[Redditolavoro] Franca Salerno

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Fri Feb 4 06:46:36 UTC 2011


un saluto comunista a Franca Salerno

una intervista a Franca

"Sono stata arrestata ed ero incinta, ma mi hanno picchiata"
Franca Salerno, Arrestata il 9 luglio 1975, condannata a quattro anni e 
mezzo per appartenenza ai Nap, Nuclei armati proletari, evasa insieme a 
Maria Pia Vianale dal carcere di Pozzuoli e riarrestata il primo luglio 1977 
in piazza San Pietro in Vincoli a Roma."In un conflitto a fuoco dove Antonio 
Lo Muscio è morto ammazzato".

Ricordo le foto sui giornali, la tua all'ospedale. "Sì, loro ti cercano, ti 
pedinano e quando ti catturano ti massacrano di botte. Per quei tempi era 
normale. Gridavano: "Ammazziamole, facciamole fuori". Se non ci fosse stata 
la gente a guardare dalle finestre sarebbe stata un'esecuzione. A Pia hanno 
sparato perché si era mossa. Ricordo i loro occhi, dentro c'era rabbia e 
eccitazione; erano fuori di sè perché eravamo donne. Averci prese, per loro, 
era una vittoria anche dal punto di vista maschile".

Al processo, a quanti anni ti hanno condannata? "A 18, per banda armata".
Sapevi di essere incinta al momento dell'arresto? "Sì, avevo questo bambino 
in pancia e volevo salvaguardare la sua vita. Antonio era morto, Pia era 
stata portata via con l'autoambulanza ferita, io ero sul selciato e gridavo: 
"Sono incinta", ma da ogni autocivetta uscivano uomini e picchiavano. Sino a 
quando è arrivato anche per me il momento di andare in ospedale".

Cosa vuol dire fare un figlio in carcere? "Guarda che io il figlio l'ho 
fatto fuori, in carcere l'ho partorito.

Ma non mi sono sentita mamma da subito, all'inizio mi vergognavo. Quasi che 
il mio essere gravida fosse un tradimento alla rivoluzione".

Ed è rimasto con te in carcere? "Sino ai tre anni andava e veniva, perché in 
carcere i bambini non stanno bene. E poi ho fatto molto carcere da sola, 
come a Nuoro, dove in sezione c'eravamo solo io e lui. Forse dalle lettere 
avevano capito che vivevo la maternità in modo confittuale e mi hanno messo 
alla prova".

Come si chiama? "Antonio".

Poi cosa è successo? "Compiuti i tre anni, i bambini in carcere non ci 
possono più stare. È stato un grosso dolore, ma esistevano i compagni e le 
compagne. E lui esisteva, esisteva come cosa viva, non solo come perdita. 
Poi ci sono stati le carceri speciali, i vetri divisori nella sala colloquio 
che per anni ci hanno impedito di toccarci, e tutte le altre difficoltà che 
"loro" mettevano in mezzo. Ma a me non fregava niente. Mio figlio esiste, mi 
dicevo, e anche se va via troverò un modo per costruirci qualcosa assieme, 
per crescerci assieme".

Chi lo ha tenuto? "Mia madre, mia sorella, l'altra nonna".

Lui ti ha mai chiesto perché stavi in carcere? "Si, aveva cinque anni e 
voleva dare risposte alla sua vita di bambino nato dietro le sbarre. Potevo 
spiegargli la rivoluzione? E poi non mi piace la retorica gloriosa. Così gli 
ho detto: la mamma ha rubato. Poi, piano piano, ho cercato di spiegare. Ma 
il racconto vero dei percorsi che mi avevano portato in carcere c'è stato 
quando sono uscita e lui aveva 16 anni".



E dopo sedici anni di galera come si riprende a vivere fuori? "Per un anno 
avevo i piedi fuori e la testa da detenuta. Cercavo emozioni passate, fili, 
ed ero comunque e sempre sulla difensiva. Poi, un po' alla volta, ho 
iniziato a misurarmi con la realtà. Col lavoro necessario, con mio figlio. 
Era una presenza intensa, ma io da sedici anni non ero abituata alle 
presenze, ad avere persone attorno, all'interesse di qualcuno su di me. Ero 
disabituata alla materialità degli affetti, ai corpi da toccare. Ho dovuto 
imparare a non vivere di continue elaborazioni del cervello, a mettere in 
comunicazione corpo e mente".

E il carcere, lo hai dimenticato? "Lo sogno continuamente. E per me sognare 
non è una seconda vita. Per me il carcere è presente, come sono presenti i 
compagni e le compagne che sono ancora dentro, a scontare una pena che non 
ha fine. In nessun modo disposti però a barattare dignità e rispetto di se 
stessi in cambio di libertà. Abbiamo rincorso l'utopia di un mondo migliore 
e mai l'interesse personale. Non lo faremo adesso".

È stato facile trovare lavoro? "È stato necessario. Ma tutt'altro che 
facile. Mi sono state fatte offerte di lavoro da qualche parlamentare in 
cambio di un mio intervento sul dibattito della dissociazione. Ho rifiutato 
e mi sono affidata alla gente del quartiere e ho trovato lavoro in un'impresa 
di pulizie".

