[Redditolavoro] Fw: Sugli sviluppi del caso J.P.Becerra

procomta ro.red at libero.it
Thu May 5 08:49:05 CEST 2011


unica obiezione

Chavez non sbanda.. i caudillos nazionalisti dell'america latina non sono 
espressione di antimperialismo
chi lo pensa è destinato a ricredersi molte volte

proletari comunisti
ro.red at libero,it

CHÁVEZ SBANDA PERICOLOSAMENTE, TRADISCE IL POPOLO COLOMBIANO E
PUGNALA ALLE SPALLE I BOLIVARIANI
Piovono pietre su Chávez da ogni angolo del Venezuela e da diversi
continenti e trincee di resistenza, e se le merita tutte.

Quelle dei settori democratici, bolivariani e rivoluzionari
colombiani, traditi da un ex-bolivariano che ha indossato in tempi
record le vesti pestilenti di Santander (colui che tradì il progetto
del Libertador di costruzione della Patria Grande latinoamericana), e
umiliati nel più profondo della loro memoria storica (la consegna
del giornalista Joaquín Becerra, superstite del massacro
dell’Unión Patriótica per mano dell’oligarchia di cui il
presidente venezuelano è diventato ‘compagno di merende’, è un
affronto imperdonabile).

Quelle di moltissimi soggetti della sinistra e delle forze
antimperialiste latinoamericane, europee, australiane e via dicendo,
che vedevano in Chávez un bastione di resistenza, denuncia e
coerenza contro l’imperialismo nord-atlantico, e che di colpo si
rendono conto che questa percezione va rivista e necessariamente
messa in discussione.

E quelle di gran parte del movimento bolivariano venezuelano, dalle
organizzazioni popolari dei quartieri storici di Caracas come il
‘23 de Enero’ al Partito Comunista, passando per le associazioni
di artisti ed intellettuali, contadini e lavoratori, sindacati e
collettivi.

Qualcuno, al netto di una candida ingenuità o di una scarsa
informazione, potrebbe interpretare la codarda consegna allo Stato
paramilitare colombiano del direttore di ANNCOL come un fulmine a
ciel sereno. Tuttavia, questa vergognosa vicenda non può essere
compresa appieno se non all’interno di un processo degenerativo che
la “Rivoluzione bolivariana” e le “sinistre progressiste”
latinoamericane sperimentano e retroalimentano da tempi non sospetti.

In Venezuela, come lucidamente registra il dirigente rivoluzionario
dominicano Narciso Isa Conde, la nuova borghesia nata dalle ceneri
(che sembrano ancora brace incandescente) della IV Repubblica ed
arricchitasi grazie ad un’economia dopata dal petrolio (leggasi
PDVSA), e la burocrazia d’apparato che fagocita i segmenti chiave
dell’amministrazione pubblica e del governo, hanno preso le redini
del processo; due forze poderose e cancerogene, che fomentano la
corruzione, riproducono gli schemi e gli antivalori dei malgoverni
precedenti, fanno della retorica “partecipativa” e
“bolivariana” il cavallo di battaglia delle loro arringhe per poi
smentirsi nella pratica, scoraggiano e deludono le masse popolari ed
incarnano la più pericolosa minaccia nei confronti del processo
rivoluzionario stesso.

E’ sufficiente analizzare la composizione dell’esecutivo, il
passato e il presente di una gran parte dei ministri di Chávez (a
cominciare da quello delle Comunicazioni, Andrés Izarra) e la
progressiva estromissione dalle cariche di maggior peso di quei
compagni (come ad esempio Eduardo Samán) che non hanno accettato di
essere cooptati, comprati o silenziati dalla nomenclatura di
Miraflores.

