[Redditolavoro] w: Comitato Palestina - Bari - Proiezione film "La porta del sole", 2-3 novembre - ore 20.00

procomta ro.red at libero.it
Sun Oct 31 10:09:13 CET 2010


Comitato Palestina - Bari - Proiezione film "La porta del sole", 2-3 
novembre - ore 20.00



Tadamon Filastin

Comitato di solidarietà

col popolo palestinese in Terra di Bari
                    II strada privata Borrelli 32 - Bari

Per info: tadamonbari at gmail.com







           Babel el Shams (La porta del sole)















A 93 anni esatti dalla Dichiarazione Balfour, il documento del governo 
britannico che il 2 novembre 1917 destinò la Palestina allo sviluppo della 
colonizzazione sionista, un film che racconta la storia di un popolo e della 
sua resistenza dalla Nakba (1948) ai giorni nostri.







Bab-al Shams (Belgio, Danimarca, Egitto, Francia, Marocco, 2004).

Regia di Yousry Nasrallah, con Hiam Abbas, Fady Abu Samra, Hussein Abu 
Seada, Mohamed Akil, Ahmad Al Ahmad, Vivianne Antonios, Muhtaseb Aref, 
Antoine Balabane, Béatrice Dalle, Mohamed Hedaki. Durata: 278 minuti.

Originale in arabo con sottotitoli in italiano



                I parte - L'esodo

    MARTEDÌ 2 NOVEMBRE ore 20.00



                II parte - Il ritorno

    MERCOLEDÌ 3 NOVEMBRE ore 20.00



II Strada Privata Borrelli n. 32, Bari









Bab El Shams
LA PORTA DEL SOLE

REGIA DI Yousry Nasrallah
Tratto dall'omonimo romanzo di Elias Khoury
Pubblicato da EINAUDI, a cura di Elisabetta Bartuli



Il film

In una camera d'ospedale il dottor Khalil, abbandonato da sua madre nel 
disordine dei campi profughi in Libano, racconta la sua storia a Yunis, un 
vecchio combattente "fedayn" in coma, che Khalil cerca di non fare 
addormentare per sempre. Da lì continui flash back, in cui si intrecciano 
storie d'amore e di resistenza.

La prima parte del film, "L'Esodo" ha come sfondo le aggressioni israeliane 
ai palestinesi, costretti a spostarsi da un luogo all'altro, in continuo 
movimento, spinti fuori dalla loro terra. Separati dai drastici eventi i due 
sposi Yunis e Nahila si incontrano segretamente nella "porta del sole", una 
grotta nei territori occupati, simbolo della Palestina che sopravvive 
clandestinamente e che Nahila ha trasformato in un rifugio d'amore.

La seconda parte del film, "Il Ritorno"  racconta il dramma dei campi 
profughi palestinesi e la guerra civile in Libano, da dove la Palestina si 
vede dalla finestra, ma è impossibile da raggiungere anche col telefono.



Critica



La Porta del Sole di Yousry Nasrallah è l'adattamento cinematografico del 
libro dello scrittore e giornalista libanese Elias Khoury, considerato il 
primo grande romanzo dell'esodo palestinese.



Come regolare per l'immagine il magnifico romanzo di Elias Khoury, Bab el 
Shams, che ripercorre la Nakba, l'avventura dei profughi, la guerra civile 
in Libano e in contrappunto, una magnifica storia d'amore: quella del fedayn 
Younis e di sua moglie Nahila? Come adattare, soprattutto un libro dalla 
costruzione complessa, con avanti e indietro tra passato e presente, tra 
storia e narrazione, un libro sulla memoria, ma anche un'opera letteraria 
sottile che è stata paragonata alle Mille e una notte?



L'impresa era pericolosa, anche per Yousry Nasrallah, regista egiziano, 
amico, collaboratore, figliol prodigo di Yusuf Shahin, (il padre spirituale, 
amato e odiato, come ogni padre), regista già noto per i suoi film (La 
città, El Medina, nel 1998) che attraversano il Mediterraneo da una sponda 
all'altra, da un conflitto all'altro in un avanti e indietro tra le 
comunità.

