[Redditolavoro] "Giù le mani dalla Siria " Adesioni aggiornate al 10 luglio

CobasSindacatodiClasse cobasta at libero.it
Wed Jul 11 12:46:56 CEST 2012



Cari compagni
di seguito trovate  il documento con le firme aggiornate. Nel frattempo vi
mettiamo a conoscenza che abbiamo respinto diverse adesioni strumentali
provenienti da ambienti comunitaristi, attuazionisti e socialisti nazionali
(?).Uno degli scopi del documento è rimarcare  le distanze inconciliabili
con queste organizzazioni e puntualmente provano a rinfilarsi.


Buon lavoro

il gruppo promotore dell'appello




*Giù le mani dalla siria*

*No alla guerra contro la Siria e contro il popolo siriano *



*per adesioni: **controleguerre at gmail.com* <controleguerre at gmail.com>


Il movimento contro la guerra e la situazione in Siria. Un documento
collettivo mette i piedi nel piatto sulla funzione di una coerente
opposizione alla guerra, anche quella “umanitaria”.
La grave situazione in Siria, pone i movimenti che in questi anni si sono
battuti contro la guerra di fronte a nuovi e vecchi problemi che producono
lacerazioni, immobilismo e un vuoto di iniziativa.
Siamo attivi in reti, realtà politiche e movimenti che in questi anni – ed
anche in questi mesi – non hanno esitato a schierarsi contro l’escalation
della guerra umanitaria con cui l’alleanza tra potenze della Nato e
petromonarchie del Golfo, sta cercando di ridisegnare la mappa del Medio
Oriente.

a) Interessi convergenti e prospettive divergenti al momento convivono
dentro questa alleanza tra le maggiori potenze della Nato e le potenze che
governano “l’islam politico”. E’ difficile non vedere il nesso tra
l’invasione/disgregazione della Libia, l’escalation in Siria, la
repressione saudita in Barhein e Yemen e i tentativi di normalizzazione
delle rivolte arabe lì dove sono state più impetuose (Tunisia, Egitto). La
dottrina del Dipartimento di Stato Usa “Evolution but not Revolution” aveva
decretato quello che abbiamo sotto gli occhi come l'unico sbocco consentito
della Primavera Araba. Da queste gravi responsabilità è impossibile tenere
fuori le potenze dell'Unione Europea, in particolare Francia, Gran Bretagna
e Italia, che hanno prima condiviso l’aggressione alla Libia, hanno
mantenuto intatto il loro sostegno politico e militare ad Israele ed oggi
condividono la stessa politica di destabilizzazione per la Siria.

b) I movimenti che si oppongono alla guerra, in questi ultimi anni hanno
dovuto fare i conti con diverse difficoltà. La prima è stata la rimozione
della guerra dall’agenda politica dei movimenti e delle forze della
sinistra o, peggio ancora, una complice inerzia verso le aggressioni
militari come quella in Libia. Dalla “operazione di polizia internazionale
in Iraq” del 1991 alla “guerra umanitaria in Jugoslavia” nel 1999 per
finire con le “guerre per la democrazia” del XXI Secolo, le guerre
asimmetriche scatenate dai primi anni Novanta in poi dalle coalizioni di
grandi potenze contro paesi più deboli (Iraq, Somalia, Afghanistan,
Jugoslavia, Costa d'Avorio, Libia), hanno sempre cercato una legittimazione
morale che poco a poco sembra essere penetrata anche nella elaborazione e
nel posizionamento di settori dei movimenti pacifisti e contro la guerra. I
sostenitori della “guerra umanitaria” statunitensi ma non solo, stanno
cercando di definire una cornice legale agli interventi militari attraverso
la dottrina del “Rights to Protect” (R2P). Gli obiettivi di queste guerre
sono stati sempre presentati come la inevitabile rimozione di capi di stato
o di governi relativamente isolati o addirittura resi invisi alla
cosiddetta “comunità internazionale” sia per loro responsabilità che per le
martellanti campagne di demonizzazione mediatiche e diplomatiche.