Ma potremmo andare oltre: il Partito Socialista Unito del Venezuela,
PSUV, che annovera tra i suoi più importati dirigenti alcuni
personaggi di dubbia moralità come il parlamentare Diosdado Cabello,
è diventato terreno di conquista per opportunisti e politicanti
vecchi e nuovi che si riciclano manipolando le basi; e le Forze
Armate e di Polizia, in cui abbondano generali ed ufficiali di vario
rango che mal sopportano le lotte quotidiane di lavoratori e
contadini per i loro diritti e per la radicalizzazione del processo
bolivariano, pur chiamandosi “bolivariane” continuano ad essere
permeate da delinquenti e anticomunisti.

In sintesi, un conglomerato di interessi ed ambizioni di potere che,
se da una parte s’azzuffa con la vecchia oligarchia della IV
Repubblica, dall’altra fa di tutto per impedire lo smantellamento
dello Stato borghese nonostante i proclami infarciti di “Socialismo
del secolo XXI” e di “Integrazionismo latinoamericano”.

LA “NUOVA” POLITICA INTERNAZIONALE DEL VENEZUELA

La consegna di Joaquín Pérez Becerra al fascista Santos è la
diretta conseguenza di una politica internazionale sbiadita e
sciagurata, fatta di concessioni e concezioni distorte in cui le
“ragioni di Stato” sono il perno e l’internazionalismo
rivoluzionario è una scomoda variabile (dipendente dalle prime)
ormai superata.

Molti, in Venezuela e nel mondo, hanno avvertito un campanello
d’allarme quando rifugiati baschi prima, e guerriglieri delle FARC
e dell’ELN più recentemente, sono stati deportati rispettivamente
in Spagna e in Colombia. Allorché Chávez ha iniziato a tessere le
lodi del guerrafondaio Santos, definendolo “il mio miglior
amico”, ed al ripristino delle relazioni diplomatiche tra i due
paesi hanno fatto seguito accordi non solo in materia economica,
commerciale e di infrastrutture ma anche di “sicurezza”, la
preoccupazione è diventata una triste costatazione. Ne è la riprova
il recente sdoganamento santista-chavista del dittatore honduregno
Lobo (capo di un governo illegittimo che altro non è che
l’estensione politico-temporale del golpe griffato
Obama-Micheletti), che verrà reintegrato nell’Organizzazione degli
Stati Americani e che riceverà nuovamente gli agognati barili di
petrolio di PetroCaribe, con cui potrà rimpinguare i serbatoi dei
blindati che reprimono il popolo di Morazán. Sdoganamento, cui si
unito in seconda battuta l’inadeguato e velleitario Zelaya,
presentato dal governo venezuelano come una vittoria della diplomazia
di Miraflores, che esibisce promesse melliflue -da parte dei golpisti
honduregni- di clemenza nei confronti di una resistenza honduregna
sulla cui testa si sta cucinando la riabilitazione del regime
sanguinario di Tegucigalpa. In sostanza, dovremmo credere alle
promesse di un branco di lupi mannari che “s’impegnano” a non
sbranare gli agnelli, certamente eroici ma pur sempre inermi.

Infine, ma non in ordine d’importanza, non possiamo ignorare un
altro, squallido tassello del mosaico: il caso Walid Makled.
Narcotrafficante ed affarista venezuelano di origine siriana
arrestato nell’estate 2010 in Colombia, ha dichiarato di avere in
suo possesso registrazioni audio-video compromettenti che
dimostrerebbero il coinvolgimento di alti funzionari venezuelani in
attività illecite e torbide. Indipendentemente dalla fondatezza o
meno di queste accuse, strumentalizzate puntualmente dagli USA, una
cosa è certa: il governo Chávez ha fatto e sta facendo di tutto
affinché la Colombia lo estradi in Venezuela (che lo accusa di
omicidio) e non negli Stati Uniti (che lo accusano di narcotraffico).
E’ ineludibile domandarsi perché Chávez si premuri tanto di
mettere le mani su Makled, la cui estradizione Santos si è impegnato
a concretizzare a breve termine (come gaiamente annunciato dal
ministro degli Esteri venezuelano Maduro poche ore dopo che Joaquín
Pérez veniva sbattuto nel carcere Modelo di Bogotá), e non faccia
altrettanto per ottenere l’estradizione, sempre dalla Colombia dove
vive come un eroe, di un certo Carmona Estanga, presidente de facto
dei golpisti nell’aprile 2002.

