[Redditolavoro] IL FALLIMENTO E LA TRAGEDIA DEL NUCLEARE

Partito Comunista dei Lavoratori pclavoratoribologna at gmail.com
Tue Mar 15 10:21:59 CET 2011


 IL FALLIMENTO E LA TRAGEDIA DEL NUCLEARE

(15 Marzo 2011)

*IL POPOLO GIAPPONESE DOPO AVERE PROVATO LA VIOLENZA DELL’ IMPERIALISMO
AMERICANO CON GLI ORDIGNI ATOMICI SOPRA HIROSHIMA E NAGASAKI NEL 1945, OGGI
RIVIVE LA TRAGEDIA NUCLEARE IN NOME DEL PROFITTO *


La  catastrofe naturale che ha colpito il Giappone e la conseguente
gravissima emergenza provocata  dalle fughe  radioattive della danneggiata
centrale nucleare di Fukushima, ripropone con forza la necessità delle lotte
delle popolazioni contro gli interessi del capitalismo ai danni della vita e
dell’ ambiente.

Il compagno Tiziano Bagarolo   del P. C. Lavoratori precocemente scomparso
nel 2010, aveva analizzato con attenzione gli aspetti ambientali del pianeta
e il legame che ci lega alle lotte per la sua difesa.

Riproponiamo due articoli presi tra i tanti dal suo Blog (ancora attivo)
fonte preziosa di informazioni e idee.

www.tbagarolo.blogspot.com  <http://www.tbagarolo.blogspot.com/>


Ruggero Rognoni

http://www.pclavoratori.it info a pclavoratori.it

Sez. prov. di Bologna

http://sites.google.vom/site/pclbologna pcl.bologna a virgilio.it




*Nucleare. Ritorna l'incubo plutonio?

Il rompicapo tossico delle scorie non lo risolveranno i reattori
autofertilizzanti veloci
*

Riprendo da "greenreport" questa analisi inquietante sul riaffacciarsi
dell'incubo plutonio come sbocco del rilancio dei programmi nucleari.
Esamina la questione un recente rapporto dell'International Panel on Fissile
Materials (IPFM), un centro di ricerca indipendente, che sulla base
dell'esperienza passata, mette in guardia contro una tecnologia già fallita,
antieconomica, rischiosa per la salute e gravida di pericoli di
proliferazione.
Ci tornerò sopra.
[t.b., 22 febbraio 2010]