Impresa tanto più difficile, in quanto il regista ha avuto dei vincoli di 
scrittura: il canale "Arte", co-produttore del film, ha voluto un film sui 
palestinesi, ma anche una saga familiare. Nasrallah ha detto del suo rifiuto 
iniziale, perché lui, regista egiziano, doveva fare questo film, quando 
tanti registi palestinesi lo potrebbero fare? Infine, dopo aver posto come 
condizione l'adattamento di Bab el Shams, Nasrallah inizia il lavoro di 
adattamento con Elias Khoury e Mohamed Soueid, sceneggiatore e regista, 
membro di Fatah durante la guerra civile libanese.



Da questi cinquanta anni di storia palestinese e 630 pagine del libro, 
Nasrallah ha fatto un film di quattro ore e 38', diviso in due parti, 
formalmente differenti, "LaPartenza" e "Il Ritorno".



Nel primo episodio, il combattente Yunis è all'ospedale Shatila a Beirut, in 
coma. Il dottor Khalil lo cura, veglia su di lui giorno e notte, 
ripercorrendo la storia della Palestina e la sorte di Yunis, combattente dal 
1943 all'età di 16 anni contro gli inglesi, poi contro gli israeliani. 
Yunis, separato dalla moglie Nahila e dai figli durante l'esodo dal 
villaggio di Sha'ab nel 1948, organizzando dal Libano la resistenza del 
popolo palestinese, mentre Nahila, sceglie di stare con i genitori del 
marito in Galilea. È nella grotta di Bab el Shams, in Galilea, che Yunis e 
Nahila si ritrovano e si amano.

In questa prima parte, il film è un affresco storico, del genere epico. "La 
Porta del Sole è la prima opera letteraria che si occupa edi dettagli umani 
di questa storia. I palestinesi vivevano ancora come rifugiati, nella 
precarietà, e non si narra la precarietà. (...) La letteratura palestinese 
ha espresso questa catastrofe con simboli e metafore piuttosto che con una 
narrazione diretta. D'altra parte, i vinti non scrivono la storia. (...) Il 
popolo non ha uno stato, non ha sue istituzioni, perciò non ha archivi. 
Nello scrivere questo romanzo, ho pensato che i vinti possono scrivere la 
letteratura. Ho dato voce ai rifugiati,a tutte quelle persone cui era negata 
la parola", ha spiegato lo scrittore libanese che ha viaggiato nei campi per 
sette anni per raccogliere prove delle stragi e dell'esilio [1]. Il destino 
della fiction è spesso quello di non poter rendere conto del documento, a 
meno di non fare di esso materia della narrazione. Qui la storia, così 
spesso negata, ritrova nel film tutto il suo spazio, anche se si può 
rimproverare al regista un realismo che a volte confina con il melodramma, 
che il regista, però, assume come forma che trasforma la fiction in 
documento.



Nella seconda parte i codici e la scrittura cinematografica cambiano 
radicalmente. Qui si ritrova la complessità della scrittura narrativa, 
l'ambiguità dei personaggi, la follia della guerra civile libanese.



Gli Accordi di Oslo sono sull'orlo del successo. Khalil veglia Yunis da 
diversi mesi e ritorna ora sulla propria storia. Suo padre morto da eroe 
quando aveva sei anni, la separazione dalla madre, ripartita a Ramallah, 
lasciandolo con la nonna a Shatila, il suo incontro con Yunis, compagno 
d'arme del padre morto, che gli allora ha inculcato i concetti di 
resistenza, di rivoluzione, e ha fatto di lui un fedayn. Khalil ricorda la 
guerra in Libano, l'espulsione dell'OLP dal Libano nel 1982. E, più 
recentemente, il suo amore infelice per Shams, una giovane donna giustiziata 
dai suoi stessi compagni d'armi ...