LE INCONGRUENZE DI CHÁVEZ

Facciamo un passo indietro. Fino all’insediamento di Santos, uno
dei principali autori intellettuali del bombardamento criminale in
territorio ecuadoregno del 1 marzo 2008 e massimo responsabile
-unitamente ad Uribe- del terrorismo di Stato in Colombia negli
ultimi anni, Chávez si era speso in prima persona nel denunciare il
ruolo del regime colombiano quale gigantesca base militare
statunitense in America Latina, minaccia all’integrazione
continentale ed erede del traditore Santander. Il tutto, con un
discorso incendiario antioligarchico e proclami d’irriducibilità
antimperialista che hanno suscitato l’ammirazione e
l’approvazione di milioni di persone nel mondo intero.

In meno di un anno, lo stesso regime paramilitare colombiano è
diventato un “affidabile partner per l’integrazione” (con cui
il Venezuela, tra le altre cose, condivide la presidenza di Unasur);
il nemico Santos è diventato il “miglior amico”, e
l’insorgenza colombiana un branco di “terroristi”, di cui
Chávez non rivendica più il riconoscimento di forza belligerante
(“Le FARC e l’ELN non sono terroriste, sono veri eserciti e
bisogna dargli un riconoscimento”, disse Chávez nel gennaio 2008
di fronte all’Assemblea Nazionale, aggiungendo: “Sono forze
insorgenti che hanno un progetto politico e bolivariano che qui
rispettiamo!”)

Sempre nel giro di pochi mesi, quello che prima era un governo
illegittimo e golpista (ci riferiamo a Lobo) è diventato un valido
interlocutore con cui pianificare mosse politiche e nuovi affari, in
cambio di briciole ancora saldamente nel paniere dell’oligarchia
honduregna.

Lo stesso Chávez che non ha mai risparmiato parole di adorazione nei
confronti del Libertador Simón Bolívar, elogiandone la coerenza, la
tenacia e l’irriducibile volontà di sconfiggere il colonialismo e
le oligarchie complici, oggi getta con un calcione i rivoluzionari
colombiani in pasto a squali e coccodrilli narcoparamilitari. Pugnala
alle spalle non solo guerriglieri che hanno impugnato le armi perché
in Colombia l’opposizione legale è stata e continua ad essere
sterminata senza soluzione di continuità, ma anche un giornalista
come Joaquín Pérez Becerra che guerrigliero non è.

E lo consegna in meno di quarantotto ore dal suo arresto avvenuto
all’aeroporto di Maiquetía violandone i più elementari diritti,
essendo Joaquín cittadino svedese (naturalizzato da almeno un
decennio dopo aver ottenuto lo status di rifugiato in Svezia in
qualità di superstite del genocidio dell’Unión Patriótica).
Joaquín non ha subito un’estradizione in piena regola, per rendere
esecutiva la quale si sarebbe dovuto pronunciare un tribunale
venezuelano; e non gli hanno permesso di parlare con i suoi avvocati
né ricevere la visita del console svedese a Caracas, mantenendolo in
stato di totale isolamento e, come denunciato dallo stesso Joaquín
dal carcere Modelo di Bogotá, è stato trattato come una merda dalla
Guardia Nazionale venezuelana e dal ministro Izarra

. E su di lui non pendeva, come invece trasmesso da Santos a Chávez
nella telefonata tra amici in cui il primo ha chiesto al secondo il
favore personale di “recapitarglielo” con ogni mezzo, un mandato
di cattura internazionale dell’Interpol, che altrimenti sarebbe
stata effettuata in Svezia (dove Joaquín viveva da anni) o nel
vigilantissimo aeroporto di Francoforte, dove il direttore di ANNCOL
si è imbarcato con destinazione Caracas.