Dell'esperienza del carcere cosa rimane addosso? "Dei vizi. Dentro la 
borsetta metto di tutto: spazzolino, penna, fogli bianchi, insomma quello 
che può servire per i cambiamenti improvvisi. Le cose che una detenuta 
inserisce nello zaino quando c'è aria di trasferimento e sa che, quando 
avverrà, non le sarà concesso nemmeno il tempo di prepararsi la borsa. E 
quando mangio lascio sempre qualcosa nel piatto, per dopo, perché non si sa 
mai".

Lascia l'amaro in bocca quest'intervista, più di quanto le parole di Franca 
non lo lascino già.

Perchè quel bimbo di cui si parla, Antonio, non smette di mancare ad ognuno 
di noi.
Perchè la storia di quella vita nata tra le sbarre di un carcere di massima 
sicurezza non doveva finire spezzata sul lavoro, come troppe persone ogni 
giorno.
Solo oggi tra la lista dei morti spunta un ragazzo di 20 anni, morto accanto 
al fratello, rimasto gravemente ferito..non se ne può più. QUESTA PAGINA E' 
QUINDI CONTRO IL CARCERE, CONTRO LA PRESENZA DI BAMBINI DA 0 A 3 ANNI, MA


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ANCHE PER LA SICUREZZA SUL LAVORO, PER FERMARE LA QUOTIDIANA SEQUELA DI 
ASSASSINII

Il giorno in cui è morto quel 17 Gennaio del 2006, Antonio Salerno Piccinino 
stava lavorando e faceva una consegna straordinaria, un favore personale ad 
uno dei suoi dirigenti, un viaggio fino ad Ostia improvvisato probabilmente 
per la voglia di dimostrare affidabilità.

Antonio è morto perchè andava troppo veloce a causa dei ritmi inarrestabili 
e delle pressioni emotive costanti che ci vogliono disponibili, sorridenti e 
veloci, sempre.
Antonio era un pony express, il contratto di lavoro era scaduto a fine 
dicembre e formalmente, quando è morto sulla Cristoforo Colombo non gli era 
ancora stato rinnovato.
Antonio era in nero. Il suo lavoro era quello di corriere addetto ai ritiri 
presso gli ambulatori veterinari, percorreva sulle strade di Roma 130Km al 
giorno. 14 ritiri al giorno, 3 euro per ogni ritiro in città, 5 euro per 
ogni ritiro oltre il Grande Raccordo Anulare e 6 euro per ogni ritiro nella 
zona mare comprendente Ostia, Torvajanica e Fiumicino.
E' Indispensabile andare veloce perché l'equazione è semplice: aumentare il 
numero di ritiri per aumentare la propria busta paga.
E' così che è morto Antonio. Ma Antonio non era affatto il suo lavoro, anzi. 
Era un ragazzo pieno di vita e di sogni. Antonio era un ragazzo di ventinove 
anni consapevole dei meccanismi di sfruttamento che era costretto a subire, 
era un precario che lottava quotidianemente contro la precarietà del lavoro 
e della vita.
----- Original Message ----- 
From: "MFPR" <mfpr at libero.it>
To: "Tavolo4" <tavolo4flat at inventati.org>
Sent: Friday, February 04, 2011 7:44 AM
Subject: Franca Salerno


un saluto  femminista proletario rivoluzionario
a Franca Salerno

mfpr




Ieri è morta Franca Salerno,militante dei NAP (Nuclei Armati Proletari),
un'organizzazione comunista che praticava la lotta armata e aveva scelto,
come
tema predominante del suo impegno, il carcere e la condizione dei detenuti.

Arrestata il primo luglio 1977, in piazza San Pietro in Vincoli a Roma,
incinta, diede alla luce un bambino che passò i primi tre anni di vita in
carcere con lei. Gli anni successivi fu accudito dalla nonna materna,dalla
zia
e dalla nonna paterna. Madre e figlio si ricongiunsero quando Franca uscì
dal
carcere per fine pena e Antonio aveva 16 anni.

Antonio Salerno Piccinino,questo è il nome per intero, morì in un incidente
stradale, il 17 gennaio del 2006.
Era un pony-express, addetto ai ritiri presso gli ambulatori veterinari.
Faceva 130 Km al giorno, quattordici ritiri al giorno,3 euro per ogni ritiro
in
città, 5 euro per ogni ritiro oltre il G.R.A. Stava facendo una consegna
straordinaria, nonostante il contratto di lavoro fosse scaduto a fine
dicembre.
E, quando era sotto contratto, lavorava in nero.
Così è morto Antonio a ventinove anni.
Niente retorica, ma si muore così quando il lavoro è precario.
Silenzio da parte di tutte quelle che hanno usato il femminismo per fare
carriera, mentre Franca Salerno ,per vivere, faceva le pulizie.
Vergogna per chi fa distinguo quando vengono esercitate le torture,perchè
Franca le ha subite e Antonio ne ha portato le conseguenze.
Rispetto, anche da parte di chi non le condivide, per chi fa delle scelte
dalla parte degli oppressi.

Elisabetta
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