La finzione si mescola qui con la realtà, le fogne attraversano il campo di 
Shatila, i fili elettrici si allungano lungo le case addossate le une alle 
altre... Il film è stato girato in parte in Libano, in parte in Siria, 
alcuni incidenti hanno funestato le riprese. L'attrice siriana Hala Umrah, 
che interpreta Shams, si è ustionata durante una scena di esplosione. Shams 
è uno dei personaggi femminili centrali della storia, insieme con le altre: 
Nahila, interpretata dall'attrice franco-ispano-tunisina Rim Turki, oppure 
Om Yunis, sua suocera, interpretata da una grande attrice palestinese, Hiam 
Abbass. È tutto un mondo di donne forti che La porta del sole mette in scena 
e saluta.



È per questo che la sceneggiatura del film non ha ritenuto utile mantenere 
la bellissima storia tra una donna palestinese e una donna israeliana che 
ora occupa ormai la sua casa? Questo incontro tra due persone ferite e due 
esodi, una storia di sguardi in un gioco di specchi, una metafora della 
realtà, illumina il senso della storia dei due popoli, il significato del 
lavoro di Khoury che ha spiegato: "I drammi delle due donne diventano due 
specchi. I due popoli devono capire che sono l'uno lo specchio dell'altro. 
Le sofferenze palestinesi possono trovare uno specchio nello spazio 
israeliano e viceversa per raggiungere una soluzione ragionevole. Questo 
tipo di incontri può dare speranza. Può accadere se gli israeliani capiscono 
che quello che hanno fatto nel 1948 è un crimine contro l'umanità e se sono 
disposti ad ammetterlo. È il prezzo da pagare per una soluzione . I 
palestinesi hanno il diritto al riconoscimento delle loro sofferenze". [2]



Sono i palestinesi più che la Palestina che Nasrallah ha voluto raccontare 
in questa seconda parte. Il loro rapporto con la storia è divenuto "più 
critico", il loro rifiuto di essere solo "personaggi di una storia infinita, 
raccontata da qualcuno che vuole vedere in essi solo degli eroi, dei 
simboli". Khalil è quest'uomo distrutto, lucido, che non crede più nel sogno 
perseguito da Yunis. Shams corre verso la morte. Dei fedayn uccidono senza 
ragione il proprietario di una casa libanese, dove si erano rifugiati. Un 
sopravvissuto di Shatila fa il clown per le strade di Beirut...

Nahila, prima di morire, chiede ai suoi figli che l'ingresso di Bab el 
Shams, la grotta dell'amore, della fertilità, l'unico pezzo di terra libera 
in una Palestina conquistata, sia chiusa. E che sia riaperta quando la 
Palestina sarà liberata.



Un film non può mai dire tutto. Non gli chiediamo di farlo, ma lasciamoci 
portare dai due movimenti di questa marea che è la storia raccontata da 
Elias Khoury.



Venerdì 26 novembre 2004

Antonia Naïm, giornalista e critica cinematografica, in Pour La Palestine, 
rivista trimestrale della Association France Palestine Solidarité, 
http://www.france-palestine.org/article787.html n°43



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[1] Intervista con lo scrittore, L'Humanité, 28/03/2002
[2] Id., L'Humanité, 28/03/2002





Il regista





Yousry Nasrallah, nto nel 1952 al Cairo, studia Scienze economiche e 
politiche all'Università del Cairo e nel 1973 si iscrive alla Scuola 
superiore di cinema. Dal 1970 scrive per alcune riviste cinematografiche e 
per il quotidiano As-Safir di Beirut. In seguito lavora come aiuto regista 
per Volker Schlöndorff e Youssef Chahine (con cui scrive la sceneggiatura di 
Alessandria ancora e sempre). Nel 1988 scrive e dirige Sarikat Sayfeya, il 
suo primo lungometraggio. Presentato al festival di Cannes, da alcuni 
critici sarà considerato uno dei film che negli anni Ottanta hanno 
contribuito al rinnovamento del cinema egiziano. Successivamente, oltre a 
Marcides, Nasrallah realizza un documentario (Sobyan wa banat, 1995) e due 
lungometraggi di fiction: El medina (1995), scritto insieme a Claire Denis, 
e Bab el shams (La porta del Sole, 2004) tratto dall'omonimo romanzo di 
Elias Khoury.