c) Saddam Hussein, Aydid, Milosevic, il mullah Omar, Gbagbo, Gheddafi e
adesso Assad, sono stati al centro di una vasta operazione di cambiamento
di regime che è passata attraverso gli embarghi, i bombardamenti e le
invasioni militari da parte delle maggiori potenze della Nato e i loro
alleati regionali, operazioni su vasta scala che hanno disgregato paesi
immensamente più deboli perseguendo la “stabilità” degli interessi
occidentali attraverso la destabilizzazione violenta di governi o regimi
dissonanti. A prescindere dalle maggiori o minori responsabilità di questi
leader verso il benessere e la democrazia dei loro popoli, le maggiori
potenze hanno agito sistematicamente per la loro rimozione violenta
attraverso aggressioni militari e imposizione al potere di nuovi gruppi
dirigenti subordinati agli interessi occidentali.


d) Seppure negli anni precedenti la consapevolezza che la divisione tra
“buoni e cattivi” non sia mai stata una categoria limpida e definita – anzi
è servita a occultare le vere motivazioni delle guerre - nel nostro paese
ci sono stati movimenti di protesta che si sono opposti alla guerra
prescindendo dai soggetti in campo e che si sono posizionati sulla base di
una priorità: quel no alla guerra senza se e senza ma che in alcuni momenti
ha saputo essere elemento di identità e mobilitazione straordinario. Sembra
però che la coerenza con questa impostazione si stia sempre più
affievolendo e in alcuni casi ribaltando. La macchina del consenso alle
guerre ha visto infatti crescere gli elementi di trasversalità. Prima erano
solo personalità della destra a sostenere gli interventi militari, adesso
vi si arruolano anche uomini e donne della sinistra. Questa difficoltà era
già emersa nel caso dell'aggressione militare alla Libia ed oggi si rivela
ancora più lacerante rispetto alla possibile escalation in Siria.


e) Le iniziative contro la guerra che ci sono state in questi mesi, seppur
minoritarie, sono riuscite a ostacolare l’arruolamento attivo di alcuni
settori pacifisti nella logica della guerra umanitaria, hanno creato una
polarizzazione che in qualche modo ha esercitato un punto di tenuta di
fronte alla capito lazione politica, culturale del pacifismo e
dell'internazionalismo. Ma la realtà sta incalzando tutte e tutti, ragione
per cui è necessario affrontare una discussione nel merito dei problemi che
la crisi in Siria ci porrà davanti nei prossimi mesi.


