[Redditolavoro] Chi si è bevuto Marino?

[Partito Comunista dei Lavoratori]

Chi si è bevuto Marino?

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Che Ignazio Marino sia costretto alle dimissioni dalle sue cene
generosamente (auto)elargite e non dalle migliaia di lavoratori del comune
di Roma contro i quali egli si è accanito in questi anni offre il senso non
solo del sapore reale di queste dimissioni, ma anche dell'esternità della
dimensione sociale cittadina alle logiche politico-istituzionali.

La cornice demagogica e populista all'interno della quale la resa del
sindaco si è interamente consumata è quella che fa da sfondo ormai stabile
alla politica di palazzo nel suo insieme, tanto locale che nazionale, e
cioè la cornice del circolo malaffare-corruzione-privilegio, che agisce da
irresistibile buco nero di attrazione di ogni tematica e questione politica
all'ordine del giorno, che finisce per essere centrifugata e servita sempre
uguale sul piatto di un'opinione pubblica sempre più stordita, assuefatta e
al tempo stesso dipendente. A tutto vantaggio dei Grillo e Salvini di
turno, ma anche dei partiti padronali al potere, che non vedono scalfiti di
un millimetro gli interessi materiali dei quali sono portatori, e la
capacità di presa che su di essi e tramite essi hanno. E che anzi tale
meccanismo "utilizzano" a scopo di guerre e regolamenti di conti interni.

Marino non ha fatto eccezione. Vittima sacrificale del più famelico
comitato d'affari della borghesia romana, quel Partito Democratico che i
suoi stessi dirigenti nazionali e locali ammettono apertamente essere preda
di "monopòli" e "interessi particolari" fin dai suoi circoli territoriali
(indagine Barca), Marino soccombe, curiosamente, proprio nel momento stesso
in cui l'emergere della cosiddetta "mafia capitale" offre la più banale
delle conferme al fatto che corruzione e illegalità dell'amministrazione
pubblica altro non sono che il circuito a bassa tensione che percorre ormai
strutturalmente e trasversalmente l'intero arco dei partiti e delle
istituzioni borghesi, nessuna esclusa: è il capitalismo e i suoi apparati
ad essere organicamente mafiosi, generatori e riproduttori di criminalità.
Roma è solo il miglior pascolo, perché il capitale trova da saccheggiare
più e meglio che altrove.

Marino andava cacciato, così come andavano e andranno cacciati coloro che
stanno tagliando salari, buttando lavoratori in mezzo alla strada,
privatizzando società e municipalizzate, depredando la sanità pubblica e
rimpinzando quella privata, facendo a pezzi i servizi, portando al collasso
il trasporto pubblico (per venderlo domani), abbandonando e facendo
sfasciare le scuole, foraggiando immobiliaristi e "palazzinari", devolvendo
regalie al Vaticano, sfamando clientes, precipitando alla dannazione le
periferie.

Marino andava cacciato, ma non è stato cacciato dai lavoratori e dalle loro
mobilitazioni di questi anni. Marino è stato cacciato da una contesa tutta
interna al governo, al PD, e alla sua maggioranza di giunta capitolina, con
la sponda della grancassa mediatica contigua (La Repubblica, Rai...) e
sinistre di governo - complici di Marino in tutto e fino alla fine -
tristemente compartecipi (SEL).
Il grosso delle mobilitazioni, al contrario, per via di direzioni sindacali
miopi anche quando combattive, non ha voluto o saputo vedere in Marino un
protagonista - tanto quanto Renzi e i governi nazionali - delle politiche
capitalistiche di impoverimento dei lavoratori e di cancellazione dei
diritti, fedele e zelante esecutore delle misure di compatibilità di
sistema, basate su austerità e spoliazione degli enti locali ad opera di
patto di stabilità interno e sostenibilità del debito.

Nessuno dei partiti dei padroni può rivendicare una politica diversa da
quella di Marino e della sua giunta di centrosinistra. Nessuno dei partiti
che sono oggi in piazza contro Marino e che si candidano a gestire le
istituzioni capitalistiche con misure capitalistiche e nel quadro del
capitalismo potrà farlo un domani.
Partito Comunista dei Lavoratori


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