[Redditolavoro] attenzione!!!!!!!!!!!!

marku at inventati.org marku at inventati.org
Tue Jan 31 09:59:04 CET 2012



http://italy.indymedia.org/node/3903#comment-14998


se andate per fare casino ed esprimere la vostra gioventù
e la vostra voglia di liberazione
okkio alla testa

portatevi il casco

la cgil e storicamente il servizio d'ordine della fiom
(il reparto celere della sinistra burokratika palazzo)

al momento buono hanno sempre dimostrato di preferire
il metodo celerino nel reprimere qualsiasi movimento autonomo al loro 
storico abbraccio mortale alla fabbrica reazionaria che è stato 
l'orribile pci ed ora a cascata il pds il pd etc

se pensate che la fiom con la sua poderosa forza sociale ed economica 
possa diventare quella che non è mai stata e quello che mai sarà (e cioè 
forza di liberazione sociale al di fuori del carattere di una società 
capitalistica e divisa in classi) avete preso un abbaglio storiko
con l'aggravante dell'insegnamento della storia che appunto c'insegna 
quello che molti ex giovani hanno visto

ne riparliamo il 12

ma siete giovani
e tempo ne avanza ...........


un'analisi che sembra scritta domani

http://www.autprol.org/public/news/doc000318901012001.htm

APPUNTI SUL PRESENTE

La crisi



L’enorme massa di capitali posti all’interno della finanza sono 
l’emblema della difficoltà del capitale di reggere sul livello 
produttivo. La spinta speculativa è la chiave di lettura dell’attuale 
fase. Tale forma è l’emblema del ruolo parassitario del capitale e della 
sua necessaria abolizione da parte della classe lavoratrice. Il 
capitalismo invece di guadagnare e accumulare poco producendo molto e 
facendo consumare molto, guadagna e accumula enormemente producendo poco 
e soddisfacendo male il consumo sociale. A questo si lega una sempre più 
accelerata divisione di classe, in un capitalismo che per sopravvivere 
deve accrescere i margini di sfruttamento sulla forza lavoro.



L’organizzazione del lavoro sul modello industriale sta assorbendo 
sempre più settori, imponendo i suoi ritmi e la sua alienazione. Il 
cosiddetto modello industriale è il paradigma socio-organizzativo del 
capitalismo moderno imposto alla classe lavoratrice. Accanto a questo 
fenomeno vi è una sempre più accellerata rincorsa verso le metropoli per 
le fasce proletarie. Le aree produttive si raccolgono in base a 
distretti produttivi specifici, localizzate sul territorio a rete. Un 
tale fenomeno investe l’Italia così come i paesi maggiormente 
sviluppati. Vi è quindi una interconnesione tra le varie componenti del 
lavoro, questo processo è provocato dalla stessa organizzazione del 
lavoro. Accanto a questo vi è l’estensione numerica della classe operaia 
a livello mondiale, scenario nuovo nella storia del capitalismo.



Lo Stato si modella confrontandosi con una sempre più spinta dimensione 
metropolitana e affina le forme di controllo e prevenzione, non 
attraverso una spinta autoritaria, ma sfruttando al massimo la 
ristrutturazione produttiva, la nuova composizione di classe (il mettere 
in concorrenza i proletari extracomunitari con quelli non). Se il tempo 
di produzione capitalista abbisogna di tempi più veloci lo Stato deve 
prendere questo tempo nell’esecuzione delle sue funzioni. Questo non 
toglie che il carcere, la polizia rimangono uno dei pilastri per il 
controllo e la prevenzione sociale.



Se il capitalismo è sempre stato globale, in quanto sistema espansivo, 
mai come ora lo sviluppo del sistema di produzione capitalista ha 
investito tutto il pianeta e pone la lotta di classe su un piano 
immediatamente internazionale.

Sul piano della politica internazionale gli USA presentano al loro 
interno i primi sintomi di questa crisi, che si lega ad una ancor più 
accelerata instabilità delle metropoli e una ripresa della lotta dei 
lavoratori, che hanno imposto al sindacato una linea più combattiva, o 
la nuova emergenza data dal proletariato nero e ispanico statunitense. 
Sul piano internazionale il blocco europeo si presenta come il miglior 
contendente sullo scenario mondiale all’impero USA, anche se ora la 
alleanza di capitali americani-europei nasconde le reciproche 
preoccupazioni rispetto alla magmatica e infinita Asia.