Filmografia:

      1988
     Furti d'estate (Sarikat sayfeya)

      1993
     Mercedes (Marcides)

      1994
     Le figurant

      1994
     Une journee avec Youssef Chahine

      1995
     A proposito dei ragazzi, delle ragazze e del velo Sobyan wa banat

      1998
     La città (El Medina)

      2004
     La porta del sole Bab el shams

      2008
     Gnenet el Asmak

      2009
     Raccontami Shahrazad (Ehki ya Shahrazad)









Il romanzo

Una storia è tale quando se ne conosce la conclusione. E "solo le storie 
hanno un inizio, poiché nella vita il primo momento non esiste". Eppure non 
c'è storia che non sia piena di buchi, omissioni, non detti, reticenze, 
amnesie, rimozioni, semplici smagliature, apparenti contraddizioni. Il 
mestiere dello storyteller/narratore consiste proprio nel rimettere insieme, 
con gesti accurati e modesti, lembi scuciti, frammenti dispersi, dettagli a 
prima vista muti o insignificanti.

L'atto di narrazione-scrittura corrisponde, in altre parole, a far parlare 
il silenzio, colmare lacune, riavvicinare con mano ferma zone non più 
comunicanti, trame spezzate, linee interrotte, destini individuali smarriti 
nel labirinto geografico e temporale della grande storia, mantenendone la 
complessità e in qualche modo, paradossalmente, proprio l'incompletezza. 
Somiglia all'arte del restauratore, quella del narratore: il vuoto creato 
dal tempo nell'opera pittorica viene colmato da una tessitura paziente che 
permette di ricostituirne la continuità e dunque il senso. La scrittura 
interviene a ri-costruire dove c'è stata cancellazione, a raccordare dove 
c'è stata dispersione, a ricordare dove c'è stata negazione. Mai a giudicare 
o spiegare.

Lo prova, come pochi altri romanzi recenti hanno saputo fare con altrettanta 
febbrile determinazione, La porta del sole, del libanese Elias Khuri, 
giornalista, drammaturgo, romanziere e saggista, direttore del supplemento 
letterario del quotidiano di Beirut "al-Nahar", intellettuale impegnato. 
Oggetto di questo monumentale romanzo/saggio, che ha visto la luce nel 1998 
dopo una gestazione di sette anni ed è oggi disponibile nella splendida 
traduzione italiana di Elisabetta Bartuli nonché nella torrenziale versione 
cinematografica diretta dal cineasta egiziano Yousry Nasrallah, è la storia 
collettiva del popolo palestinese, a partire dalla Nakba, la catastrofe del 
1947-48, sino alla vigilia della seconda Intifada.

L'espediente narrativo scelto dall'autore per entrare nelle complesse 
vicissitudini storiche, politiche, sociali e umane dei palestinesi, un 
popolo da quasi sessant'anni costretto all'erranza, è la vocalizzazione per 
interposta persona della vicenda individuale di un combattente palestinese 
sigillato nel mutismo e nell'immobilità di un coma irreversibile. Ricoverato 
in un fatiscente ospedale del campo profughi di Shatíla più simile a un 
ospizio per vecchi che a un luogo di cura, Yúnis, leggendario eroe della 
resistenza palestinese, è accompagnato alla morte/liberazione dal 
quarantenne Khalíl, "medico provvisorio in un ospedale provvisorio in un 
paese provvisorio", che lo trattiene in vita accudendone il corpo come una 
madre farebbe con il figlio neonato e nutrendone lo spirito attraverso un 
monologo interiore pronunciato a voce alta, a tratti quasi urlato. Con 
tenera ostinazione Khalíl sfida il tempo sordo del coma attraverso un 
ininterrotto parlare che è insieme atto verbale e esercizio della memoria, 
ponendosi - inevitabile pensare alla Sheherazade delle Mille e una notte - 
come antagonista della morte, metafora evidente del silenzio e dell'oblio, 
della fine di tutto.

