[Redditolavoro] Fw: le armi italiane usate per reprimere la primavera araba

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Wed Feb 8 09:16:04 CET 2012



Archivio Disarmo, Emilio Emmolo denuncia: "Armi leggere italiane contro
la Primavera araba"
di Paolo Salvatore Orrù
Nel biennio 2009-2010 le
industrie italiane hanno esportato più di un miliardo di euro di armi
leggere. Le partite più ragguardevoli sono state acquistate,
direttamente o attraverso triangolazioni commerciali, anche da quei
paesi che hanno combattuto o stanno combattendo contro i nostri soldati
impegnati in azioni “peace keeping”. Questo drammatico dato emerge
dalla relazione 2011dell’Istituto di ricerche internazionale, Archivio
Disarmo. “Le esportazioni sono per la maggior parte dirette verso Usa e
Ue, ma l’Asia passa da 28 milioni di euro nel biennio 2007-2008 ad
oltre 142 milioni nel biennio successivo”, si legge nel rapporto.

I
revolver, i fucili a pompa, con i relativi proiettili made in Italy,
sono utilizzati dagli eserciti (“è difficile pensare ad un utilizzo non
militare per le pistole e le carabine CX4 della Beretta e i fucili a
anima liscia della Benelli”) di Usa, Francia, Regno Unito, Malesia,
Russia, Germania, Spagna, Turchia, Grecia, Norvegia, Belgio, Canada,
Australia, Venezuela, Marocco, Messico, Portogallo, Israele e Emirati.
Ma emerge  l’esportazione di questi tipi anche in Cina, Repubblica
Democratica del Congo, Libano, Iran, Armenia, Azerbaijan, paesi
sottoposti a embarghi internazionali. E in Russia, Thailandia,
Filippine, Pakistan, India, Afghanistan, Colombia, Israele, Congo,
Kenia e Filippine, stati in cui sono in atto conflitti e si riscontrano
violazioni dei diritti umani.
Eppure, secondo le leggi italiane, l’
Italia non può trasferire materiali d’armamento “in Paesi in stato di
conflitto armato, in Paesi che conducono una politica estera aggressiva
e propensa all’uso della forza, in Paesi sottoposti a embargo deciso
dalle Nazioni Unite e dall’Unione Europea, in Paesi dove si registrano
gravi violazioni internazionali in materia di diritti umani o qualora
vi sia rischio di triangolazioni”, spiegano nella loro relazione Emilio
Emmolo e Melissa Tala.  Ma si sa, in Italia vige il detto: fatta la
legge trovato l’inganno. “L’ultimo rapporto di Amnesty International ha
rivelato un’altra amara verità: le armi realizzate da marchi italiani -
industrie spesso delocalizzate per sfuggire ai controlli di legge -
sono state segnalate in tutte le regioni coinvolte nelle battaglie
della “primavera araba” e sono state utilizzate dai regimi in pericolo
per reprimere gli insorgenti in Egitto, Libia, Tunisia e Siria”, spiega
Emmolo, esperto in diritto internazionale.
In particolare, nel biennio
2009-2010 l’export di armi verso la Libia ha raggiunto la cifra di 8
milioni di euro (nel biennio 2007-2008 i libici ne spendevano poco meno
di 10mila). I dati della relazione, tratti dall’Istat, non raccontano
che qualche volta i nostri soldati impegnati sui fronti caldi del mondo
hanno dovuto rispondere al piombo prodotto in Italia. L’episodio più
inquietante è stato denunciato nel 2005, quando "i carabinieri durante
un rastrellamento in Iraq hanno sequestrato in un covo talebano armi
griffate Beretta”, dice Emmolo. A causa del blitz lo stabilimento
rischiò i sigilli della magistratura. “La Pietro Beretta Spa fu però
prosciolta perché il contratto di cessione delle armi era stato
stipulato nel 2004 attraverso una sconosciuta società inglese, la Super
Vision International ltd”, commenta. Con un escamotage molto italiano,
quella volta fu Berlusconi a salvare la Spa di Brescia: “Nel decreto di
finanziamento delle Olimpiadi invernali di Torino venne incastonata una
norma sulla compravendita di armi (i soliti sotterfugi italiani)”,
evidenzia il ricercatore.
In casi come quello registrato in Iraq, prima
dell’emanazione delle norme pro Olimpiadi invernali, “la Beretta
avrebbe dovuto chiudere i battenti”, spiega ancora il giurista di
Archivio Disarmo. I dati messi a disposizione dall’Istat e utilizzati
per la ricerca sono incompleti: non è stato reso noto - infatti - né il
tipo del modello né il nome della fabbrica che ha prodotto le armi
leggere cedute nei mercati stranieri. I dati sono stati secretati. “Le