Dopo lo sdoganamento del nucleare da parte di Obama negli Usa è cominciata
la discussioni su come smaltire le scorie delle centrali nucleari
"Generation IV" e si spulciano alla ricerca di soluzioni anche i programmi
di Russia, Gran Bretagna, Francia, India e Giappone.
Un nuovo rapporto dell'International Panel on Fissile Materials (IPFM) cerca
di rispondere ad alcune domande del rompicapo che fino ad oggi nessuno è
riuscito a risolvere: «Le preoccupazioni riguardo allo smaltimento
inadeguato a lungo termine delle scorie dei reattori nucleari significano
che è giunto il momento di impegnarsi per lo sviluppo di nuovi reattori
autofertilizzanti veloci? Quali sono le preoccupazioni legate al costo,
all'affidabilità, alla sicurezza ed alla proliferazione connesse ai reattori
veloci?»
Per valutare il potenziale dei fast reactor, il rapporto IPFM prende in
considerazione le esperienze, la storia e lo stato attuale dei programmi per
i reattori veloci attualmente in funzione in Francia, India, Giappone,
Unione Sovietica/Russia, Regno Unito e Stati Uniti.
«I reattori autofertilizzanti Plutonium-fueled[alimentati al plutonio]
sembravano originariamente offrire un modo per evitare una possibile penuria
dell'uranio necessario a sostenere una tale visione ambiziosa con altri tipi
di reattori. Oggi, con maggiore attenzione sia ai reattori della "Generation
IV" sia al nuovo Obama Administration panel ci si concentra sugli altri temi
del ritrattamento delle scorie, l'interesse si è spostato intorno ai fast
reactorcome un mezzo attraverso il quale sia possibile bypassare le
preoccupazioni riguardo lo stoccaggio a lungo termine delle scorie
nucleari».
Una missione che sembra impossibile anche all'IPFM, un gruppo di esperti
internazionali indipendenti provenienti da Brasile, Cina, Francia, Germania,
India, Irlanda, Giappone, Messico, Corea del Sud, Olanda, Norvegia,
Pakistan, Russia, Sudafrica, Svezia, Gran Bretagna ed Usa, fondato nel 2006,
che si occupa di controllo delle armi atomiche e di non proliferazione
nucleare. Il compito che si è dato l'IPFM è quello di analizzare le basi
tecnica per iniziative politiche concrete e realizzabili per garantire,
consolidare e ridurre le scorte di uranio e plutonio altamente arricchito,
cioè dei materiali fissili che sono gli ingredienti principali delle armi
nucleari, il cui controllo, come ci insegnano le vicende recenti di Iran e
Corea del Nord, ma ancor più la storia del nucleare militare diventato
civile, e poi del nucleare "civile" indiano, pakistano, israeliano...
diventato militare, «è fondamentale per il disarmo nucleare, per arrestare
la proliferazione delle armi nucleari, garantendo che i terroristi non si
dotino di armi nucleari».
Secondo lo studio dell'IPFM i reattori autofertilizzanti veloci non possono
risolvere il problema dello stoccaggio a lungo termine per i rifiuti
nucleari: i problemi con questo tipo di reattori «Rendono difficile
contestare il fatto che questi reattori sono costosi da costruire, complessi
da gestire, suscettibili di arresti prolungati a causa di malfunzionamenti
anche di minore importanza e difficile da riparare perché richiede molto
tempo». Inoltre, i reattori autofertilizzanti veloci scontano enormi ritardi
di costruzione, problemi di sicurezza multipli (come incendi di sodio,
spesso catastrofici, innescati semplicemente dal contatto con l'ossigeno) e
rischi di proliferazione irrisolti e sono già costati oltre 50 miliardi di
dollari solo per spese di progettazone e sviluppo, di cui più di 10 miliardi
di dollari ognuno per Usai, Giappone e Russia.
Il rapporto dell'IPFM sottolinea che «Eppure nessuna di queste iniziative ha
prodotto da nessuna parte un reattore che sia anche solo vicino ad essere
economicamente competitivo con i reattori ad acqua leggera. Dopo sei decenni
e spese per l'equivalente di decine di miliardi di dollari, la promessa dei
reattori autofertilizzanti rimane in gran parte insoddisfatta e gli sforzi
per commercializzarli sono stati costantemente tagliati in molti paesi».
Secondo il rapporto dell'IPFM «la razionalità di reattori autofertilizzanti
non è più sana.
Per gli scienziati dell'Ipfm importanti problemi di sicurezza non sono
risolti: «Il principale svantaggio del sodio è che reagisce violentemente
con l'acqua e brucia se esposto all'aria. Gli steam generators[generatori di
vapore], in cui il sodio liquido e acqua ad alta pressione sono separati da
metallo sottile, hanno dimostrato di essere uno degli aspetti più
problematici di reattori autofertilizzanti».
A rischio di fughe radioattive sono soprattutto le tubazioni. Una buona
parte di questo tipo di reattori sono stati fermi per la maggior parte del
tempo in cui avrebbero dovuto produrre energia elettrica. «Una parte
importante del problema è stata la difficoltà di manutenzione e riparazione
dell'hardware del reattore che è immerso nel sodio». La complessità delle
varie operazioni deriva proprio dal fatto che l'aria non deve venire a
contatto con il sodio, così le riparazioni all'interno del reattore sino più
lunghe e complesse che nei reattori raffreddati ad acqua: «Durante le
riparazioni, il combustibile deve essere rimosso – spiega l'IPFM – il sodio
"scolato" e l'intero sistema lavato accuratamente per rimuovere residui di
sodio senza causare un'esplosione. Tali preparati possono durare mesi o
anni».
La soluzione dei reattori autofertilizzanti appare già come un'arma
spuntata, visto che la maggior parte sono stati chiusi: «Germania, Gran
Bretagna e Stati Uniti hanno abbandonato i loro programmi di sviluppo
di breeder reactor, si legge nel rapporto, nonostante gli argomenti portati
dal conglomerato nucleare francese Areva». L'IPFM fa l'elenco proprio dei
fallimenti degli "esperimenti" francesi del nucleare di "ultima generazione"
e scrive che «Il Phénix è stato disconnesso dalla rete nel marzo 2009 ed era
prevista la sua chiusura definitiva entro la fine dello stesso anno. Il
Superphénix, il primo breeder reactor al mondo di dimensioni commerciali, è
stato abbandonato nel 1998 ed è in fase di smantellamento. Non c'è
nessun follow-on breeder reactor [successione di reattori veloci] previsto
in Francia nell'ultimo decennio».

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Il nucleare non conviene
Se ne rende conto anche il quotidiano della Confindustria




Alessandro Farulli su "greenreport" segnala con soddisfazione quel che ha
scritto ieri "il Sole-24 ore", quotidiano di Confindustria, per la penna di
Giliberto e Rendina: «L'energia atomica come quella progettata per il
"rinascimento nucleare" in Italia
chiede investimenti decisamente impegnativi, non meno di 5 miliardi per ogni
reattore, in cambio di uno sconto sui costi di produzione dell'elettricità
capace di regalare a lungo termine un vantaggio che appare in via teorica
piuttosto significativo».

