[Redditolavoro] 6 maggio bari per avni er
procomta
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Sat May 1 07:43:22 CEST 2010
Fonte: Osservatorio Balcani e Caucaso
Il giorno di Avni
Alberto Tetta | Istanbul
29 aprile 2010
Il 6 maggio il Tribunale di Bari deciderà
sulla richiesta di asilo politico presentata da
Avni Er, giornalista e oppositore politico
turco. Le nostre interviste sulla vicenda al
collegio di difesa in Italia e alle
organizzazioni per i diritti umani in Turchia.
Lo spettro della tortura
Avni Er, giornalista e militante marxista turco, è
stato arrestato nel 2004 a Perugia nell'ambito di
un operazione di polizia coordinata a livello
europeo contro il DHKP-C (Partito
Rivoluzionario per la Liberazione del Popolo-Fronte).
Condannato per associazione eversiva, ha scontato sei anni di carcere in
Italia. Dopo la sua
liberazione è stato trasferito al CIE (Centro di Identificazione ed
Espulsione) di Bari. La Turchia ne
ha chiesto l'estradizione e Avni Er ora rischia l'espulsione. Secondo i suoi
legali e Amnesty
International, il giornalista rischia di essere processato di nuovo in
Turchia per gli stessi reati per
cui è stato in carcere in Italia, e potrebbe essere torturato. Amnesty
chiede quindi che gli venga
concesso l'asilo politico in Italia.
E' il primo aprile del 2004. In Turchia, Germania, Belgio, Olanda e Italia
scattano le manette per
151 persone accusate di fare parte del DHKP-C, partito che l'Unione Europea
ha inserito nella lista
delle organizzazioni terroristiche stilata dopo l'11 settembre. Tra loro
anche Avni Er che, sebbene
non abbia mai commesso alcun atto di violenza, viene condannato dalla Corte
d'Assise di Perugia a
7 anni di carcere perché membro di una organizzazione eversiva. Grazie a uno
sconto di pena per
buona condotta è uscito dal carcere il 19 febbraio 2010, dopo poco meno di
sei anni, ed è subito
iniziata la procedura di espulsione come previsto dalla legge per i
cittadini stranieri condannati per
questo tipo di reati. Avni Er è stato quindi trasferito al CIE di Bari in
attesa del pronunciamento
della Commissione Territoriale per il Diritto di Asilo rispetto alla domanda
che aveva presentato nel
2009.
L'avvocato di Avni Er, Flavio Rossi Albertini, ha spiegato ad Osservatorio
Balcani e Caucaso
perché secondo lui Er non può essere espulso: "Abbiamo evidenziato almeno
due profili di
inespellibilità. Il primo è legato ad ulteriori procedimenti penali che sono
pendenti in Turchia per lo
stesso reato per il quale Avni è già stato condannato in Italia. Abbiamo
richiamato quello che è
ormai un principio del diritto internazionale accettato dai tutti i Paesi
dell'Unione Europea: non si
può processare una persona due volte per lo stesso reato. Questo principio,
il ne bis in idem, non è
però applicato in Turchia, dove abbiamo notizia di almeno altri tre
provvedimenti a carico di Avni.
Inoltre c'è il rischio che Er venga sottoposto a tortura o a trattamenti
inumani e degradanti. A dirlo
non siamo solo noi della difesa, in questo senso si è espressa anche Amnesty
International che ha
inviato un appello sia al ministro della Giustizia che al Ministro degli
Interni."
Oltre ad Amnesty International hanno preso posizione a favore di Avni Er,
sottoscrivendo un
appello contro la sua espulsione in Turchia, anche l'ARCI nazionale il
Consiglio Italiano per i
Rifugiati, di cui fanno parte anche CGIL, CISL e UIL, LIBERA, l'eurodeputato
dell'Italia dei
Valori Gianni Vattimo e il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola che
ha incontrato Avni
Er il 20 aprile dopo averlo già visitato al CIE di Bari il mese scorso.