Quando un gruppo di ciarlatani norvegesi ha assegnato il ridicolo
Premio Nobel per la Pace al guerrafondaio Obama, ci siamo
identificati con la critica di Chávez che faceva rilevare come ci
fosse un’insostenibile contraddizione in termini. Oggi, registriamo
la stessa, indifendibile incongruenza se pensiamo che il presidente
venezuelano, fresco vincitore del “Premio Rodolfo Walsh”
(giornalista argentino assassinato dalla dittatura di Videla), ha
trattato come un delinquente ed una volgare merce di scambio un
giornalista che ha patito sulla propria pelle le sevizie di
un’altra dittatura, quella degli oligarchi colombiani, le cui mani
sporche di sangue non potranno mai ripulire né il teatrino
parapolitico neo-granadino né le elezioni farsa di turno.

Sempre recentemente, Chávez ha criticato la corruzione e i vecchi
vizi ancora fortemente presenti all’interno del suo partito, il
PSUV, ed in altri ambiti della politica nazionale; per essere
coerente con questa ineccepibile disamina, Chávez dovrebbe depurare
una gran parte delle istanze dirigenti, a partire dall’esecutivo
che presiede ed in particolar modo dal ministro delle Comunicazioni e
dell’Informazione, Andrés Izarra. Questo “bolivariano” da
operetta, già giornalista della CNN e della NBC negli anni ’90, ha
prima annunciato sul suo blog l’arresto di Joaquín come se si
trattasse di una grande vittoria delle autorità venezuelane, per poi
imporre a tutti i giornalisti dei media ufficiali il silenzio circa la
nazionalità svedese di Joaquín, il suo carattere di giornalista
rivoluzionario solidale col Venezuela e, naturalmente, le violazioni
ai suoi diritti fondamentali. Grazie a questo traditore i media
governativi venezuelani, che dovrebbero informare con principi e
paradigmi diametralmente opposti a quelli dei media borghesi
internazionali, hanno fatto una pessima figura, per nulla mitigata da
una o due eccezioni coraggiose (Vladimir Acosta su RNV e il gagliardo
Walter Martínez del programma Dossier). Mentre si consumava lo
scempio ai danni di Joaquín, non trovava niente di meglio da fare
che lodare “gli sforzi di Santos per far fronte alle alluvioni”
che stanno martoriando tre milioni di colombiani, per lo più
abbandonati alla loro sorte dal nuovo “miglior amico” di Chávez.

Un altro ministro campione di “bolivarismo”, il cancelliere
Nicolás Maduro, ha giocato un ruolo rilevante in tutta questa
vicenda, e con il tempo potremo scoprire ulteriori dettagli. Per il
momento, ci “deliziamo” con le sue recentissime dichiarazioni
rilasciate alla stampa in occasione dell’incontro dei ministri
dell’Ambiente del Vertice degli Stati dell’America Latina e dei
Caraibi, Celac: “Il rispetto del Venezuela al Diritto
Internazionale è indiscutibile, non ci sottomettiamo al ricatto di
nessuno, da qualunque parte provenga, perché stiamo agendo in modo
trasparente e in sintonia con la Legge e con le responsabilità che
ha lo Stato venezuelano”.

Questo burocrate che veste camicia e basco rossi, rosso di fuori e
marcio dentro come talune mele bacate, ha avuto anche la
sfacciataggine di rimproverare la Svezia (che ha legittimamente e
dovutamente chiesto spiegazioni alla cancelleria di Caracas per
questa consegna di un suo cittadino senza il benché minimo rispetto
dei passaggi legali e dei diritti sanciti dalla Costituzione
Bolivariana medesima), domandandosi perché le autorità scandinave
avessero permesso a Joaquín Pérez di uscire dal territorio svedese.
La risposta la conosciamo tutti, compreso il signor Maduro: Joaquín
è cittadino svedese, gode dello status di rifugiato e dei protocolli
internazionali che ne riconoscono le relative garanzie, e aveva tutto
il diritto di muoversi liberamente. Maduro fa orecchie da mercante, e
chiosa con una dichiarazione che ci fa sorridere: “Noi continueremo
a lavorare per un mondo di uguali, opponendoci alle guerre e
costruendo l’integrazione dell’America Latina”. Sappiamo bene
che per i tecno-burocrati come i menzionati ministri ci sono
“uguali” più uguali di altri, la guerra a morte
dell’oligarchia colombiana contro il popolo non è poi così
importante, e la “integrazione” dell’America Latina è fatta
soprattutto di megaprogetti, polidotti ed accordi politici con
qualunque governo e stato, anche se terrorista e genocida come quello
colombiano.