I due paradigmi dell’attuale sistema di produzione capitalista sono una 
flessibilità produttiva e una relativa precarietà contrattuale e sociale 
per la classe lavoratrice. Ora il capitalismo pur scomponendo la 
produzione, accelera i processi di concentrazione finanziaria e di 
ramificazione produttiva, cosa che rende la classe operaia unificata a 
livello mondiale. La flessibilità produttiva rende paradossalmente più 
precario il capitalismo, e più vulnerabile rispetto ad un attacco mirato 
della classe. In questo senso è di estremo interesse studiare i flussi 
produttivi per intervenire efficacemente in una lotta. Ci consola poco 
vedere le manifestazioni che si fanno contro gli Organismi 
Multinazionali da Seattle a Nizza se sul piano reale del capitale, 
l’azienda terreno dove si autoalimenta, e il territorio dove si abita 
non si è capaci di offrire uno straccio di strumento per l’azione. La 
sovra-determinazione di questi organismi nello sviluppo del capitale, 
non può essere presa a fenomeno di comprensione generale dello sviluppo 
capitalista, che intreccia lo sviluppo caotico del mercato alla 
programmazione dello sfruttamento e dell’utilizzo della scienza in 
funzione antioperaia, per aumentatare i margini di profitto. Lo sviluppo 
degli O.M. è un processo -naturale- del capitale, e come tale deve 
essere studiato e capito. Il capitalismo è un rapporto sociale, al cui 
interno agiscono vari soggetti. Non vi è stabilità nel capitale. Gli OM 
sono di fatto i controllori di queste spinte centrifughe del 
capitalismo, ma un tale fenomeno non può essere regolato, assumono 
quindi un ruolo immediatamente poliziesco e repressivo nei confronti 
della classe proletaria rivoluzionaria.

Se è vero che le mastodontiche cattedrali industriali negli USA e in 
Europa sono state smantellate, vi è una notevole capacità operativa del 
settore industriale nel ramificarsi per distretti e sfruttare al massimo 
la dimensione metropolitana. Il lavoro fra infrastrutture e aziende, che 
si conosce in Veneto e nella sempre più emergente Emilia va in questa 
direzione. In Italia la -fabbrica- ha subito  una forte 
ristrutturazione, tuttavia rimane un settore chiave per lo sviluppo 
dell’autonomia proletaria. Fabbrica qui non salamente intesa come luogo, 
ma come classe che esprime precisi interessi materiali, prodotti dal 
rapporto produttivo: classe-capitale, al tempo stesso fabbrica come 
sviluppo del sistema industriale che ingloba con i suoi tempi e spazi 
sempre più settori di lavoro.

La contrattualistica precaria introdotta per assecondare la 
flessibilità produttiva e per diminuire le spese per le aziende, agisce 
come una arma per ricattare gli operai, crea tuttavia una schiera di 
nuovi operai non avvezzi alla mitologia aziendale produttivista. I 
soggetti sociali che maggiormente vivono questa pauperizzazione 
accelerata sono i settori proletari di recente immigrazione o di bassa 
scolarizzazione, tuttavia il sempre meno lento disintegrarsi del “ceto 
medio” porta sempre più settori di lavoratori a scontrarsi con la 
politica fogocitatoria del capitale. Prende vita una porzione sociale 
espulsa dalla società del “benessere”, che perde una propria 
rappresentanza politica e sindacale. Non è slegato da questo parlare 
della rincorsa dei partiti ufficiali parlamentari al centro, che si 
traduce in pratica non tanto in politiche moderate (i tagli e 
l’abbassamento del livello di vita delle fasce operaie non possiamo 
ritenerle moderate) ma nell’acquisire come soggetto sociale di 
riferimento: la piccola- borghesia. In questo senso la forbice che si 
apre è nettissima, rispetto alle speranze che possono offrire le 
formazioni di sinistra rispetto ai segmenti proletari. Non polemizziamo 
sul mancato -verbalismo- in senso operaio e proletario delle formazioni 
parlamentari, ma constatiamo la loro incapacità di offrire una possibile 
situazione a questa sempre più inesorabile ascesa della crisi e 
polarizzazione sociale.