La Commissione Territoriale per il Diritto di Asilo di Bari, però, il 31
marzo ha respinto la
domanda di asilo di Avni Er affermando nelle motivazioni della sentenza come
in Turchia sia
applicata "una politica di tolleranza zero nei confronti delle pratiche di
tortura, che ha portato ad un
rafforzamento delle garanzie di contrasto al fenomeno", una valutazione ben
diversa rispetto alle
prese di posizione di Amnesty International degli scorsi mesi. E forse anche
da quella del Tribunale
di Bari che, accettando il ricorso dei legali di Er, l'8 aprile ha sospeso
la decisione della
Commissione Territoriale fissando il ricorso per il 6 maggio.
Anche secondo Ebru Timtik, avvocato dell'Ufficio Legale Popolare di
Istanbul, la tortura in
Turchia non è un lontano ricordo, ma una pratica tuttora diffusa e coperta a
livello istituzionale,
anche se esistono leggi per limitarla. Emblematico in questo senso, secondo
Timtik, il caso di Engin
Çeber: "In Turchia non solo si usa la tortura, ma lo si fa anche in maniera
sistematica. Stiamo
seguendo ad esempio il caso di Engin Çeber, un attivista che è stato
arrestato nel 2008 mentre
vendeva un giornale di sinistra durante una manifestazione. La polizia ha
cominciato a picchiarlo in
strada, la violenza è continuata nella stazione di polizia, prima che Çeber
fosse messo in stato di
fermo per manifestazione non autorizzata. Un medico civile lo ha visitato
affermando che Çeber era
in cattive condizioni di salute, ma è stato comunque portato in carcere. Lì
il medico che lo ha
visitato ha dato il suo parere favorevole all'incarcerazione preventiva, e
in cella sono continuate le
botte." Engin Çeber è morto, e il 14 aprile scorso si è tenuta l'ultima
udienza del processo ai 19
agenti della polizia accusati di 'eccesso nell'uso della forza' che avrebbe
causato la morte del
detenuto. Secondo la Timtik, tuttavia, "è chiaro che il processo è stato
aperto solo perché Çeber è
morto e, come sempre accade, i giudici difendono a priori l'azione delle
guardie carcerarie,
nonostante in questo caso ci sia anche un video che prova le violenze."
Secondo la Fondazione Turca per i Diritti Umani, nei primi tre mesi del 2010
dodici persone sono
morte in maniera sospetta in carcere, nelle stazioni di polizia o in seguito
ad "esecuzioni
extragiudiziarie". La presidente dell'associazione, Sebnem Korur Fincanci,
ha dichiarato a
commento di questi dati: "E' vergognoso che in un Paese che si pone grandi
obiettivi, come
l'adesione all'Unione Europea, per la strada, durante il controllo dei
documenti, nelle stazioni di
polizia o nelle carceri ci siano ancora casi di violenza mortale che
nell'ultimo periodo si stanno
persino intensificando. Prima di tutto la politica, quindi la società nel
suo insieme, si devono
impegnare affinché ci possiamo liberare da questa vergogna."
Sul caso di Avni Er è intervenuto anche il sottosegretario agli Interni
Alfredo Mantovano che, in
una intervista rilasciata a Il Giornale il 12 aprile, ha dichiarato che la
decisione del Tribunale di Bari
che ha sospeso la sentenza della Commissione per il Diritto d'Asilo
sarebbe "frutto di un'ostilità nei
confronti della politica praticata dal governo sull'immigrazione ed il
contrasto dei clandestini. Si
tratta di un vero e proprio boicottaggio attivo da parte di alcuni
magistrati".
Secondo l'avvocato Rossi Albertini, tuttavia, "questa non è la prima volta
che il governo italiano
cerca di influenzare la decisione di un tribunale che sta valutando una
domanda di asilo politico. Più
volte le prese di posizione della Corte Europea per i Diritti Umani di
Strasburgo sono state
disattese. L'ultima condanna europea è di qualche giorno fa, il governo
italiano ha rinviato un
cittadino nord africano residente in Italia in Tunisia, nonostante vi fosse
un provvedimento di
Strasburgo che ne impediva l'espulsione. Dal 2005 ci sono stati altri cinque
casi simili a questo."
Il 6 maggio, per Avni Er, sarà il giorno della verità. Il Tribunale di Bari
potrebbe rinviarlo in
Turchia dove probabilmente sarà processato per crimini per cui ha già
scontato la sua pena in Italia,
oppure concedergli l'asilo politico. In questo caso, dopo sei anni di
carcere, il giornalista turco
potrebbe finalmente chiudere i conti con il suo passato e tornare libero.
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