Ad ogni modo, se qualcuno nutrisse ancora dei dubbi circa la buona o
mala fede del presidente venezuelano, il campo è stato
definitivamente sgomberato dalle sue recentissime dichiarazioni.
Infatti, incalzato da più parti si è visto obbligato a
pronunciarsi, uscendo dall’autismo in cui era piombato e proferendo
parole scandalose ed infantili: “La responsabilità non è mia, il
primo responsabile è quel signore (Joaquín) che viene qua sapendo
che l’Interpol lo sta ricercando con codice rosso”, aggiungendo
che “Qualcuno dovrebbe dire chi lo ha invitato a venire qua, chi
gli ha organizzato la trappola, come tutti sapevano…”;
rivolgendosi poi a non si sa bene chi, anche se intuiamo che il
riferimento sia a tutti quelli che hanno protestato per la vergognosa
consegna di Joaquín a Santos, ha la sfrontatezza di dire:
“Infiltrati, sono movimenti infiltrati sino al midollo”.

Ammesso e non concesso che Chávez abbia elementi per affermare una
cosa così grave, dovrebbe essere esplicito e dire chi sarebbe
infiltrato da chi, presentando elementi probatori. Il Movimento
Continentale Bolivariano? Il Partito Comunista del Venezuela? I
collettivi e comitati autogestiti del 23 de enero? O forse le
migliaia e migliaia di persone, giornalisti, lavoratori, giovani,
donne ed indigeni che in questi anni hanno interloquito con ANNCOL e
che stimano Joaquín Pérez in virtù del tenace lavoro di denuncia e
sostegno alle lotte dei popoli del mondo, a partire dalla resistenza
colombiana e dal processo bolivariano in Venezuela?

Non soddisfatto, il primo inquilino di Miraflores è caduto nel
grottesco con un’altra, infamante dichiarazione: “Così come
abbiamo consegnato Chávez Abarca al governo di Cuba, abbiamo
consegnato Pérez Becerra al governo della Colombia!” A chi non
fosse informato, ricordiamo che Francisco Chávez Abarca è un
terrorista anticastrista, già mano destra di Posada Carriles ed
autore di diversi attentati terroristici ai danni di vari hotel e
centri turistici cubani. Bel paragone Chávez, complimenti! Mettere
sullo stesso piano un criminale prezzolato dalla CIA ed un superstite
del peggior genocidio politico nella storia dell’America Latina, ci
fa capire di che pasta tu sia fatto…

Chávez si è ulteriormente contraddetto quando ha rincarato la dose
di ipocrisia: “Io non sto dicendo che lui sia un terrorista, spero
che il governo della Colombia rispetti i suoi diritti umani e il
diritto alla difesa”. Perché il mandatario di Miraflores non ha
rispettato i diritti umani ed il diritto alla difesa di Joaquín?
Perché, nel comunicato diffuso subito dopo l’arresto di Joaquín
all’aeroporto di Caracas, si afferma che “il Governo Bolivariano
ratifica in questo modo il suo impegno irriducibile nella lotta
contro il terrorismo…”? E perché insiste sulla questione del
mandato di cattura dell’Interpol ai danni di Joaquín, e non esige
una spiegazione all’Interpol stessa che ha unilateralmente
depennato, dalle sue liste di persone ricercate, diversi banchieri
venezuelani scappati all’estero dopo aver speculato ed affamato il
suo popolo per anni?

