[Redditolavoro] letture (e ascolti) di mezza estate: latouche e jappe

cybergodz cybergodz at ecn.org
Tue Aug 7 18:07:53 CEST 2012


latouche e' un decrescente, mentre jappe e' un teorico critico legato ai
giri di kurz e trenkle. Secondo me fra le cose migliori che ci sono in
giro, secondo molti altri esattamente il contrario. Ai posteri l'ardua
sentenza :-).
Consiglio comunque la lettura dei testi sotto e l'ascolto di questo
incontro ==> http://vimeo.com/44940407, male che vada e' sempre
un'occasione per conoscere posizioni che, nel bene o nel male, hanno
sempre piu' rilievo nel panorama internazionale
un saluto estivo

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Decrescenti ancora uno sforzo...!
Pertinenza e limiti degli obiettori della crescita
di Anselm Jappe
Il discorso della « decrescita » è una delle rare proposte teoriche un 
po' nuove apparse
negli ultimi decenni. La parte del pubblico che è attualmente sensibile 
al discorso della «
decrescita » è ancora abbastanza ristretto. Tuttavia, questa parte è 
incontestabilmente in
aumento. Ciò traduce una presa di coscienza effettiva di fronte agli 
sviluppi più importanti
degli ultimi decenni : soprattutto l'evidenza che lo sviluppo del 
capitalismo ci trascina verso
una catastrofe ecologica, e che non è qualche filtro in più, o delle 
automobili un po' meno
inquinanti, che risolveranno il problema. Si sta diffondendo una 
sfiducia nei confronti
dell'idea stessa che una decrescita economica perpetua sia sempre 
desiderabile, e, allo stesso
tempo, un'insoddisfazione verso le critiche del capitalismo che gli 
rimproverano
essenzialmente la distribuzione ingiusta dei suoi frutti, o soltanto i 
suoi « eccessi », come le
guerre e le violazioni dei « diritti umani ». L'attenzione per il 
concetto di decrescita traduce
l'impressione crescente che è tutta la direzione del viaggio intrapreso 
dalla nostra società ad
essere cattiva, almeno da alcuni decenni, e che siamo di fronte ad una « 
crisi di civiltà » con
tutti i suoi valori, anche a livello di vita quotidiana (culto del 
consumo, della velocità, della
tecnologia, ecc.). Siamo entrati in una crisi che è economica, ecologica 
e energetica allo stesso
tempo, e la decrescita prende in considerazione tutti questi fattori, 
nella loro interrazione,
invece di voler « rilanciare la crescita » con delle « tecnologie verdi 
», come fa una parte
dell'ecologismo, o di proporre una semplice gestione differente della 
società industriale, come
fa una parte delle critiche che si ispirano al marxismo.
La decrescita piace anche perché propone modelli di comportamento 
individuali che si
può cominciare a praticare qui ed ora, ma senza limitarsi a ciò, e 
perché riscopre delle virtù
essenziali, come la convivialità, la generosità, la semplicità 
volontaria e il dono. Ma attira
pure con il suo aspetto gentile che lascia credere che si possa operare 
un cambiamento
radicale con un consenso generale, senza passare attraverso antagonismi 
e forti scontri. Si
tratta di un riformismo che si vuole veramente radicale.
Il pensiero della decrescita ha senz'altro il merito di voler veramente 
rompere con il
produttivismo e l'economicismo che hanno a lungo costituito il fondo 
comune della società
borghese e della sua critica marxista. Una critica profonda del modo di 
vita capitalista sembra,
in principio, più presente presso i decrescenti che, ad esempio, presso 
i sostenitori del neooperaismo
che continuano a credere che lo sviluppo delle forze produttive 
(soprattutto sotto la
sua forma informatica) apporterà l'emancipazione sociale. I decrescenti 
tentano anche di
scoprire degli elementi di una società migliore nella vita di oggi, 
spesso lasciati in eredità
dalle società precapitaliste, come l'usanza del dono. Non rischiano 
dunque di puntare, come
altri, sulla continuazione della decomposizione di tutte le forme 
tradizionali di vita e sulla
barbarie considerate utili nel preparare una rinascita miracolosa.