Per farlo, come sempre quando la voce narrante sceglie di porsi precisamente 
come "io", dunque con il carico della propria storia individuale e dei 
propri stratagemmi esistenziali, l'altro, l'interlocutore, va individuato 
con altrettanta limpidezza in un "tu" refrattario a fare da semplice 
specchio. Ed è lì, su quella resistenza del tu rappresentato da Yúnis, 
guerriero e figura paterna esemplare e tuttavia corpo che va ingloriosamente 
alla morte, che si stringe il complesso patto diegetico di questo romanzo 
della piena maturità narrativa di Elias Khuri. Finché c'è racconto, 
possibilità di racconto, sembra dire attraverso Khalíl l'autore, la storia 
non si pietrifica su se stessa e i morti, gli scomparsi, gli esclusi 
continuano a vivere accanto a noi, a chiedere redenzione.

Ecco allora che, nel romanzo, la coppia Yúnis/Khalíl si disgiunge 
duplicandosi nelle coppie Yúnis/Nahíla e Khalíl/Shams, protagoniste di due 
storie d'amore che la grande storia ha marchiato a fuoco, privandole della 
mitezza del quotidiano. Finita la guerra del 1947-48, Nahíla, andata sposa a 
quattordici anni, si ritrova cittadina israeliana in Galilea, mentre Yúnis, 
che ha scelto la via della resistenza armata, vive da rifugiato nel campo 
profughi di Shatíla in Libano. Il loro amore, da cui nasceranno sette figli, 
ha il furore della passione: rischiando ogni volta la vita, l'uomo 
attraversa clandestinamente la frontiera per incontrare la moglie nella 
grotta di Bàb al-shams, Porta del sole, in Galilea, terra bramata e persa, 
che fa tutt'uno con il corpo dell'amata, privato della quale un uomo muore.

Khalíl e Shams, che appartengono alla generazione successiva, sono nati e 
cresciuti nei campi profughi del Libano. Lui è un apprendista medico poco 
incline alla ragione delle armi, lei una fedayn che ha scelto la lotta 
armata anzitutto per affermare il proprio diritto alla libertà da un marito 
violento. Ardito ribaltamento di ruoli sessuali e sociali, di posizioni. Se 
Nahíla passa la vita ad aspettare il marito, ancorandolo attraverso il 
proprio corpo amante/materno alla terra di Palestina e confermandolo nella 
sua funzione di eroe e martire vivente, Shams si colloca piuttosto sul 
versante maschile, femminilizzando Khalíl, l'uomo che trattiene la morte con 
le parole, esperto di attese e abbandoni, il non guerriero che ha mutuato 
dalle donne l'arte duttile e dura della sopravvivenza, unica vera forma di 
resistenza.

Attorno a questi due nuclei centrali l'argomentazione monologante di Khalíl 
si apre a raccogliere e contenere una costellazione di storie secondarie, ma 
non minori, il racconto a più voci della terra di Palestina. Come se il vero 
protagonista di La porta del sole fosse un intero popolo deciso a 
raccontarsi da sé, mettendo al tempo stesso a tema la complessità dell'atto 
di narrazione - il rischio della retorica e dell'astrattezza ideologica, ma 
anche della semplice accumulazione e polverizzazione - e la potenziale 
inadeguatezza del linguaggio a tenere dietro a una storia che ha - come 
diceva Jean Genet - il "peso della realtà", la "pesantezza" aspra e 
bellissima dei "gesti concreti".