Nel merito della situazione in Siria
In tutte le guerre asimmetriche – che di fatto sono aggressioni unilaterali
- le potenze occidentali hanno sempre lavorato per acutizzare le
contraddizioni e i contrasti esistenti nei paesi aggrediti. La questione
semmai è che l'ingerenza esterna da parte delle potenze della Nato e dei
loro alleati ha agito sistematicamente per una deflagrazione violenta dei
contrasti interni che consentisse poi l'intervento militare e servisse a
legittimare la “guerra umanitaria”. La guerra mediatica ha bisogno sempre
di sangue, orrori, cadaveri, stragi da gettare nella mischia e negli occhi
dell'opinione pubblica. Di solito le notizie su questo vengono martellate
nei primi venti giorni. Smentirle o dimostrarne la falsità o la maggiore o
minore manipolazione, diventa poi difficile se non impossibile. Ciò
significa che tutto viene inventato o manipolato? No. Ma un conflitto
interno senza ingerenze esterne può trovare una soluzione negoziata, se le
ingerenze esterne lavorano sistematicamente per impedirla si arriva sempre
ai massacri e poi all'intervento militare “stabilizzatore”. Chiediamoci
perchè tutti i piani e gli accordi di pace in questi venti anni sono stati
fallire (ultimo in ordine di tempo quello di Kofi Annan sulla Siria). Il
loro fallimento è funzionale al fatto che l'unico negoziato accettabile per
le potenze occidentali è solo quello che prevede la resa o l'uscita di
scena – anche violenta – della componente dissonante. Questo è quanto
accaduto ed è facilmente verificabile da tutti.
Le soluzioni avanzate dalle sedi della concertazione internazionale
(Consiglio di Sicurezza dell’Onu, organizzazioni regionali come Unione
Africana, Lega Araba e Alba), non state capaci di opporsi alle politiche di
“cambiamento di regimi” decise dagli Usa o dalla Ue. I leader dei regimi o
dei governi rimossi, hanno cercato in più occasioni di arrivare a
compromessi con gli Usa o la Nato. Per un verso è stata la loro perdizione,
per un altro era una strada sbarrata già dall'inizio. Più cercavano un
compromesso e maggiori diventavano le sanzioni adottate negli embarghi. Più
si concretizzavano le condizioni per una ricomposizione dei contrasti
interni e più esplodevano autobombe o omicidi mirati che riaprivano il
conflitto. Se l'unica soluzione proposta diventa il suicidio politico o
materiale di un leader o lo sgretolamento degli Stati, qualsiasi negoziato
diventa irrilevante.
Dalla storia della Siria non sono rimovibili le modalità autoritarie con
cui in varie tappe è stata affrontata la domanda di cambiamento di una
parte della popolazione siriana. Non è possibile ritenere che la leadership
siriana sia l’unica a aver gestito in modo autoritario le contraddizioni e
le aspettative nel mondo arabo. Questa caratteristica è comune a tutti i
paesi del Medio Oriente ed è una conseguenza dell'imposizione dello Stato
di Israele nella regione e un retaggio del colonialismo. Ciò non giustifica
la leadership siriana ma ci indica anche chiaramente come la sua
sostituzione non corrisponderebbe affatto ad un avanzamento democratico o
rivoluzionario per il popolo siriano. E’ sufficiente guardare quale tipo di
leadership si è impossessata del potere una volta cacciati Mubarak in
Egitto, Ben Alì in Tunisia, Gheddafi in Libia o chi sta imponendo il
tallone di ferro su Barhein, Yemen, Oman. Sono paesi in cui c’è gente che
ha lottato seriamente per maggiore democrazia e diritti sociali più
avanzati, ma chi ne sta gestendo le aspettative sono le potenze della Nato,
le petromonarchie del Golfo e le componenti più reazionarie dell’islam
politico. Le componenti progressiste della Primavera Araba sono state – al
momento – isolate e sconfitte da questa alleanza tra potenze occidentali e
le varie correnti dell’islam politico.
Dentro la crisi in corso in Siria, la leadership di Bashar El Assad ha
conosciuto due fasi: una prima in cui ha prevalso la consuetudine
autoritaria, una seconda in cui è cresciuto il peso politico delle forze
che spingono verso la democratizzazione. I risultati delle ultime elezioni
legislative non sono irrilevanti: ha votato il 59% della popolazione
nonostante la guerra civile in corso in diverse parti del paese (in
Francia, in condizioni completamente diverse, alle ultime elezioni ha
votato il 53%, in Grecia nelle elezioni più importanti degli ultimi decenni
ha votato il 62%); per la prima volta si è rotto il monopolio politico del
partito di governo, il Baath, e nuove forze sono entrate in Parlamento
indicando questa rottura come obiettivo pubblico e dichiarato, si è creato
cioè l'embrione di uno spazio politico reale per un processo di
democratizzazione del paese; le forze che si oppongono alla leadership di
Assad vedono prevalere le componenti armate e settarie, un dato che si
evidenzia nei massacri e attentati che vengono acriticamente e
sistematicamente addossati alle truppe siriane mentre più fonti rivelano
che così non è. Le forze di opposizione con una visione progressista sono
ridotte a ben poca cosa e non potranno che essere stritolate
dall’escalation in corso; infine, ma non per importanza, l’ingerenza
esterna è quella che sta facendo la differenza. Non è più un mistero per
nessuno che le forze principali dell’opposizione ad Assad siano sostenute,
armate e finanziate dall’alleanza tra le potenze della Nato (Turchia
inclusa) e i petromonarchi di Arabia Saudita e Qatar. E’ un’alleanza già
sperimentata in passato sia in Afghanistan che nei Balcani e nel Caucaso,
un’alleanza che si è rotta alla fine degli anni Novanta e poi ricomposta
dopo il discorso di Obama al Cairo che annunciava e auspicava gli
sconvolgimenti nel mondo arabo. Queste forze e l’alleanza internazionale
che li sostiene puntano apertamente ad una guerra civile permanente e
diffusa per destabilizzare la Siria. I corridoi umanitari a ridosso del
confine con Turchia e Libano e la No fly zone, saranno il primo passo per
dotare di retrovie sicure i miliziani dell’Esercito Libero Siriano,
spezzare i collegamenti tra la Siria e i suoi alleati in Libano (Hezbollah
soprattutto), destabilizzare nuovamente il Libano e rompere il Fronte della