Si aprono spazi, in questo contesto, per l’ipotesi rivoluzionaria ?



La rivoluzione unica possibilità storica in senso materiale in mano al 
proletariato, per mettere fine alla sua condizione di schiavitù, non 
nasce dall’idea illuminata di qualche gruppo rivoluzionario, ma dalla 
già accennata separazione sociale che si viene a creare e dalla risposta 
proletaria nella lotta di classe generale attraverso forme di potere sul 
territorio.

In questo senso con il subentrare di un periodo di crisi del sistema di 
produzione capitalista, il padronato lo Stato diminuiscono le possibili 
donazioni, e mostrano un altro volto: controllo, miseria, 
intensificazione dei ritmi di lavoro, guerre.

Tutto questo ha bisogno di un soggetto che muove guerra alla società, e 
come detto precedentemente, non è appannaggio dei gruppi politici, ma 
questo “esercito” è la stessa classe operaia e proletaria, che vista 
rompersi il legame con la società può solo sviluppare azioni antisociali 
che inevitabilmente cozzano con il sistema di produzione capitalista. 
Classe che pur ammettendo la sua dimensione generale e collettiva, 
possiede al suo interno delle fasce che ne rappresentano le avanguardie. 
Tali avanguardie non sono ancora gruppi o sindacati, ma sono porzioni di 
classe che per la loro situazione sono spinti maggiormente nell’azione. 
All’interno di queste porzioni si struttura la frazione comunista del 
proletariato.



In questo spazio si colloca l’ipotesi comunista, di un comunismo ben 
inteso con altri contenuti, forme e classi sociali di quello che ha 
contraddistinto le esperienze del socialismo reale.. Non si deve 
conquistare l’economia del capitale ma distruggerla, in tale modo si 
svilupperanno forme di organizzazione sociale diverse da quelle 
precedenti, vista l’impossibilità di mantenere un tale modello. Arrivare 
a questo stadio, non sarà immediato, ne sarà semplice. I passaggi come 
spesso si è visto nella storia possono essere repentini, ma seguiti da 
un lento periodo di incubazione. Rimane comunque determinante in questa 
fase osservare come vi sia un lento ma continuo immagazinamento di 
questo esercito proletario rivoluzionario, e che sia lo stesso Capitale 
a stimolarne l’azione. La necessità quindi del comunismo si può leggere 
rispetto al progressivo imbarbarimento del pianeta, dovuto dalla crisi 
del capitale e nella spinta autonoma proletaria.



Le organizzazioni sindacali hanno smesso ormai da diverso tempo di 
essere strutture riformiste tese allo sviluppo del capitale: sono 
divenute anche esse capitale. Vedi in proposito la battaglia che si sta 
giocando rispetto ai fondi pensione e come tali strutture diventeranno 
colossi economici come sono già divenuti in altri Stati.

Le correnti rosse o l’arcipelago del sindacalismo di base-cobas cercano 
di opporsi a questo processo, tuttavia rimangono inbrigliate dalla 
stessa forma sindacale. Molto spesso la loro attività è fornire 
piattaforme rivendicative più dure, o forme organizzative sindacali meno 
burocratiche. Gli sbocchi di questa strategia non tocca minimamente lo 
sviluppo dell’autonomia operaia. Si riduce a scontro con le strutture 
burocratiche e capitaliste del sindacato, dove l’obiettivo è il 
controllo di piccole fette di potere all’interno della struttura 
sindacale (per le correnti rosse della triplice) oppure nelle RSU (per 
il sindacalismo di base).



Mentre il padronato manifesta il suo potere le strutture della sinistra 
sindacale lottano al ribasso per difendere quel poco che c’è, 
subordinando la loro azione al Capitale.