Infine, l’atteggiamento arrogante ed autoreferenziale del
presidente venezuelano si è manifestato con un’ultima
“chicca”: “Io prendo le decisioni e mi assumo le mie
responsabilità, nessuno può venire qui a ricattarmi, né
l’estrema sinistra né l’estrema destra!”

A parte il fatto che, alla luce dell’evoluzione del caso del
mafioso Walid Makled, ci pare di poter confermare che l’estrema
destra colombiana sta ricattando, eccome, il governo venezuelano, è
del tutto sconsiderato bollare come “ricattatori di estrema
sinistra” un pezzo importante del movimento bolivariano venezuelano
e latinoamericano, nonché intellettuali del calibro di Adolfo Pérez
Esquivel, James Petras, Hernando Calvo Ospina, Michel Collon, Carlos
Aznares, François Houtart, Carlos Lozano, Jorge Beinstein e Juan
Carlos Vallejo (tanto per citare solo alcuni dei firmatari di una
lettera internazionale a Chávez di critica e invito alla rettifica).

Inoltre, non capiamo in quale dimensione spazio-temporale si trovi il
vicepresidente venezuelano Elías Jauja, che dopo la consegna di
Joaquín ha avuto l’ardire di ribadire la “solidarietà del
Venezuela con i movimenti rivoluzionari internazionali”, come se
non fosse successo niente. Se il governo venezuelano manda al macello
un giornalista bolivariano, figuriamoci cosa dovrebbero aspettarsi i
militanti dei movimenti rivoluzionari internazionali…
Probabilmente, di essere ingabbiati anch’essi al loro arrivo a
Caracas per una qualche “ragion di Stato”!

RIPERCUSSIONI E CONSEGUENZE

Alcuni adoratori/adulatori acritici del presidente e dei vertici
venezuelani, dopo il primo smarrimento dovuto al carattere
indifendibile dell’infame consegna di Joaquín alla Colombia, hanno
dato fondo alla propria materia grigia (piuttosto amorfa, a dire il
vero) per cercare di giustificare l’irresponsabile decisione di
Chávez: “non si poteva fare altrimenti”, “se non l’avessimo
consegnato gli Stati Uniti ci avrebbero invasi”, “se l’Interpol
lo chiedeva, bisognava darlo alla Colombia”, “Chávez starà
soffrendo molto per questa dolorosa decisione che salverà la
Rivoluzione”, e via dicendo. Squallidi ed imborghesiti
“intellettuali” da salotto, dediti ad arrampicarsi sugli specchi
come scarafaggi. Altri ancora, emuli delle destre più becere e in
perfetto stile inquisitorio, si sono spinti ben oltre: “Pérez
Becerra doveva starsene buono in Svezia”, “Chi gli ha detto di
venire qui a crearci problemi?”, “Qualcuno deve averlo pagato e
manipolato per venire qui a creare uno scandalo internazionale e
provocarci”… Sono frasi, titoli e concetti che si commentano da
soli. E che sulla rete e negli ambiti in cui si discute accesamente
dell’accaduto sono stati e continuano ad essere nettamente
minoritari.

Decine di migliaia di messaggi, sms, mail, articoli, commenti nei
blog, denuncie, appelli e adesioni sono circolati negli ultimi giorni
sulla rete e nelle piazze, e molti altri sono in arrivo. Tutti,
indipendentemente dalla calibratura più diplomatica o
“incazzata” dei contenuti, hanno un minimo comun denominatore: le
massime autorità hanno fatto un gesto grave, la consegna di Joaquín
ad un regime sanguinario è sbagliata e Chávez (a cui piace esser
chiamato “Comandante”) deve assumersene la responsabilità. A
maggior ragione nella misura in cui, come le sopracitate
dichiarazioni del cancelliere Maduro confermano, si tratta di una
politica di Stato.