Resistenza anti-israeliana. Se il logoramento e la destabilizzazione
tramite la guerra civile permanente non dovesse dare i risultati
desiderati, è prevedibile un aumento delle pressioni sulla Russia per
arrivare ad un intervento militare diretto delle potenze riunite nella
coalizione ad hoc dei “Friends of Syria” guidata dagli Usa ma con molti
volonterosi partecipanti come la Francia di Hollande o l’Italia di Monti e
del ministro Terzi.
In questi anni, nelle mobilitazioni in Italia contro la guerra o per la
Palestina, abbiamo registrato ripetuti tentativi di gruppi e personaggi
della vecchia e nuova destra di aderire e partecipare alle nostre
manifestazioni. Un tentativo agevolato dall’abbassamento di molte difese
immunitarie nella sinistra e nei movimenti sul piano dell’antifascismo ma
anche dalla voragine politica lasciata aperta dall’arruolamento di molta
parte della sinistra dentro la logica eurocentrista, dalla subalternità
all’atlantismo e dalla complicità – o al massimo dall’equidistanza – tra
diritti dei palestinesi e la politica di Israele. Se la sinistra e una
parte dei movimenti hanno liberato le piazze dalla mobilitazione contro la
guerra, dal sostegno alla resistenza palestinese e araba ed hanno smarrito
per strada la loro identità, è diventato molto più facile l’affermazione di
alcuni gruppi marginali della destra e della loro chiave di lettura
esclusivamente geopolitica ed eurasiatica della crisi, dei conflitti e
delle relazioni sociali intesi come lotta tra potenze. I gruppi della
destra veicolano un antiamericanismo erede della sconfitta subita dal
nazifascismo nella seconda guerra mondiale e completamente avulso da ogni
capacità di lettura dell’egemonia imperialista sia nel suo versante
statunitense che in quello europeo. Una chiave di lettura sciovinista e
reazionaria che nulla a che vedere con una identità coerentemente
anticapitalista ed internazionalista. Non solo. La paura di gran parte
della sinistra di declinare la solidarietà con i palestinesi come
antisionista e anticolonialista, ha regalato a questa destra e alla sua
declinazione razzista e antiebraica uno spazio di iniziativa, cultura e
solidarietà che storicamente ha sempre appartenuto alle forze progressiste.
Se si cede su un punto decisivo si rischia di capitolare poi su tutto lo
scenario mediorientale. Se questo è già visibile anche negli altri ambiti
dell’agenda politica e sociale nel nostro paese, è difficile immaginare che
non avvenga anche sul piano della mobilitazione contro la guerra e sui
problemi internazionali. Sulla Palestina e nella mobilitazione contro la
guerra abbiamo sempre respinto ogni tentativo di connivenza con i gruppi
della destra. Intendiamo continuare a farlo ma vogliamo anche segnalare che
– come sul piano sociale o giovanile – è l’assenza di iniziative e la
debole identità della sinistra a facilitare il compito ai fascisti, non
viceversa. E’ necessario dunque che alla coerenza con le posizioni e il
ruolo svolto dalle nostre reti, associazioni, organizzazioni in questi
venti anni e che ha visto schierarci sempre contro la guerra senza se e
senza ma, si affianchi un recupero di identità e di contenuti.
f) La seconda difficoltà che abbiamo dovuto registrare è stata quella di
una lettura superficiale del nesso tra la crisi che attanaglia le maggiori
economie capitaliste del mondo (Stati Uniti ed Unione Europea soprattutto)
e il ricorso alla guerra come strumento naturale della concertazione e
della competizione tra le varie potenze e i loro interessi strategici. Una
concertazione evidente quando si tratta di attaccare e disgregare gli stati
deboli (Libia, Jugoslavia, Afghanistan) , una competizione quando si tratta
di capitalizzare a proprio favore i risultati delle aggressioni militari
(Georgia, Iraq. Libia). Se il colonialismo classico è andato all’assalto
del Sud del mondo per accaparrarsi le risorse, il neocolonialismo è andato
a caccia di forza lavoro a basso costo. Ma dentro la crisi di sistema che
attanaglia le maggiori economie capitaliste del mondo, queste due
dimensioni oggi si sono ricomposte nella loro sintesi più alta e
aggressiva. Alcuni di noi la definiscono come imperialismo, altri come
mondializzazione, comunque la si chiami oggi si è riaperta una competizione
a tutto campo per accaparrarsi il controllo di risorse, forza lavoro,
mercati e flussi finanziari. Questa conquista ha come obiettivo soprattutto
l'economia dei paesi emergenti e quelli in via di sviluppo che molti
ritengono poter essere l’unica via d’uscita e valvola di sfogo per la crisi
di civilizzazione capitalistica che sta indebolendo Stati Uniti ed Unione
Europea. In tale contesto, la guerra come strumento della politica e
dell’economia è all’ordine del giorno. Se pensiamo di aver visto il massimo
degli orrori in questi anni, rischiamo di doverci abituare a spettacoli ben
peggiori. L’alleanza – non certo inedita – tra potenze occidentali,
petromonarchie e movimenti islamici ha rimesso in discussione molti schemi,
a conferma che il processo storico è in continua mutazione e che limitarsi
a fotografare la realtà senza coglierne le tendenze è un errore che rischia
di paralizzare l’analisi e l’azione politica.
I firmatari di questo documento declinano in modo diverso categorie come
imperialismo, mondializzazione, militarismo, disarmo, antisionismo,
anticapitalismo, pacifismo, solidarietà internazionale e internazionalismo,
ma convergono su un denominatore comune sufficientemente chiaro nella lotta
contro la guerra e le aggressioni militari.
Per queste ragioni condividiamo l'idea di promuovere:
Il percorso comune di riflessione che ha portato a questo documento
La costituzione di un patto di emergenza per essere pronti a scendere in
piazza se e quando ci sarà una escalation della Nato e dei suoi alleati
contro la Siria al quale chiediamo a tutti di partecipare
l’impegno ad un lavoro di informazione e controinformazione coordinato che
contrasti colpo su colpo e con ogni mezzo a disposizione la manipolazione
mediatica che spiana la strada a nuove “guerre umanitarie”, anche in Siria


