[Redditolavoro] pero'...
cybergodz
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Mon Sep 5 16:47:13 CEST 2011
http://www.senzasoste.it/nazionale/abolito-con-decreto-il-sindacato-e-i-diritti-dei-lavoratori-incredibile-ma-vero
Abolito con decreto il Sindacato e i diritti dei lavoratori.
Incredibile, ma vero
Lunedì 05 Settembre 2011 14:57
Purtroppo lo avevamo ampiamente previsto. La ricetta di questo governo è
ormai nota:
a) si prende un obiettivo qualsiasi tipo la distruzione dei diritti più
elementari dei lavoratori,
b) si inserisce in un maxidecreto cacciuccato all'interno del quale si
introducono riforme idiote in grado di catturare l'attenzione dei media
e di quegli allocchi dell'opposizione.
c) si fa discutere tutto il paese delle riforme idiote
d) si ritirano le riforme idiote
e) rimane ferma solo la riforma obiettivo che, tuttavia, siccome siamo
stati magnanimi con la revoca delle riforme idiote, viene inasprita e
corretta in favore degli interessi dei più forti.
Et voilà, il gioco è fatto. E' successo con la somministrazione di
lavoro, con l'arbitrato e sta succedendo ancora con l'abolizione
dell'efficacia dell'art. 18 alla quale è stata aggiunta in extremis la
soppressione sostanziale del sindacalismo confederale. L'art. 8 della
manovra aggiuntiva, di quel Decreto 138/11, è il perno della riforma
intorno al quale sono comparse e poi scomparse un centinaio di poco
credibili intuizioni per la soluzione della crisi. Si tassano in via
straordinaria i redditi superiori a 90.000 euro. Anzi no, non li
tassiamo più. Si aboliscono il 25 aprile, il 2 giugno e il primo maggio.
Anzi no, li teniamo. Si aboliscono le province e si accorpano i comuni.
Anzi no, va tutto bene così com'è. Abolisco l'art. 18. No, non è vero,
anzi, si, è vero.
E l'opposizione, di qualsiasi tipo, da quella bollita e priva di
qualsiasi credibilità del PD, che addirittura frena sullo sciopero
generale, a quella dei centri sociali più estremisti, ha cominciato a
parlottare e a balbettare su queste clamorose minchiate e non ha visto
questo bluff clamoroso dell'accoppiata Tremonti-Marcegaglia.
Ovviamente, come detto, in cambio del ritiro di tutte le
leggi-minchiata, il Governo ha stretto ancora di più sulla riforma del
diritto del lavoro ed ha introdotto il testo definitivo, quello che
aveva preparato sin dall'inizio ma che se fosse stato presentato nella
sua stesura completa avrebbe suscitato polemiche e reazioni feroci.
Oggi, invece, venduto come risultante dell'incontro tra opposte fazioni,
come merce di scambio con la scampata eliminazione del 25 aprile, assume
una sua dignitosa presentabilità.
Il provvedimento passato in commissione si conferma nel suo nucleo
centrale stabilendo che, “fermo restando il rispetto della Costituzione,
nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle
convenzioni internazionali sul lavoro”, le specifiche intese aziendali e
territoriali “operano anche in deroga alle disposizioni di legge” ed
alle “relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi
nazionali di lavoro”. Le intese valide, però, a differenza di quanto
stabilito nella versione “Soft” della riforma, saranno non solo quelle
“sottoscritte a livello aziendale o territoriale da associazioni
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”, ma anche
quelle sottoscritte dalle associazioni “territoriali” “con efficacia nei
confronti di tutti i lavoratori interessati” che potranno avere ad
oggetto: “le mansioni del lavoratore, i contratti a termine, l’orario di
lavoro, le modalità di assunzione, le conseguenze del recesso dal
rapporto di lavoro”.
L’emendamento approvato in Commissione, cioè, prevede che anche i
sindacati percentualmente più rappresentativi a livello territoriale
possano sottoscrivere accordi con le aziende. Possono sottoscrivere le
intese o le “associazioni dei lavoratori comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale o territoriale”, ovvero le “loro
rappresentanze sindacali operanti in aziende” e le intese, si ribadisce,
avranno “efficacia per tutti i lavoratori, a condizione di essere
sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alla
presenze sindacali”.
Vi risparmio l'analisi sull'esclusione dell'operatività degli accordi di
cui sopra per le lavoratrici madri, che, per quanto sacrosanto è solo il
frutto di un intervento di Nostro Signore e dei suoi rappresentanti in
Parlamento.