uniche informazioni che abbiamo avuto a disposizione riguardano il
modello, il calibro e il valore dell’arma, ma non ci sono indicazioni
sul tipo e sulla fabbrica che le ha prodotte ed esportate”, spiega
ancora Emmolo. Le aziende che esportano sono comunque note: “Oltre alla
Beretta, vendono all’estero anche Franchi (in pole il fucile a pompa),
Benelli e Breda, solo per citare chi ha una proiezione internazionale
certa”, dice.
E siccome qualche volta anche in Italia le leggi si
rispettano, per poter lucrare con commerci altrimenti illeciti le
aziende si affidano alle triangolazioni, come dimostra il contratto
stipulato da Beretta con la Super Vision. In Italia su quest’argomento
c’è un vuoto legislativo e, soprattutto, il nostro Paese non si è messo
in regola con le direttive europee che ha detto di voler recepire nel
2003. “Si vendono le armi a Cipro e a Malta, tanto per fare un esempio,
poi lì si pensa al resto”, spiega il Generale Fabio Mini. Esistono casi
documentati di trafficanti di armi e di spedizionieri specializzati in
violazioni di embarghi che operando dall’Italia hanno fatto transitare
armi dell’ex Patto di Varsavia, in Africa, in Ruanda, in Liberia,
Sierra Leone, senza che la magistratura abbia potuto condannare i
protagonisti. “In passato – rileva Emmolo - è stato documentato il caso
di Leonid Minin, un ucraino con passaporto israeliano e con presunti
legami con la rete di Al Qaeda".
Minin fu prima arrestato a Cinisello
Balsamo per traffico d’armi verso la Liberia, poi processato a Monza,
dove fu prosciolto dall’accusa (il giudice gli dovette restituire anche
una serie di diamanti grezzi del valore di miliardi). In tutto questo
tran tran è coinvolto anche qualche ex generale italiano. Eppure la
legge 185/90 ordina agli ex militari di non assumere ruoli di
amministratore in fabbriche di armi. In sostanza, chi sino a ieri ha
comprato armi per l’esercito non può il giorno dopo diventare il
presidente del Consiglio di amministrazione di Finmeccanica o di
aziende collegate. “Per ragioni inspiegabili queste norme sono state
disattese, lo si può dimostrare con qualunque visura camerale”, spiega
Luca Marco Comellini, il segretario del Partito dei Militari. Il
generale Mini non è per nulla reticente, anzi accusa di “mancanza di
etica” e “di malaffare” i militari che si prestano a questi incarichi.
“C’è da dire – comunque – che il vincolo non è per tutti gli ufficiali,
ma per chi ha avuto mansioni riguardo l’approvvigionamento di armi
(capi di Stato Maggiore, segretari generali …)”.
L’ostacolo normativo è
di tre anni, ma può essere aggirato, con uno espediente: “Il blocco è
valido solo per chi è in servizio attivo oppure in ausiliaria, ma non
per chi è nella riserva. Così quando l’interessato va in pensione
anziché starsene tranquillo per cinque anni in ausiliaria si fa mettere
in malattia con la dicitura: non idoneo al servizio militare attivo (e
quindi all’ausiliaria)”, spiega l’ex comandante della missione in
Kosovo KFOR dal 2002 al 2003. Così gli ex delle forze armate trovano la
strada spianata per diventare, solo per fare qualche nome, “presidenti
o vice presidenti di Marconi, Oto Melara, Augusta, Vitrociset, con
contratti che spesso sono stati firmati dai direttori generali delle
aziende in questione ancora prima che quelle persone siano andate in
pensione. Per me è un illecito: la Corte dei Conti, forse anche il
tribunale penale, dovrebbero indagare”, conclude Mini. C’è chi in
Parlamento favorisce il traffico? “Stiamo studiando il caso sin dal
1993, posso dire fra i governi di centro destra e di centro sinistra
non c’è mai stata alcuna differenza”, dice Emmolo.

Sempre secondo il
giurista, le lobby esistono e funzionano bene, “basta dire che anche
negli ultimi mesi del governo Berlusconi si possono contare almeno due
modifiche alla legislazione sulle armi. Tutte in senso liberista e
tutte senza nessuna alzata di scudi da parte del centro sinistra. “I
dati sono preoccupanti, il gruppo radicale sta studiando l’opportunità
di redigere un’interrogazione parlamentare per ricostruire la mappa del
movimento armi”, dice il senatore radicale Maurizio Turco. Leggere o
pesanti, il commercio delle armi fa fare un sacco di soldi a un sacco
di gente.


06 febbraio 2012




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