In termini sociali, il M5S ha fatto il pieno a Roma e Torino del voto degli
operai, dei disoccupati, dei giovani. Costruendo attorno a sé un blocco
popolare a egemonia piccolo-borghese reazionaria, come ogni movimento
reazionario di massa. In un quadro di crisi sociale dove milioni di
lavoratori sono stati abbandonati a loro stessi dalla sinistra politica e
sindacale, e condannati ad una disperata solitudine, milioni di operai
assumono a riferimento elettorale un soggetto politico estraneo alle
ragioni del lavoro, nemico del sindacato in quanto tale, segnato da una
cultura plebiscitaria. È effetto e misura della regressione del movimento
operaio.
Il M5S conferma e consolida una propria presenza nazionale, da Nord a Sud
(a differenza della Lega), e una riuscita parziale “degrillizzazione” del
proprio profilo d'immagine (non della sua realtà): attraverso
l'affermazione di nuove giovani figure pubbliche (Di Maio, Di Battista), di
ampia riconoscibilità di massa, quali costruttori di consenso. Una risorsa
preziosa, sul terreno populista, contro il giovanilismo di Renzi.
Un consolidamento dell'immagine nazionale del M5S quale “vero avversario di
Renzi” rappresenterebbe non solo, per le ragioni dette, un problema per
Renzi (trasversalità elettorale del M5S in un ballottaggio politico
nazionale), ma anche per la Lega e il blocco lepenista. Che già oggi si
trovano a fronteggiare una concorrenza diretta sul loro stesso terreno
populista, tanto più temibile nel quadro della frantumazione del
centrodestra.


*LA SINISTRA AL PALO*

Le elezioni del 5 giugno, come già le precedenti elezioni regionali,
fotografano e aggravano la crisi della sinistra politica riformista. Con
l'eccezione parziale di Bologna, i candidati e le liste di Sinistra
Italiana - o in ogni caso di coalizioni comunque nominate della sinistra
riformista - registrano addirittura un arretramento rispetto ai voti
riportati dalle liste Tspiras nelle elezioni europee del 2014 (o rispetto
al voto riportato dalle liste di sinistra nelle successive elezioni
regionali). Ciò è in particolare avvenuto proprio a Roma, Torino, Milano,
nelle competizioni elettorali maggiormente cariche di valenza politica e in
presenza di candidati a sindaco di sicura riconoscibilità nazionale
(Fassina a Roma, Airaudo a Torino) o locale (Basilio Rizzo a Milano).
Il processo costituente del nuovo soggetto della sinistra italiana è dunque
ulteriormente zavorrato dal voto. Persistono tutti i fattori che ostacolano
il suo decollo elettorale: non solo il peso delle disfatte passate e delle
relative responsabilità politiche (di cui nessuno ha tratto bilancio e
conseguenze), ma l'assenza di un progetto nazionale dotato di una ragione
sociale decifrabile, l'assenza di una leadership nazionale riconoscibile a
livello popolare, la crisi dei livelli di mobilitazione sociale e di lotta
di classe cui quella stessa sinistra (politica e sindacale) concorre. In
questo quadro, il rafforzamento del M5S, anche come soggetto attrattivo
dell'elettorato in uscita dal PD, oltre a rappresentare uno degli effetti
della crisi della sinistra concorre ulteriormente ad aggravarla, perché
restringe il suo spazio politico.
A ciò si aggiungono i nodi politici irrisolti di Sinistra Italiana attorno
al proprio rapporto col PD, come si vede nello stesso posizionamento ai
ballottaggi (Fassina è contro l'indicazione di voto a Giacchetti, Airaudo
ha teorizzato il sostegno “da croce rossa” a Fassino), contraddizioni che
percorrono verticalmente SEL sul piano nazionale, e che l'esito del voto
obiettivamente approfondisce. Mentre ciò che resta di Rifondazione
Comunista, attorno all'ex ministro Paolo Ferrero, ha scelto di imboscarsi
senza eccezione nelle liste civiche “progressiste” di Sinistra Italiana,
compromettendosi nel loro pasticcio e cancellando ogni propria presenza
elettorale riconoscibile. Gli stessi gruppi dirigenti della sinistra
italiana che hanno organizzato negli anni la sua disfatta si mostrano
incapaci, per le stesse ragioni, di promuoverne il rilancio.