I contratti, le leggi vengono con molta rapidità scavalcati dal 
padronato. L’essere subordinati dalla politica del capitale vuol dire 
non porre l’accento sul piano del potere e di come questo venga 
manifestato a senso unico dal padronato. Riacquisire la capacità di 
offensiva, vuol dire osservare lo sviluppo dell’autonomia operaia nelle 
aziende e sul territorio, attraverso lotte che rompono il patto sociale. 
Ora tale pratica va ben al di la della singola collocazione dei 
lavoratori all’interno delle strutture sindacali. Tale salto non è da 
leggersi puramente in chiave formalistico, ma è la capacita di superare 
la divisione tra piano economico e politico. Lo sviluppo dell’autonomia 
proletaria e operaia sta nelle lotte e forme di contropotere sul 
territorio, e cozza inevitabilmente con lo schema del sindacalismo 
(difesa del piano legale, produttivismo, meritocrazia economica ecc..). 
Se i lavoratori per infrangere il muro padronale devono necessariamente 
dare vita a momenti di lotta dura, la struttura sindacale viene 
necessariamente ad essere una barriera da superare.



Nell’analizzare la crisi-modificazione del sindacato, non si può non 
mettere in evidenza come anche la mutazione della composizione di classe 
influisca in questo senso.



Avere ben chiaro cosa sono le strutture sindacali attuali, non 
significa fare del facile settarismo, ma capire anche le spinte 
autonome, quelle che esistono, che partono da settori del sindacato. 
Rimane comunque fuori discussione l’interesse che si pone all’azione 
autonoma dei lavoratori anche sindacalizzati, visto che è nell’azione 
che il proletariato acquisisce coscienza di sé e della sua storia. La 
critica va indirizzata quindi verso chi pensa di utilizzare tali forme 
per lo sviluppo dell’autonomia operaia, riducendo lo scontro di classe e 
il dispiegarsi dell’autonomia a passaggi burocratici e politici di 
precise correnti politiche, è all’occhio di tutti la triste involuzione 
dei cobas...



Già i CdF (Consigli di fabbrica) rappresentavano uno strumento di 
recupero da parte del capitale e delle organizzazioni riformiste (allora 
esistenti) rispetto alla spinta dell’autonomia operaia all’interno delle 
aziende e del territorio.

Il feticcio della rappresentanza nascondeva uno strumento in mano ai 
sindacati per riuscire a far avvallare in modo indolore la linea 
politica del padronato. Anche di fronte alla bocciatura di numerosi 
contratti avvenuti in molteplici posti di lavoro sanciti dai diversi 
Consigli di Fabbrica, questa volontà veniva scavalcata sul piano 
nazionale dal sindacato.

Attualmente con le RSU e la loro manifesta -blindatura- molti problemi 
rispetto alla ambiguità dei CdF non si pone più. E’ chiaro come queste 
strutture rappresentano un articolazione del sindacato per controllare 
maggiormente i lavoratori. Il sindacato oltre ad agire come agente 
economico indipendente agisce come area di manovra di determinate aree 
politiche, sia nella raccolta di fondi sia nella campagna elettorale. I 
presunti spazi all’interno di queste strutture, se vi sono, sono sempre 
vincolati da un sistema legislativo apertamente concertativo. Chi si 
batte per una ripresa dalla sinistra all’interno delle RSU nasconde per 
vie legali l’incapacità della classe di manifestare la sua forza e 
autonomia contro il capitale e ben più grave fa coincidere la lotta di 
classe a lotta di correnti, è fuorviante impostare battaglie contro il 
riformismo se si riduce a confronto tra programmi. Come già menzionato 
l’autonomia operaia è piano di rottura di classe proprio perchè è 
programma vissuto e diretto dalla stesso proletariato in lotta.

In una fase come questa è molto più utile interessarsi di tutti quei 
conflitti o manifestazioni che vanno al di là della compatibilità legale 
(assenteismo, mutue collettive, sabotaggi), o vedere all’interno degli 
scioperi la collettività operaia che si crea, indipendentemente dalla 
strutture sindacali che la controllano, per indicare la forza in potenza 
della classe, la stessa cosa vale per le forme d’azione proletaria sul 
territorio (occupazioni,autoriduzioni). Dove non vi è da parte della 
classe una spinta verso l’autonomia operaia vi è per forza integrazione 
accelerata e subalternità alla politica del capitale. Nel breve periodo 
può spaventare i compagni il diminuire degli spazi di rappresentanza, ma 
noi insistiamo sulla capacità e necessità del proletariato di darsi 
proprie forme. Questa forme si concretizzano all’interno dell’autonomia 
operaia, quando la classe riesce a manifestare la propria capacità 
d’azione. Scorciatoie non esistono, rispetto al dispiegarsi 
dell’autonomia operaia, e ci appare stupido scambiare un 
pan-sindacalismo duro con lo sviluppo dell’autonomia operaia.