Il problema è che i teorici della decrescita restano molto nel vago per 
ciò che concerne
le cause della corsa alla crescita. Nella sua critica dell'economia 
politica, Marx ha già
dimostrato che la sostituzione della forza lavoro umana attraverso l'uso 
della tecnologia
diminuisce il « valore" rappresentato in ogni merce, il che spinge il 
capitalismo ad aumentare
permanentemente la produzione. Sono le categorie di base del capitalismo 
-il lavoro astratto,
il valore, la merce, il denaro, che non appartengono affatto a ogni modo 
di produzione, ma al
solo capitalismo- che generano il suo cieco dinamismo. Oltre al limite 
esterno, costituito
dall'esaurimento delle risorse, il sistema capitalista conteneva già sin 
dall'inizio un limite
interno : di dover ridurre -a causa della concorrenza- il lavoro vivo 
che costituisce allo stesso
tempo la sola fonte del valore. Da alcuni decenni, questo limite sembra 
essere stato raggiunto,
e la produzione di valore « reale » è stato ampiamente sostituito dalla 
sua simulazione nella
sfera finanziaria. Inoltre, il limite esterno e il limite interno hanno 
cominciato ad apparire
pubblicamente allo stesso momento: verso il 1970. L'obbligo di crescere 
è dunque
consustanziale al capitalismo; il capitalismo non può esistere che come 
fuga in avanti e
crescita materiale permanente per compensare la diminuzione del valore. 
Così, una vera «
decrescita » non sarà possibile che a prezzo di una rottura totale con 
la produzione di merci e
denaro.
Ma i « decrescenti » arretrano in generale davanti a questa conseguenza 
che può
apparire loro troppo « utopistica ». Alcuni si sono tuttavia allineati 
intorno allo slogan « Uscire
dall'economia ». Ma la maggior parte resta troppo nel quadro di una « 
scienza economica
alternativa » e sembra credere che la tirannia della crescita non sia 
che una specie di malinteso
che si potrebbe confutare a forza di colloqui scientifici che discutino 
del miglior modo di
calcolare il prodotto interno lordo. Molti descrescenti cadono nella 
trappola della politica
tradizionale, vogliono partecipare alle elezioni o far firmare dei 
documenti agli eletti. A volte,
è anche un discorso un po' snob con cui dei ricchi borghesi placano i 
loro sensi di colpa
recuperando ostensibilmente i leguni gettati alla fine del mercato. E se 
la volontà esposta di
sottrarsi alla vecchia divisione « destra-sinistra » può sembrare 
inevitabile, bisogna comunque
interrogarsi perché una certa « Nuova Destra" ha mostrato interesse per 
la decrescita, così
come sul rischio di cadere in un'apologia acritica delle società « 
tradizionali » nel Sud del
mondo.
Vi è dunque una certa ingenuità nel credere che la decrescita potrebbe 
diventare la
politica ufficiale della Comissione europea o qualcosa del genere. Un « 
capitalismo
decrescente » sarebbe una contraddizione in termini, impossibile quanto 
un « capitalismo
ecologico ». Se la decrescita non vuole ridursi ad accompagnare e 
giustificare
l'impoverimento « crescente » della società e questo rischio è reale: 
una retorica della frugalità
potrebbe servire ad indorare la pillola ai nuovi poveri e a trasformare 
ciò che è una
imposizione in un'apparenza di scelta, ad esempio frugare tra i rifiuti- 
essa deve prepararsi a
degli scontri e a degli antagonismi. Ma questi antagonismi non 
coincideranno più con le
antiche linee di suddivisione costituite dalla « lotta di classe ». Il 
necessario superamento del
paradigma produttivista -e dei modi di vita che li accompagna- troverà 
delle resistenze in tutti
i settori sociali. Una parte delle « lotte sociali » attuali, nel mondo 
intero, è essenzialmente una
lotta per l'accesso alla ricchezza capitalista, senza mettere in 
questione il carattere di questa
pretesa ricchezza. Un operaio cinese o indiano hanno delle valide 
ragioni per richiedere un
salario migliore, ma se lo ottiene, acquisterà probabilmente 
un'automobile e contribuirà così
alla « crescita » e alle sue conseguenze nefaste sul piano ecologico e 
sociale. Bisogna sperare
che vi sarà un avvicinamento tra le lotte condotte per migliorare lo 
statuto degli sfruttati e
degli oppressi e gli sforzi per superare un modello sociale basato sul 
consumo individuale a
oltranza. Forse alcuni movimenti contadini del Sud del mondo vanno già 
in questa direzione,
soprattutto recuperando alcuni elementi delle società tradizionali come 
la proprietà collettiva
della terra o l'esistenza di forme di riconoscimento dell'individuo che 
non sono legate alla sua
prestazione sul mercato.