*IL VOTO PER IL PCL*

Il PCL ha scelto di presentarsi ovunque possibile alle elezioni comunali,
come in ogni competizione elettorale. Non per una ragione elettoralista, e
tanto meno per una illusione istituzionale, ma per la ragione esattamente
opposta: usare la tribuna elettorale per presentare un programma comunista
e rivoluzionario ai lavoratori e a tutti gli sfruttati. Contrastare la
propaganda borghese, denunciare le mistificazioni populiste, costruire
coscienza politica di classe e anticapitalistica. Un compito tanto più
importante in un quadro di arretramento diffuso della coscienza politica
dei lavoratori.

Naturalmente siamo sempre ben consapevoli delle difficoltà proprie del
terreno elettorale.
Sullo sfondo di una situazione politica generale complessivamente negativa
(crisi della mobilitazione sociale, arretramento dei livelli di coscienza
della classe, crisi cronicizzata della sinistra politica sotto il peso dei
disastri prodotti dai suoi gruppi dirigenti, politici e sindacali) e sulla
base dei rapporti di forza reali con i soggetti concorrenti, prima e
durante la campagna elettorale (in ordine agli spazi reali della
comunicazione pubblica, alle risorse disponibili...), la presenza
elettorale di un piccolo partito, comunista e rivoluzionario, non può che
marciare controcorrente. Ma rinunciare ad usare la tribuna elettorale per
presentare un programma comunista in ragione delle difficili condizioni
sarebbe ben poco comunista. I comunisti non si nascondono mai, anche nelle
situazioni più sfavorevoli. Ma lottano sempre su ogni terreno, anche su
quello elettorale, per sviluppare la coscienza dei lavoratori. È
l'insegnamento della tradizione leninista.

Il PCL è riuscito a presentare proprie liste a Torino, Milano, Bologna,
Napoli, Savona, e in alcuni centri minori (Portofino, Trecate, Oderzo,
Triggiano), con un lavoro ammirevole dei nostri militanti, cui va il
ringraziamento di tutto il partito. I risultati elettorali sono tra loro
difformi. Certo modesti, com'è inevitabile nelle condizioni date, ma
complessivamente non negativi.

Negativo il risultato di Napoli, che segna un arretramento rispetto al
risultato riportato dal PCL nel 2011. L'atipico fenomeno populista
“peronista” di De Magistris, che ha caricato sul proprio carro elettorale
l'intera sinistra partenopea (da SEL ai CARC) assieme a liste massoniche,
ex candidati di Forza Italia, settori neoborbonici, trasformismi
clientelari di varia natura - ha coinvolto ambienti sociali e popolari di
estrema sinistra e di movimento (centri sociali) alla ricerca di favori
istituzionali. Tutto ciò ha limitato lo spazio di consenso del PCL. A ciò
si è aggiunta la concorrenza del PC stalinista di Marco Rizzo. Oltre a
quasi due settimane di campagna elettorale (e spazi mediatici) in meno, a
causa dell'iniziale respingimento delle nostre liste, un abuso
intollerabile. L'arretramento subito è la risultante di tutti questi
fattori. E tuttavia il nostro partito a Napoli è orgoglioso della campagna
di verità condotta contro il peronismo trasformista, per l'indipendenza di
classe degli sfruttati. Altri hanno capitolato a De Magistris. Noi no.
Anche per questo abbiamo le carte in regola, con una riconoscibilità in
ogni caso accresciuta, per costruire l'opposizione di classe al peronismo
cittadino.

Negativo il risultato a Torino, dove il PCL ha confermato in voti e
percentuale il risultato del 2011. E dove la presenza del PC di Marco Rizzo
- sicuramente maggiore della nostra nella città natale e che lo ha visto
segretario del PRC di massa nei primi anni '90, consigliere comunale,
deputato per due legislature, deputato europeo - ha bloccato le
potenzialità di crescita elettorale del PCL attorno alla positiva
candidatura di Alessio Ariotto. Anch'esso peraltro penalizzato da una
settimana di campagna elettorale abusivamente sottratta dalla contestazione
della lista. Anche in questo caso la nostra sezione, sempre presente nelle
lotte operaie della città, a partire dalla FIAT, si impegnerà in tutte le
lotte di opposizione alla futura giunta cittadina. Sia essa a guida
Fassino, in rappresentanza dei poteri forti della città, sia essa a guida
della bocconiana pentastellata Appendino, alfiere della media impresa di
cui è diretta espressione, estranea alle ragioni sociali degli operai che
la votano. Un M5S torinese, oltretutto, particolarmente intriso di presenze
reazionarie e xenofobe (Bertola) che il PCL, spesso da solo a sinistra, ha
coerentemente denunciato.

