[Redditolavoro] I: Fw: palermo - le galere del moderno schiavismo - PRESIDIO CITTADINO DOMENICA 25

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Sat Sep 24 12:10:32 CEST 2011


Domenica 25 ore 17,00 al porto di Palermo, molo S.lucia, presidio cittadino 
contro la segregazione e la deportazione dei migranti tunisini
NO ai CIE galleggianti!


>----Messaggio originale----
>Da: ro.red at libero.it
>Data: 23-set-2011 16.59
>A: <<Undisclosed-Recipient:>, <>>
>Ogg: Fw: palermo - le galere del moderno schiavismo
>
>
> nel porto di palermo - le galere - nel senso delle navi del medioevo - del 
>moderno schiavismo

>solidarietà l'è morta !
>
>
>Due prigioni galleggianti per i tunisini da rimpatriare
>
>
>PALERMO
>Abdul trascina la sua gamba ferita come una palla al piede, quelle dei
>carcerati. Occhi bassi, una smorfia di dolore, imbocca insieme con gli altri
>il boccaporto dell'«Audacia» trasformato in un dormitorio galleggiante.
>«Ecco, una nave, finalmente ci portano via, in Italia», sussurra qualcuno
>con un lampo di speranza negli occhi. «Dove andiamo: a Napoli, a
>Marsiglia?», si domandano due giovanissimi, infradito e sacchetto azzurro 
>d'ordinanza
>nelle mani.
>
>Nessuno si azzarda a dire loro che quella nave non partirà mai verso nessuna
>meta. Che è un altro centro di permanenza, proprio come il Cie di Lampedusa
>che adesso è in cenere. E questo è sul mare, letteralmente, ancor più di
>quello che hanno appena lasciato. Già, se il governo si affretta a svuotare
>al ritmo di dieci voli al giorno l'isola dell'accoglienza diventata di
>guerriglia, se i riflettori restano puntati lì, silenziosamente gli
>immigrati arrivano qui, al porto di Palermo, dove in gran silenzio sono
>state allestite due navi per accoglierli a tempo indefinito, visto che
>Tunisi si ostina a tenere duro sul numero dei rimpatri: non più di cento al
>giorno.
>
>Si chiamano «Audacia», una nave merci con tre stanzoni dove ne sono stati
>stipati 150, e la «Moby Fantasy», imbarcazione per passeggeri tutta colori e
>fumetti sulla fiancata, che ne ospita altri 400. E qui niente associazioni,
>niente tutela legale, niente operatori umanitari che vigilino sulle
>condizioni di vita. Così, è vero che si svuota Lampedusa, ma nessuno dice
>che soltanto due dei dieci voli al giorno puntano su Tunisi: gli altri
>arrivano qui a Palermo, nel molo requisito dal Viminale, per quindici giorni
>tanto per cominciare. Con uno schieramento imponente di forze dell'ordine:
>per ogni immigrato due poliziotti, tutti con la mascherina sul viso «per
>precauzione igienica, ha sentito che odore c'è sui pullman?».
>
>Ne arriva uno proprio in quel momento, sono le quattro del pomeriggio, per
>trasferire i primi cinquanta dalla «Moby», riempita per prima, 
>all'«Audacia».
>A guidare le operazioni non è un agente qualsiasi, ma Manfredi Borsellino,
>figlio di Paolo, il giudice ucciso dalla mafia, oggi vicequestore dirigente
>del commissariato di Cefalù, uno dei tanti mobilitati da tutta Italia per
>fronteggiare l'emergenza Lampedusa. Modi gentili, niente esibizione
>muscolari, professionalità e rispetto. E accanto c'è un altro «sbirro» di
>razza: Silvio Bozzi, siciliano dirigente a Fano, criminologo, consulente dei
>principali scrittori di noir italiani: da Lucarelli a Camilleri, autore e
>coprotagonista di tante trasmissioni tv. Chissà quanto materiale avrà
>adesso: «Questi giorni a Lampedusa sono stati un inferno», confessa.
>
>Ma le misure di sicurezza sono straordinarie. Stipati in pullman per fare
>pochi metri, guardati a vista come boss della mafia. Prima scendono dieci
>poliziotti, manganelli a portata di mano, poi dieci immigrati sudati,
>scarmigliati, le facce peste. E ancora dieci e dieci, fino alla fine. Puzza
>di sudore, di disperazione, di notti passate all'addiaccio. Somigliano più a
>reduci che a potenziali ribelli. «Sono arrivati da Lampedusa stremati»,
>dicono gli agenti. Molti hanno ancora addosso la tuta fornita dal centro di
>accoglienza al momento dello sbarco dopo la traversata della speranza.
>Nessuno ha le scarpe comprese nel kit: «forse le scambiavano con altri
>generi di prima necessità laggiù a contrada Imbriacola, nessuno ce le aveva
>più dopo poche ore dalla consegna».
>
>Dalla «Moby» si vede una maglietta che sventola sulla tolda, poi
>improvvisamente sparisce. Qui, al passaggio blindato, ci sono soltanto
>sussurri e sguardi che invocano una speranza. «Sa dove ci portano?», chiede
>veloce un giovane pesto, bermuda e maglia lurida, prima di essere intruppato
>verso due stanzoni dove dormiranno su poltrone reclinabili, due bagni ogni
>cinquanta persone, niente docce, la mensa per mangiare, «la nostra stessa
>mensa - dice un agente - ci alterneremo solo per gli orari». Le procedure di
>identificazione? «Qui non se ne fanno, le avevano già completate a
>Lampedusa, questi hanno tutti i documenti a posto».
>
>Un'ora prima, alle tre, due pullman erano partiti alla volta dell'aeroporto
>di Punta Raisi, con i cento a bordo attesi da Tunisi. Volo proveniente da
>Fiumicino, decollato poi alle sei da una delle quattro piazzole requisite
>dal ministero degli Interni, con la società di gestione dello scalo - la
>Gesap - a fare i salti mortali per tenere distinto il percorso dei turisti
>da quello degli immigrati, i viaggiatori liberi e quelli per forza,
>condannati all'invisibilità. Si arriva tanto e si parte poco. Ieri sono
>sbarcati qui da Lampedusa otto C130, a bordo niente sedili ma solo panche:
>un tunisino in mezzo, due poliziotti da una parte e dall'altra. Poi il
>pullman li ha presi a bordo pista, li ha depositati in porto, sulle navi che
>sembrano pronte a partire e che invece sono un'altra tappa di un infinito
>gioco dell'oca dove si finisce sempre nella casella sbagliata. Quella del
>ritorno a casa, il punto di partenza.
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