*Sottoscrivono per ora questo documento:*
Rete Romana No War
Rete Disarmiamoli
Militant
Rete dei Comunisti
Partito dei Comunisti Italiani
Forum contro le guerre
Comitato Palestina, Bologna
Comitato Palestina nel Cuore, Roma
Gruppo d'Azione per la Palestina, Parma
Collettivo Autorganizzato Universitario, Napoli
Csa Vittoria, Milano
Alternativa
Federazione Giovani Comunisti
Forum Palestina
Associazione Oltre Confine
Associazione amici dei prigionieri palestinesi, Italia
Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella
Brigate di Solidarietà e per la Pace-Brisop- Toscana

Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia – onlus

Collettivo G. Tanas

Tifiamo Rivolta

"Gruppo Siria: No ad un'altra Libia"

Federazione Napoletana del Partito della Rifondazione Comunista

Redazione ALBAinFormazione

SLAI COBAS per il sindacato di classe coordinamento nazionale

Federazione  Giovani Comunisti Italiani  Torino

Sinistra Critica Sarda

Circolo culturale " Il minatore rosso "

Brindisi per Gaza

Coordinamento II Policlinico Napoli

'Ass.ne "La Casa Rossa"  Milano

Associazione Ita-Nica circolo C.Fonseca  Livorno
Rete Antifascista di Brescia

UDAP Unione Democratica Arabo palestinese



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