Vi invito, invece a riflettere sulla portata epocale di questa novità
legislativa. Come già spiegato nel mio precedente intervento (138/11 del
13/8/11: l'apocalisse del diritto del lavoro) a cui vi rimando, ci
potranno essere aziende, ad esempio, che, ricattando le rappresentanze
sindacali interne con i livelli occupazionali in tempo di crisi,
otterranno il placet su accordi che prevederanno, in caso di
licenziamento, unicamente un risarcimento del danno in favore del
lavoratore limitandolo a poche mensilità, al posto della reintegra e del
risarcimento. E per aziende diverse si potranno avere situazioni
differenti per cui in una il lavoratore che ha subito il licenziamento
illegittimo si prenderà tre mensilità di risarcimento, in un'altra 5, in
un'altra ancora 8 a seconda della forza contrattuale della RSU o dei
sindacati territoriali. Questo schema, poi, si applica anche alla
possibilità di utilizzare sistemi audiovisivi (fino ad oggi fortemente
limitato), alla conversione dei contratti precari in contratti
subordinato a tempo indeterminato, alle mansioni (e quindi al divieto di
demansionamento) e all'orario di lavoro (e quindi ai suoi limiti). Ci
troveremo aziende dove un lavoratore sarà costretto a lavorare con
strumenti tecnologici che ne misurano la produttività, mentre in altre
questo sarà vietato, lavoratori che possono passare da inquadramenti
direttivi a semplice manovalanze ed altre dove questo non sarà
possibile. Ci saranno aziende dove l'uso del contratto a termine e del
contratto a progetto sarà indiscriminato e dove in caso di contratti
precari illegittimi la conseguenza non sarà più la trasformazione in
contratto subordinato a tempo indeterminato ma altro, magari ancora una
volta un banale risarcimento.
Ebbene, non è più solo questo. Questi stravolgimenti senza precedenti
della vita delle lavoratrici e lavoratori italiani non potranno essere
introdotti solo a seguito di un accordo con i sindacati maggiormente
rappresentativi, e quindi, si presume, maggiormente competenti sul piano
nazionale ma, sostanzialmente con chiunque, con il primo gaglioffo che
passa da quelle parti. Spieghiamo perché.
Prendiamo un'azienda media di una provincia (o, perché no, di un piccolo
comun) del sud italia dove storicamente il livello di sindacalizzazione
dei lavoratori è basso. Il datore di lavoro che voglia introdurre dei
peggioramenti pesanti a danno dei lavoratori quali, ad esempio,
l'eliminazione della reintegra nel proprio posto di lavoro in caso di
licenziamento illegittimo, non potrà farlo se non in combutta con la
RSU. Se questo “imprenditore” volesse, potrebbe architettare la
creazione di un Sindacatino territoriale composto da impiegati e operai
compiacenti che in cambio avrebbero privilegi e certezze, far guadagnare
a questa organizzazione consenso con mezzi leciti e meno leciti per poi,
una volta insediata una maggioranza di componenti della RSU nella
propria azienda, scrivere le regole del diritto del lavoro aziendale.
E' chiaro anche a coloro che non sono inclini ad osannare il
Sindacalismo Confederale che in un contesto come questo la presenza di
tali associazioni garantirebbe dei livelli minimi di tutele ed una
armonizzazione a livello nazionale dei diritti. In questo modo, invece,
in provincia di Varese ed in provincia di Livorno, avremmo due
ordinamenti diversi con tutto ciò che ne consegue sul piano della
concorrenza. Se a Benevento si licenzia con facilità si ricatta più
agevolmente e quindi si produce di più, l'azienda di Torino, dove è
maggiore la sindacalizzazione, non minaccerà più la delocalizzazione in
Romania ma a Benevento fino a quando gli operai stessi si vedranno
costretti a chiedere al sindacato di accettare l'accordo al ribasso pur
di non perdere il posto di lavoro.
In tempi di crisi, vere o supposte, l'unico obiettivo di Confindustria e
di questo Governo è l'abbattimento del costo del lavoro che si realizza
solo con l'eliminazione del ruolo del sindacato e della sua funzione
quasi che la crisi fosse stata determinata dai lavoratori dipendenti.
Inutile dire che lo sciopero generale in questo contesto è sacrosanto e
dovrà vedere l'adesione e la partecipazione attiva di tutte e di tutti
come momento iniziale di costruzione di una strategia complessiva per la
destituzione di questa classe politica e per la creazione di un progetto
di ristrutturazione del diritto del lavoro che abbia come unico fine
quello di abrogare sic et simpliciter tutte le norma approvate negli
ultimi dieci anni in questa materia.
Ribadisco che la debolezza dell'azione sindacale e politica degli ultimi
anni è dovuta principalmente alla totale assenza di un progetto politico
alternativo a quello del centro destra che, in quanto tale, sta solo
facendo il suo lavoro che consiste nello smembramento del diritto del
lavoro in favore dei ceti più ricchi che rappresenta. Quello che manca è
il progetto della sinistra, l'alternativa a questo disastro, la
possibilità concreta di sperare in un paese migliore. Nessuno lotta
davvero se non sa con precisione per cosa e per chi.
Marco Guercio
5 settembre 2011
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