[Redditolavoro] La disfatta del renzismo

Partito Comunista dei Lavoratori pclavoratoribologna at gmail.com
Tue Dec 6 15:12:13 CET 2016


La disfatta del renzismo
Per una soluzione di classe alla crisi della Repubblica

Il renzismo ha consumato una autentica disfatta.

La combinazione dell'altissima partecipazione al voto (70%) con la valanga
del No (quasi il 60%) offre un'indicazione inequivoca. Il plebiscito della
maggioranza silenziosa che Renzi aveva invocato per sé si è capovolto
contro di lui e il suo governo. La tendenziale omogeneità della vittoria
del No sull'intero territorio nazionale (con la parziale eccezione toscana)
rafforza l'imponenza del pronunciamento.

Il populismo di governo e il suo progetto bonapartista conoscono una
sconfitta senza ritorno. Il tentativo di sfondamento nell'elettorato di
centrodestra nel nome della stabilità politica contro il salto nel buio; il
tentativo di incursione nell'elettorato grillino e leghista nel nome del
taglio delle poltrone e dei politici contro la casta; la pioggia parallela
di mancette elettorali e richiami clientelari nella legge di stabilità;
l'occupazione, infine, a reti unificate dei canali della comunicazione
pubblica, hanno tutti mancato nel loro insieme il proprio obiettivo. Non è
colpa dello spartito in sé, ma del suo interprete. Il renzismo arrivava
alla prova decisiva del referendum istituzionale in uno stato di profonda
crisi di consenso, registrata da tutti i pronunciamenti elettorali dei due
ultimi anni. Una crisi apertasi a partire dallo scontro sociale su Jobs Act
e Buona scuola, e poi approfonditasi nella fase successiva. La disfatta
referendaria ha confermato e pesantemente aggravato questa crisi.

La disfatta del renzismo e del suo progetto bonapartista è un fatto
straordinariamente positivo. Tanto quanto una sua vittoria sarebbe stata
catastrofica per i lavoratori. Ma ciò non significa che il pronunciamento
di massa del No abbia una valenza politica uniforme. I blocchi sociali
interclassisti del populismo di opposizione hanno sostanzialmente tenuto
nei propri riferimenti politici, sommandosi contro il governo. Ha tenuto
massicciamente il blocco sociale della Lega , come emerge dal voto veneto.
Ha tenuto il grosso dell'elettorato di Forza Italia attorno al richiamo di
un pur indebolito Berlusconi. Ha tenuto il grosso dell'elettorato grillino,
come emerge dal voto nel Sud, a Roma, a Torino. Su questo versante il No ha
avuto il marchio di una “pancia di destra”. Ma parallelamente si è espresso
contro Renzi un settore di classe lavoratrice legato alla tradizione della
sinistra politica e sindacale, nelle sue diverse articolazioni e
organizzazioni (CGIL, FIOM, sindacati di base...), e attorno ad esso il
grosso di un popolo della sinistra segnato da una cultura democratica e
costituzionale con i suoi riferimenti portanti (ANPI): un settore di classe
e un popolo compositi che hanno affollato in tante parti d'Italia le
iniziative dei comitati del No, con livelli di partecipazione e
coinvolgimento spesso sorprendenti. Questo è il versante progressivo del
pronunciamento anti-Renzi. Il versante che può e deve assumersi ora la
responsabilità di una propria risposta e di una propria soluzione alla
crisi politica e istituzionale che la disfatta di Renzi ha aperto.

La disfatta del renzismo segna la sconfitta della Seconda Repubblica. La
Riforma costituzionale Renzi-Boschi non era solo il progetto bonapartista
dell'uomo solo al comando. Era anche, perciò stesso, l'atteso completamento
del lungo processo di riforma istituzionale che dai primi anni Novanta ha
investito gli assetti politici e istituzionali della Repubblica, a partire
dai comuni e dalle Regioni. Un processo di progressiva
costituzionalizzazione di governi di minoranza, grazie al combinato di
leggi maggioritarie e potenziamento degli esecutivi. Un processo funzionale
allo sviluppo dell'aggressione sociale ai lavoratori e alla lavoratrici,
allo smantellamento progressivo dei loro diritti e conquiste, a vantaggio
dei profitti padronali e nel quadro dei vincoli UE. Riforma Boschi e
Italicum dovevano completare e chiudere la transizione alla Seconda
Repubblica, col plauso di tutto il grande capitale, interno e
internazionale. Proprio per questo la disfatta di Renzi non è solo la
sconfitta di un aspirante Bonaparte. È anche la sconfitta di un lungo corso
politico istituzionale.

