[Redditolavoro] Fw: Gela -Morire di fame o d'amianto
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Tue Oct 4 09:31:57 CEST 2011
PEACEREPORTER
Morire di fame o d'amianto
Gli operai dell'Eni di Gela lavorano da anni sottoposti alla contaminazione
del
'killer silenzioso', nonostante ufficialmente lo stabilimento ne sia stato
dichiarato
privo dal '93. E nessuno sembra poter ricevere nemmeno il sussidio Inail
previsto
Gli operai dello stabilimento Eni di Gela da decenni lottano per vedersi
riconosciuto
il diritto a percepire il sussidio speciale previsto per chi è stato
sottoposto ad
amianto. Una battaglia lunga e piena di delusioni, complicata dal fatto che
l'Ente
energetico corse ai ripari eliminando - almeno ufficialmente - il dannoso
materiale
pochi mesi prima dell'entrata in vigore della legge n.257 che impone il
divieto
assoluto di utilizzo dell'amianto a fini industriali o commerciali. Una
mossa che
quindi mise fuori gioco ogni rivalsa dei lavoratori, i quali, comunque, non
si sono
arresi e sono andati avanti ritenendosi dalla parte del giusto. Anni di
lotta e di
lavoro, durante i quali si sono consolati con la certezza che perlomeno da
quel
momento in poi avrebbero lavorato in un luogo sicuro. Poi il colpo di scena:
a fine
luglio, all'interno dell'isola 32 dello stabilimento, militari della guardia
costiera
e del nucleo speciale d'intervento di Roma hanno scoperto una grande vasca
contenente
almeno 27 tonnellate di amianto, del tipo amosite, conservate nella totale
inosservanza delle regole. Teloni bucati, sacchi aperti e, di conseguenza,
fibre
d'amianto libere di essere trascinate dal vento e inalate dai lavoratori.
Una
scoperta scioccante, che ha messo ulteriormente in allarme gli operai.
L'impresa che
"mette in circolo l'energia", ha continuato imperterrita in questi anni a
mettere in
circolo anche ben altro: sostanze nocive che - in base ai dati
dell'Organizzazione
mondiale della sanità - ogni anno uccidono centomila persone nel mondo,
secondo cifre
che gli esperti definiscono sottostimate. Per non contare i ventimila tumori
per
cancro al polmone e i diecimila casi di meotelioma che provoca ogni dodici
mesi nei
soli paesi industrializzati di Europa, America del Nord e Giappone. E, per
stringere
il cerchio alla sola Italia, si parla di 4000 decessi annui, in un paese che
è stato
il secondo produttore europeo e tra i principali consumatori della sostanza,
che -
secondo il Consiglio Nazionale delle Ricerche e l'Istituto per la
prevenzione e la
sicurezza del lavoro - resta ancora ben lontana dall'essere estirpata dal
territorio
nazionale. La stima è di 32 milioni di tonnellate di amianto ancora sparse
per tutta
la penisola e di un miliardo di metri quadri di coperture di eternit sui
tetti.
Stando ai legali che seguono il caso dei lavoratori gelesi esposti
all'amianto, la
scoperta della discarica testimonia la politica industriale usata da Eni a
Gela:
ovvero occultare il materiale senza eliminarlo e dare una parvenza di
regolarità,
alla faccia della salute della gente. Come ha scritto Rosario Cauchi
nell'articolo
apparso su Libera Informazione, i responsabili locali di Raffineria di Gela
s.p.a. -
società appartenente alla multinazionale lombarda - non rilasciano commenti
limitandosi a emanare comunicati stampa nei quali si rinvia l'intera
questione alle
indagini in corso. Ma nei molti dossier sul caso emerge che all'interno del
sito
industriale vi sono evidenti tracce di pericolosi minerali silicei. I veri
nemici dei
lavoratori, infatti, si chiamano crocidolite e amosite, anche conosciuti
come amianto
blu e amianto bruno: tra le fibre più pericolose per la salute umana.
Eppure,
nonostante questi documenti che evidenziano la presenza attiva del killer
silenzioso
siano comprovati, i contributi previdenziali in favore dei lavoratori che
hanno
operato a contatto con le fibre vengono riconosciuti, dopo lunghe battaglie
legali,
solo a coloro che possano dimostrare di essere affetti da patologie
conclamate. Senza
minimamente tener conto che l'effetto si può manifestare anche dopo 40 anni
dal
contagio, come sostengono gli epidemiologi.
Intanto a Gela, dopo il sequestro della discarica contenuta nella quarta
vasca
dell'isola 32, Enimed Spa ha provveduto a ricoprirla come richiesto dalla
Capitaneria
di Porto e dall'Asp di Caltanissetta. Secondo la legge, infatti, dopo a ogni
abbandamento di materiale contenente amianto, si deve aggiungere uno strato
di terra
e un telo protettivo in plastica. Ma poco importa. È comunque troppo tardi e
gli
operai sono decisi a farla pagare ai responsabili. Già nell'agosto dello
scorso anno,
infatti, a seguito di un'ispezione, era stato riscontrato l'uso di teloni
deteriorati
dal tempo che, inevitabilmente, non bloccavano la diffusione in atmosfera
delle
pericolose fibre.? Ma nessuno ha mosso un dito per rimediare. Dopotutto,
quella
iniziata a luglio scorso non è che l'ennesima inchiesta che coinvolge i
vertici
dell'industria gelese che hanno, spesso, negato persino la presenza di
amianto
all'interno del sito.
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