Sulla destra montante...

Dopo che i governi di sinistra hanno traghettato l’Italia e permesso 
una riconversione obbligata per il capitale dello stato sociale, con 
l’aumentare della polarizzazione sociale l’argine che poteva garantire 
la sinistra contro le manifestazioni di lotta della classe non basta 
più, è per questo che prende vita e viene dato sempre maggior spazio ad 
una politica populista di destra con annesso l’arcipelago dell’estrema 
destra pronta alla manovalanza contro l’attacco portato dai proletari 
rivoluzionari.

Bisogna comunque smarcarsi da una ipotesi frontista che vede unità tra 
le formazioni di sinistra con i settori rivoluzionari dei lavoratori. 
Muoversi per battere le destre è un ipotesi fuorviante. Così come è 
servita al padronato la sinistra ora gli viene utile la destra. 
Insistere sull’antifascismo in molti casi è ripermettere alla sinistra 
riformista di ridarsi una legittimità nello scontro di classe. Per noi 
antifascismo vuol dire intensificare e dare maggior spazio all’attacco 
contro l’organizzazione del lavoro (lotte per la sicurezza, i ritmi, 
contro la produttività e le qualifiche) e nella società ( occupazioni di 
case, autoriduzioni). Se riusciremo a dare contenuto a queste lotte e 
manifestazioni di classe, e al tempo stesso offrire maggiori strumenti 
alla classe noi avremo colpito molto più efficacemente i fascisti che a 
una manifestazione con relativa sfilata.

Il panorama politico delle destre è molto vasto, va dalla cosiddetta 
nuova destra AN alle appendici leghiste fino alle formazioni militanti 
FN, Fiamma tricolore-MSI, Fronte Nazionale, ecc... Tuttavia non bisogna 
cadere nell’errore di credere che vi sia un blocco omogeneo, così come 
la campagna ideologica dell’anticomunismo sia una feroce trovata 
vincente della destre. Il perchè è perdente sui settori operai non è 
tanto perchè gli operai sono istintivamente comunisti, queste cazzate le 
lasciamo a qualche gruppino populista di sinistra, ma per l’estremo 
vuoto che esprime il contenitore destra nel termine anticomunismo, 
nasconde le scappatoie di un elaborazione prettamente ideologica che si 
deve arrampicare per trovare un collante in uno schieramento che vede al 
vertice delle formazioni una novella gioventù di imprenditori populisti 
e in molti casi dichiaratamente fascisti, ma una base ovviamente 
“popolare” che subisce una accelerazione della pressione economica, e 
che richiederà ben altro che tagliare i baffi a Stalin (e così per molti 
versi è sempre stato: le pagnotte degli americani e la rete 
ecclesiastica erano un viatico al procacciamento di cibo e sicurezza, 
prima di essere una fede e un muro contro il terribile comunismo).

Per molti versi la stessa compagna contro gli immigrati, può rivelarsi 
un tremendo autogol, anche se in questo senso non ad appannaggio della 
sinistra, anch’essa parte integrante del ceto economico che regge il 
paese. Queste fasce sociali sono oltre che le prime ad assaporare i 
golosi frutti del capitalismo della metropoli (lavoro abitazione), sono 
le più sottoposte alla pressione della propaganda borghese, che mette in 
relazione il proletariato di colore con il malavitoso (è significativo 
rileggersi passi delle descrizioni degli operai di Parigi nel 1848, 
sulle barricate, dove per la cosiddetta società civile francese 
dell’epoca gli operai erano canaglie che vivevano in modo promiscuo, e 
che erano portatori di violenza, un altro parallelismo evidente è la 
fetta della classe operaia bianca immigrata negli anni 30 e la classe 
operai nera negli anni 60-70 in USA). Ora una tale campagna accelera 
l’inquietudine e la rabbia, e crediamo che vi siano molte possibilità 
che questa si cementifichi con fette di classe operaia bianca, quando vi 
è un processo di centrifuga, attraverso la vita nelle aziende, 
l’evoluzione dei conflitti all’interno. La strada non è a senso unico, 
ma le possibilità vi sono.

  Precari Nati 2001


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