Per questa stessa ragione il movimento operaio deve porsi all'altezza della
crisi che ora si è aperta e indicare la propria soluzione. Autonoma, di
classe, totalmente alternativa e contrapposta a quelle prospettate dagli
altri soggetti del campo del No.

La crisi politica e istituzionale che si è aperta vede in campo, da
protagonisti, diversi avversari della classe lavoratrice. La presidenza
della Repubblica cercherà di incardinare una soluzione di governo che regga
la pressione del capitale finanziario, tamponi la crisi delle banche,
conduca in porto una legge di stabilità che regala altri 20 miliardi a
imprese e banche, gestisca il negoziato nella UE, istruisca in un
parlamento assai più instabile una nuova legge elettorale che garantisca
“governabilità” (antioperaia). Non sarà facile. Intanto, sul fronte del No
ogni soggetto dispiega il suo gioco. Ma sempre contro i lavoratori. La Lega
di Salvini punta alla rapida scalata del centrodestra con un messaggio
trumpista e lepenista, fondato su caccia ai migranti e nazionalismo
antieuropeo. Berlusconi punta a recuperare uno spazio negoziale col PD
indebolito su legge elettorali, riforma istituzionale, ulteriore
detassazione delle imprese. Il M5S invoca elezioni subito, in compagnia
della Lega, per provare a capitalizzare a proprio vantaggio la spinta del
No, conquistare il potere, e affermare il proprio disegno di Repubblica
plebiscitaria via web, che contrappone reddito di cittadinanza alla
ripartizione del lavoro, punta all'abolizione dell'Irap, solletica gli
umori xenofobi e nazionalisti.

Il movimento operaio non ha nulla a che spartire con questi disegni, tutti
mirati contro i suoi interessi sociali. Tutti interessati a costruire sulle
rovine del renzismo diverse soluzioni reazionarie.
Al contrario. Di fronte alla bancarotta della Seconda Repubblica, si tratta
di battersi per una soluzione operaia della crisi. Una soluzione che volti
finalmente pagina. Che chiami in causa le classi dirigenti del Paese, tutti
i loro poteri e tutti i loro partiti. Che rivendichi la cancellazione delle
leggi antioperaie di trent'anni, a partire dal Jobs Act e Buona scuola. Che
ponga al centro dello scontro le ragioni di classe del lavoro, contro ogni
loro subordinazione al capitale. Che rivendichi il diritto alla piena
rappresentanza proporzionale di queste ragioni, contro ogni loro
subordinazione alla governabilità del sistema. È la prospettiva di una
repubblica dei lavoratori, basata sulla loro forza e la loro
organizzazione. L'unica che possa abolire il debito pubblico verso le
banche e nazionalizzarle, espropriare i capitalisti che licenziano ed
inquinano, ripartire tra tutti il lavoro attraverso una riduzione generale
e progressiva dell'orario di lavoro a parità di paga, cancellare le leggi
di precarizzazione del lavoro, sviluppare un grande piano di nuovo lavoro,
a partire dal riassetto idrogeologico del territorio e la messa in
sicurezza antisismica dell'intero patrimonio edilizio pubblico e privato.
Nessuna di queste misure è rinunciabile. Nessuna di esse può essere
realizzata dagli avversari dei lavoratori, dentro il quadro capitalistico,
dentro la UE. Solo una rottura anticapitalista, solo un governo dei
lavoratori può realizzarle.

Proponiamo il più ampio fronte unico di lotta del movimento operaio e delle
sue organizzazioni attorno a questo programma indipendente, e a questa
autonoma prospettiva politica. E dentro questa prospettiva diciamo con
chiarezza che vanno archiviati e respinti gli accordi sindacali a perdere
siglati dalla burocrazia sindacale alla vigilia del referendum
istituzionale, nel settore privato (metalmeccanici) come nel settore
pubblico (pubblico impiego) come nei servizi (igiene ambientale). Regali al
padronato per scalare la segreteria CGIL (Landini), regali al governo per
compiacere l'unità con la CISL renziana. Regali da revocare, subito, a
partire dal No delle assemblee dei lavoratori. Il No a Renzi diventi il No
di classe del mondo del lavoro a decenni di sacrifici e umiliazioni. Ora
basta. È l'ora di costruire una riscossa. È ora di ripartire da una
piattaforma di lotta unificante, da una vertenza generale che l'accompagni,
da una mobilitazione prolungata che l'imponga.

Il PCL si batte e si batterà come sempre in ogni lotta per aprire questa
pagina nuova.
Partito Comunista dei Lavoratori

​
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