In breve: il discorso dei decrescenti sembra più promettente di molte 
altre forme di
critica sociale contemporanea, ma deve ancora svilupparsi e soprattutto 
perdere le sue
illusioni sulla possibilità di semplicemente addomesticare la bestia 
capitalista attraverso degli
atti di buona volontà.
Anselm Jappe
[Traduzione di Ario Libert]



***
Not in my Name !
di Anselm Jappe
In una delle Storie del signor Keuner di Bertolt Brecht, intitolata “ 
Misure contro la
violenza ”, Keuner racconta questo : “ Un bel giorno, al tempo 
dell'illegalità, il signor Egge
che aveva imparato a dire no, vide venire a casa sua un agente, che 
presentò un certificato
creato da coloro che erano i padroni della città, e sul quale era 
scritto che ogni dimora nella
quale egli metteva piede doveva appartenergli; allo stesso modo, ogni 
nutrimento che egli
desiderava doveva appartenergli, ed ogni uomo che vedeva, doveva 
diventare suo servitore.
L'Agente si sedette su una sedia, chiese da mangiare, si lavò, si mise a 
letto e chiese con il
volto rivolto verso il muro: "Vuoi essere il mio servitore?". Il signor 
Egge lo coprì con una
coperta, scacciò le mosche, vegliò il suo sonno, e allo stesso modo di 
quel giorno, gli obbedì
per sette anni. Però malgrado quanto facesse per lui, vi fu una cosa che 
egli si guardò ben
dal fare: rivolgergli la parola. Quando i sette anni furono passati, e 
che l'Agente divenne
obeso a furia di mangiare, di dormire e di dar ordini, l'Agente morì. 
Allora il signor Egge lo
avvolse nella coperta tutta rovinata, lo trascinò fuori dalla casa, pulì 
il giaciglio, passò i
muri a calce, respirò profondamente e rispose : " No! " ”.
Non ho mai votato in vita mia. Sono anche stato arrestato all'età di 17 
anni per aver
fatto propaganda anti-elettorale davanti ad un seggio elettorale. Non 
riesco a capire coloro che
pretendono di essere “ critici ”, “ rivoluzionari ”, o “ contro il 
sistema ” e che vanno lo stesso
a votare. I soli elettori che capisco, sono coloro che votano per il 
loro cugino o per qualcuno
che procurerà loro un alloggio sociale.
È vero che, anche se si odia il denaro, non si può attualmente 
rinunciare al suo uso, e
anche se si critica il lavoro, si è generalmente obbligati a cercarlo. 
Ma nessuno è obbligato a
votare, né ad avere la televisione. A volte si è obbligati a tacere, ma 
non si è mai obbligati a
dire: “ Sì, padrone ”.
Si può votare senza credervi, considerando soltanto la piccola 
differenza che potrebbe
comunque esistere tra il candidato X e la candidata Y, tra il partito 
dei berretti bianchi ed il
partito dei bianchi berretti? I candidati, i partiti e i programmi mi 
sembrano tutti uguali. Ma se
le cose stanno così, mi si potrebbe obiettare, perché non partecipare 
alle elezioni con un
programma diverso, non fosse che per attirare l'attenzione del pubblico, 
avere un
rappresentante al consiglio comunale o al Parlamento, farsi rimborsare 
le spese per la
propaganda? La cosa è andata male per tutti coloro che ci hanno provato, 
anche su scala
locale. “ Chi mangia dello Stato, ne crepa ”, diceva Gustav Landauer, 
che ha pagato con la
vita la sua partecipazione a un tentativo di cambiare realmente le cose, 
invece di andare a
votare. La macchina politica stritola coloro che vi partecipano. Non è 
una questione di
carattere personale. Bakunin diceva giustamente: “ Prendete il 
rivoluzionario più radicale e
ponetelo sul trono di tutte le Russie o conferitegli un potere 
dittatoriale- prima di un anno,
sarà diventato peggio dello zar ”.