Positivo invece il risultato riportato dal nostro partito a Milano, che
accresce considerevolmente voti e percentuali (particolarmente negative)
del 2011, e registra il dato migliore sinora riportato dal PCL in città, a
ridosso di una campagna elettorale molto attiva che ha trascinato un salto
di riconoscibilità pubblica del partito. Nel 2011 il PCL milanese aveva
pagato elettoralmente il fatto di essersi presentato al primo turno - unico
partito a sinistra - contro l'astro nascente Pisapia, che allora tutta la
sinistra a partire dal PRC assumeva ad icona religiosa del cambiamento.
Oggi il PCL capitalizza a Milano proprio il coraggio e la coerenza mostrata
allora, a fronte di una giunta arancione che ha fatto, come avevamo
previsto, il comitato d'affari di Expo e della borghesia cittadina.

Molto positivi inoltre i risultati del PCL a Bologna e Savona, dove il PCL
supera nettamente in voti e percentuali ogni risultato precedente,
travalicando la soglia dell'1% (1,3% a Bologna, 1,2% a Savona). Un
risultato in particolare molto significativo a Bologna, perché accompagnato
dallo sviluppo di nuove relazioni con ambienti sindacali classisti (SGB) e
dalla marcata polarizzazione dell'elettorato di Rifondazione. Un risultato
ugualmente positivo a Savona, dove si accompagna allo sviluppo del partito
in città, tra i lavoratori (Tirreno Power) e gli studenti. Sia a Bologna
che a Savona il nostro partito ha capitalizzato la coerenza della propria
opposizione alle giunte locali di centrosinistra, a fronte della
compromissione storica decennale delle cosiddette sinistre radicali. Oggi,
in entrambi i casi, in fase di dissoluzione

Infine sono moderatamente positivi i risultati riportati dal PCL nei centri
minori: 0,70 a Trecate nel novarese; 0,72% a Oderzo (dove in terra leghista
superiamo con una candidatura operaia voti e percentuale della lista di SEL
e Rifondazione); 0,84% a Triggiano (dove la sezione PCL, da poco
costituita, ha presentato il candidato sindaco più giovane d'Italia, che ha
raggruppato attorno a sé un'area di studenti); oltre il 3% a Portofino
(dove la nostra sezione del Tigullio ha fatto una campagna di denuncia
antiborghese di forte impatto mediatico locale mancando l'eletto per un
solo voto).

Il PC di Rizzo, là dove presente (Torino, Napoli, Roma) ha potuto mettere a
frutto la relativa continuità dell'esposizione mediatica del suo leader
(coi relativi effetti di "legittimazione" e riconoscibilità) che a noi oggi
è negata. Ed anche un volume di risorse finanziarie incomparabilmente
maggiore da investire nelle campagne elettorali (ad esempio in spot e
manifesti). Tuttavia proprio per questo il risultato riportato da Rizzo a
Torino (0,8%) è una clamorosa sconfitta politica. Che smentisce brutalmente
la grande aspettativa (politica e personale) alimentata dal capo nel
proprio ambiente, e sgonfia la bolla d'immagine creata. Quella di un
“partito comunista” presente in TV ma privo di reali radici nel mondo del
lavoro e nei sindacati di classe; che si presenta classista e
anticapitalista nel proprio frasario solo per far dimenticare il voto
favorevole di Marco Rizzo ai bombardamenti di D'Alema su Belgrado (1999),
alla precarizzazione del lavoro (Pacchetto Treu, 1997) e alle
privatizzazioni di Prodi. Crimini politici che hanno sempre convissuto
felicemente col culto ideologico di Stalin e del regime dinastico
nordcoreano, fondato sulla schiavitù degli operai.

Il PCL - l'unico partito della sinistra a non aver mai tradito gli operai -
è ora impegnato a investire la campagna elettorale condotta nel processo
della propria costruzione, la costruzione controcorrente di una sinistra
classista e rivoluzionaria. Nelle diverse situazioni coinvolte dal voto, le
nostre sezioni sono impegnate a promuovere, oltre a un bilancio della
campagna condotta e ad un'analisi attenta del voto ottenuto, un'azione di
capitalizzazione politica e organizzativa di quanto si è seminato
(contatti, nuove relazioni d'ambiente, salto di riconoscibilità pubblica
tra i lavoratori e i giovani). Un patrimonio, maggiore o minore, da
investire nel radicamento sociale del partito, a partire dalla classe
lavoratrice, e dalle sue lotte di ogni giorno.
Partito Comunista dei Lavoratori

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