Nel romanzo di Khuri non c'è discorso sulla Palestina, bensì uno spazio che 
va colmandosi a poco a poco e mai in modo piano e lineare di racconti, 
esperienze, ricordi, della materia contraddittoria e intima delle storie 
personali, mai assolute, mai definitive, affidate come sono alle sabbie 
mobili dell'inconscio e dei suoi meccanismi. "Ogni volta che vi chiedo cos'è 
successo", scrive il narratore, e sembra di riascoltare l'Assia Djebar di 
L'amore, la guerra e il suo tentativo di raccogliere dalla voce delle donne 
la storia della guerra di liberazione algerina, "cominciate a mischiare i 
fatti senza alcuna logica, saltate da un mese all'altro e da un paese 
all'altro, come se il tempo si fosse fuso tra le pietre dei paesi distrutti. 
Mia nonna mi raccontava le storie come se le strappasse. Invece di metterle 
insieme, le faceva a pezzi, non ci ho mai capito niente. Non ho mai capito 
né come né perché il nostro paese è caduto".

Popolo "sospeso", né qui né là, perennemente altrove e in attesa, affidato 
alla memoria del corpo e della terra più che a qualsiasi dover essere 
politico, alla lettera "interrotto", i palestinesi narrati e narranti di La 
porta del sole, proprio perché concreti, locali, situati nella storia e nel 
paesaggio, si de-etnicizzano e diventano una metafora universale. E può 
capitare che una donna palestinese, Umm Hasan, levatrice nel campo di 
Shatíla, tornando in visita nel suo villaggio natale di Galilea, trovi ad 
accoglierla nella propria stessa casa un'ebrea di Beirut, come lei sradicata 
dalla sua terra, come lei divorata dalla nostalgia per il proprio paese. "Ti 
sto aspettando da un mucchio di tempo", la apostrofa in arabo l'ebrea che, 
nel trasferimento da Beirut alla Galilea, ha imparato l'ebraico, ma non ha 
dimenticato la lingua d'origine. E poi visitano insieme la casa. Umm Hasan 
vede il suo letto, il primo in cui ha dormito in vita sua. Oggi è l'ebrea a 
dormire "ogni notte con suo marito sullo stesso letto, nella stessa stanza, 
nella stessa casa, nello stesso paese". Eppure è Ella, l'ebrea, a 
disperarsi, scoprendo che Umm Hasan vive a Beirut, la città da cui è stata 
strappata bambina e che non ha mai smesso di rimpiangere: "Ascoltami, 
sorella, sono anch'io di Beirut... e mi sono ritrovata in questa landa 
desolata... Sono io che potrei mettermi a piangere. Va', sorella, va' via. 
Ridammi Beirut e prenditi tutta questa terra amputata".

La via alla riconciliazione tracciata da Khuri passa dal riconoscimento dei 
traumi subiti, i propri e quelli dell'altro. Negarli o rivendicare il 
primato della sofferenza è all'origine della guerra.

recensione de L'Indice





L'autore

Elias Khuri

Elias Khuri è nato nel 1948 a Beirut ed è una delle figure di spicco della 
letteratura araba contemporanea. Ha studiato storia e sociologia 
all'università libanese di Beirut e all'università di Parigi. Romanziere, 
drammaturgo, saggista e giornalista, oggi dirige il supplemento letterario 
del quotidiano an-Nahar, uno dei più importanti giornali libanesi. Elias 
Khuri è attualmente visiting professor presso la Columbia University (New 
York), oltre che docente di Letteratura araba all'American University di 
Beirut. Ha pubblicato numerosi romanzi, tradotti in varie lingue, 
sceneggiature teatrali ed alcuni volumi di critica letteraria. Il suo 
romanzo Bab al-shams (La porta del sole), che narra la storia del popolo 
palestinese, ha ottenuto il massimo premio letterario palestinese, ed è 
stato tradotto in francese, in ebraico, in inglese e in italiano.





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