Incertezza sui tempi e sui costi
«Ma ci sono – aggiungono – due variabili che, accanto ai parametri
finanziari del capitale necessario, possono spostare molto la soglia di
convenienza per un programma atomico che partisse da zero. Le variabili
determinanti sono i tempi (la costruzione e la messa in marcia) e i prezzi
del mercato elettrico quando la centrale futura potrà davvero andare a tutto
vapore: le tecnologia concorrenti potrebbero essere più competitive.
Commento unanime di tutti gli esperti: il vero nemico dell'energia nucleare
è l'incertezza. La politica ondivaga italiana è più dannosa sui costi e
sull'efficacia di un programma atomico più di tutti i ribellismi
antinucleari».
Questi argomenti non sono una novità. A livello internazionale sono stati
sollevati non solo dagli oppositori del nucleare, ma anche dai maggiori
istituti finanziari, quelli che fanno i conti sulla convenienza degli
investimenti. In questo blog ne abbiamo dato conto a suo tempo (Costi e
rischi finanziari dell'energia nucleare, 14 febbraio 2010).
Osserva il giornalista di "greenreport": «E', dunque, l'incertezza – sui
tempi appunto e sui costi – il nodo del nucleare italiano e pensare che nel
nostro Paese si possa a breve bypassare questa situazione che è endemica di
tutte le opere piccole o grandi nazionali è ai limiti dell'utopia. Si può,
giustamente, obiettare che con questa scusa si dovrebbe allora abbandonare
qualunque tipo di progetto importante, ma il punto non è questo. Il difetto
del nostro governo nel voler promuovere questo ritorno al nucleare sta nel
fatto che ci ha speso quel poco di politica industriale che ha portato
avanti da quando ha vinto le elezioni, affiancando questo progetto all'altro
altrettanto lungo, ambizioso e inutile che è il Ponte sullo Stretto».

Profitti ai privati, perdite allo Stato
E' del tutto verosimile ipotizzare che il nucleare non vedrà mai una seconda
rinascita in Italia. Ma ciò non significa che – se si lascerà fare il
governo e ai grandi interessi capitalistici – il paese non ne debba comunque
pagare un prezzo salatissimo. Sia in termini di soldi sprecati in
un'avventura senza futuro, sia in termini di mancato sviluppo di una
politica alternativa al petrolio.
Osserva Farulli: «Se... lo Stato non ci metterà un euro, vorremmo capire
quali sono o sarebbero i privati disposti ad investire in un progetto così
zoppicante. Il governo si è premurato di stabilire per legge che chi
investirà nel nucleare, se poi il progetto fallisse, sarà rimborsato e
questa è una delle polpette avvelenate (tra le tante) che l'attuale
maggioranza lascerà in eredità alla prossima».

Assenza di una strategia energetica
Altri dubbi si aggiungono, sollevati dallo stesso "Sole-24 ore": «Se poi a
tutto questo si aggiungono le perplessità ... sul fatto che le zero
emissioni di CO2 sempre sbandierate dai nuclearisti per giustificarne
ambientalmente la necessità degli impianti non sono affatto zero (ma circa
il 30% di una centrale a gas); che nel 2020 l'offerta di uranio sarà
insufficiente per soddisfare la domanda delle centrali; e che ... sia sul
piano tecnologico sia su quello della sicurezza ci sono ancora grandissimi
punti interrogativi, si capisce insomma che siamo di fronte a un fallimento
completo della politica ... industriale di questo Paese» (Farulli).
Purtroppo questo fallimento rischia di compromettere le possibilità di
rapido sviluppo delle rinnovabili: da un lato si tagliano gli incentivi per
il solare e il risparmio (la cui funzione è quella di incentivare una
drastica riduzione dei costi delle nuove tecnologie mediante l'allargamento
dell'offerta); dall'altro si è permesso l'inserimento della malavita
organizzata nello sviluppo dell'eolico.
Le linee di fondo per una strategia energetica di transizione al
"dopo-petrolio" (che richiede naturalmente alcuni decenni) sono chiare da
tempo: 1) risparmio ed efficienza energetica, per stabilizzare e ridurre i
fabbisogni; 2) sviluppo delle tecnologie che sfruttano le fonti rinnovabili
(eolico, solare termico, solare termico-dinamico e fotovoltaico, geotermia,
biomassa, ecc.) per sostituire le fonti fossili in via di esaurimento e
impattanti sull'ambiente e sul clima; 3) riorganizzazione delle reti di
distribuzione per connettere adeguatamente sul territorio "raccolta" diffusa
e fabbisogni; 4) sviluppo dell'utilizzo del gas come "fonte di passaggio"
nel periodo transitorio.
Per le sue caratteristiche di flessibilità, decentramento, progressività e
modularità, questa è una strategia che può essere attivata con incentivi
finanziari abbastanza contenuti (sicuramente più contenuti dell'enorme
investimento di capitale iniziale richiesto dal nucleare) con risultati
concreti immediati e progressivamente crescenti nel tempo; da un certo
momento in avanti essa diventerebbe autosostenibile anche economicamente.
Ciò che è essenziale, invece, per la sua riuscita è il quadro normativo e lo
sforzo consapevole per avviare la riconversione dell'edilizia, dei processi
produttivi, della mobilità e per incentivare stili di vita individuali e
collettivi ecocompatibili.
Ciò che rischia di costare davvero caro al Paese è l'insistenza su una
strada già fallita (il nucleare) combinata con l'assenza di qualsiasi
strategia energetica alternativa al petrolio.
[t.b., 9 settembre 2010]






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