Ma esiste comunque una differenza, mi si obietterà, se non tra Hollande 
e Sarkozy, per
lo meno tra Jean-Luc Mélenchon e Le Pen! Se non ci fossero che loro al 
secondo turno, e se
tutto dipendesse dal tuo voto? Riusciresti comunque ad evitare il 
peggio, non foss'altro che
per salvare qualche immigrato dalla deportazione! - Innanzitutto, è 
ridicolo evocare tali
improbabilità, come lo si faceva nel 2002 per spingere il gregge verso i 
seggi elettorali. E il
nemico, è sempre l'elettore: il problema non è Le Pen o Berlusconi, ma i 
milioni di Francesi o
di Italiani che li amano perché li trovano simili ad essi.
E poi la domanda è malposta. Negli ultimi decenni, dei rappresentanti 
della sinistra,
soprattutto della sinistra comunista o radicale, hanno partecipato a 
numerose esperienze di
governo, nel mondo intero. Da nessuna parte essi hanno mostrato 
ripugnanza nell'applicare le
politiche neo liberali, anche le più feroci; spesso sono essi che hanno 
preso l'iniziativa. Non
conosco un solo caso di un membro della sinistra al potere che si sia 
dimesso dicendo che non
poteva seguire una tale politica, che la sua coscienza glielo proibiva. 
Coloro che sono capaci
di simili scrupoli non saranno nemmeno proposti alle elezioni comunali 
dai loro colleghi di
partito.
Tuttavia, la corruzione esercitata dal potere, il gusto del privilegio, 
l'ambizione non
costituiscono che il livello più superficiale della domanda. Il vero 
problema, è che viviamo in
una società retta dal feticismo della merce, sia in “politica” sia in 
“economia”, non esiste
nessuna autonomia delle persone, nessun margine di manovra. Se esiste 
un'autonomia, essa
esiste fuori dalla politica e dall'economia, e contro quest'ultime. Si 
può in una certa misura,
rifiutare di partecipare al sistema, ma non si può parteciparvi sperando 
di migliorarlo. Le
"maschere", come Marx chiamava gli attori della società capitalista, non 
sono gli autori dello
scenario che essi sono chiamati a recitare. Essi non sono lì che per 
tradurre in realtà le
“esigenze del mercato” e gli “ imperativi tecnologici ”. Perché allora 
meravigliarsi se coloro
che vogliono “ giocare il gioco ”, una volta che arrivati a ciò che si 
chiama molto
ingiustamente "il potere", non fanno che essere "realisti", concludono 
delle alleanze con i
peggiori esseri spregevoli e si esaltano per ogni piccola vittoria 
ottenuta in cambio di dieci
porcherie che hanno dovuto accettare allo stesso tempo? E vi ricordate 
di coloro che erano
convinti che delle donne, o dei neri, o degli omosessuali dichiarati in 
politica avrebbero fatto
una politica “diversa ” ?
Vi erano effettivamente delle buone ragioni per preferire la democrazia 
borghese allo
stalinismo o al fascismo. Ma Hitler non è stato fermato da nessun “ voto 
utile ”. È certo che
non è attraverso la scheda elettorale che si eviterà il peggio, al 
contrario. “ Elezioni, trappola
per coglioni ” [Elections, piège à cons], si urlava per le strade nel 
1968. Alle urne, era sempre
il Generale a vincere.
Anselm Jappe
[Traduzione di Ario Libert]
Testo apparso sulla rivista francese Lignes, n°37, febbraio 2012, pp. 85-88.


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