La consegna del direttore di ANNCOL è un grave errore etico, e lo
abbiamo abbondantemente argomentato in questo articolo e negli altri
comunicati e news diffusi. Violando principi elementari di
solidarietà e internazionalismo, da parte di chi si dice
“rivoluzionario”, inocula un virus devastante nel processo che
rafforza il pragmatismo borghese e pregiudica irrimediabilmente la
credibilità di chi ne è portatore. Inoltre, ricalca per modalità e
complicità il famigerato Plan Condor, con cui negli anni ’70 del
secolo scorso le dittature latinoamericane perseguitavano e mandavano
al massacro militanti rivoluzionari.

E’ un miope errore politico, perché come ha detto la sinistra
rivoluzionaria venezuelana, “la fiducia è fratturata”. Fatto
grave, questo, se si pensa che anche Chávez ed il Psuv si erano
finalmente resi conto che senza l’importantissimo contributo dei
settori che la compongono, la difesa e lo sviluppo del processo (in
chiave elezioni 2012, ma non solo) sarebbero molto più ardui. A ciò
aggiungiamo che la consegna di Joaquín a Santos avalla un castello
accusatorio complessivo le cui “prove” provengono dalla stessa
lampada di Aladino (i presunti computers di Raúl Reyes) con cui
hanno criminalizzato e criminalizzeranno ancora, tra gli altri, anche
il presidente venezuelano.

Ed è un colossale errore strategico, a cui Chávez ed i suoi
comprimari arrivano dopo un’elaborazione analitica che ricorda
molto quella di Gheddafi alla fine degli anni ’90: collaborare col
nemico, stringere forti alleanze col gran capitale e coi regimi
reazionari e voltare le spalle ai rivoluzionari di altri paesi, come
quelli colombiani, è il frutto della pia illusione che così facendo
si neutralizzerà la controrivoluzione (interna ed esterna), e si
toglieranno pretesti all’imperialismo. Tuttavia, la prima lavora a
pieno regime, infischiandosene delle sempre più soventi concessioni
di Chávez, ed il secondo, come insegna la storia, non ha bisogno di
pretesti, se li fabbrica ad hoc per aggredire paesi e stati non più
funzionali alle sue proiezioni geopolitiche, economiche e militari.

In un sol colpo, Chávez ha perso la fiducia della sinistra
rivoluzionaria, in Venezuela e nel mondo, e non ha certo scalato il
ranking delle preferenze della destra (quella colombiana in primis),
che ha manovrato abilmente per indebolirlo adesso, sfruttandone
allegramente l’inconsistenza ideologica e l’incoerenza, per poi
sferrare il colpo finale quando l’imperialismo avrà deciso di
mettere le mani definitivamente sul petrolio venezuelano.

Nel frattempo, migliaia di persone in tutto il mondo, siano essi
giornalisti alternativi, militanti bolivariani, intellettuali critici
o semplici lavoratori e studenti, colombiani e non, continueranno a
lavorare in sostegno alla lotta per la liberazione dal giogo dello
sfruttamento e del neo-colonialismo che eroicamente conduce, sui più
diversi terreni, il popolo colombiano. Non dobbiamo lasciarlo solo,
così come vorrebbero gli opportunisti che lavorano per “cambiare
tutto” affinché non cambi niente. E non dobbiamo lasciare soli i
rivoluzionari venezuelani, chiamati in questo momento storico ad
intensificare la lotta di classe e di resistenza per sconfiggere
l’oligarchia pro-imperialista da una parte, e la destra endogena
(travestita da bolivariana) che fagocita i gangli del potere
dall’altra.

E, naturalmente, dobbiamo sostenere e accompagnare Joaquín Pérez
Becerra, la cui vita è in pericolo in un vigliacco carcere di
Bogotá che l’oligarchia ha nottetempo dato in comodato d’uso al
paramilitarismo, e i 7500 prigionieri politici colombiani rinchiusi
nelle peggiori condizioni per il solo fatto di essere oppositori di
un regime antidemocratico e antipopolare. Lo stesso con cui adesso va
a braccetto il presidente Chávez, che è corresponsabile di ciò che
potrebbe capitare al direttore di ANNCOL.



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