[Redditolavoro] testo costituzione area politica "resistenze sociali"

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Fri Mar 26 08:44:17 CET 2010


La libertà è sempre soltanto
la libertà di chi la pensa diversamente;
non per fanatismo della giustizia,
ma perché tutto quanto vi è  
nella libertà politica
dipende da questo principio
e perde la sua efficacia
quando la libertà diventa privilegio.
(Rosa Luxemburg, 1918)
 
AREA POLITICA “RESISTENZE SOCIALI”
Care compagne, cari compagni
Vi inviamo in allegato il documento costitutivo dell’Area politica Resistenze Sociali, chiedendovi cortesemente di pubblicarlo. 
Si tratta di un contributo alla riflessione di tutta la sinistra di classe, discusso e prodotto da parte dei compagni e compagne che animarono il documento alternativo al recente congresso nazionale di Sinistra Critica; con questo testo, inoltre, viene formalizzata all’interno di Sinistra Critica, ed esplicitata pubblicamente, la posizione di dissenso  assunta nei confronti delle scelte recenti di SC, da parte di coloro che sottoscrivono il testo
 La posizione che illustriamo  resta aperta, oltre che ad ulteriori adesioni, soprattutto al confronto leale, alla costruzione di pratiche comuni, all’approfondimento dei temi sollevati; in questo senso, ci piace sperare che essa possa rappresentare un utile  stimolo alla discussione sia, naturalmente, all’interno di Sinistra Critica, che nel più vasto campo della sinistra anticapitalista.
                                        Le compagne ed i compagni di Resistenze Sociali- Sinistra  Critica
info e contatti e mail resistenzesociali at gmail.com
 
RESISTENZE SOCIALI
Per la costituzione di un’area politica all’interno di Sinistra Critica
Perché un’area politica interna a Sinistra Critica?
E’ costituita a Roma nel mese di Marzo del 2010 l’area politica Resistenze Sociali (RS), interna a Sinistra Critica -Organizzazione per la Sinistra Anticapitalista-.
Nelle intenzioni delle compagne e compagni che la promuovono, tale area si pone in continuità politica con il documento alternativo presentato alla II Conferenza Nazionale di Sinistra Critica (SC) del Novembre 2009, ma si rivolge senza preclusioni a tutti i compagni e le compagne di SC.
Con la costituzione di un’area politica si intende proporre la propria riflessione come contributo all’iniziativa politica e sociale di un campo di forze anche più ampio della sola SC, esplicitando lealmente le ragioni del proprio dissenso rispetto alle scelte recenti compiute da quest’ultima. La scelta in questione si rende necessaria perché, a giudizio delle compagne e compagni che hanno sin qui animato un percorso di discussione successivo alla Conferenza Nazionale, quest’ultima si è chiusa in maniera insoddisfacente, lasciando aperte gran parte delle questioni che là si erano discusse; inoltre, gli orientamenti manifestati all’indomani del congresso sembrano sostanzialmente eludere questioni nuove e gravi, emerse negli ultimi mesi. In particolare, nelle scelte politiche sin qui adottate dalla direzione politica di SC, non appare il convincimento che nella drammatica fase attuale, caratterizzata da una crisi economica devastante e da una crisi politica e democratica assai pericolosa, sia necessario mettere in campo politiche di ricomposizione, di blocco e di fronte unico, come si dovrebbe rispetto ai forti rischi di derive autoritarie di tipo razzista, populista e fascisteggiante. La questione democratica, pur essendosi negli ultimi mesi manifestata in tutta la sua gravità, sembra, infatti, essere ampiamente sottovalutata dalla direzione politica di SC, tanto che si è arrivati persino a sostenere una sorta di equidistanza sul piano elettorale tra lo schieramento democratico e la destra reazionaria. 
Per quanto sin qui esposto, proponiamo a tutta SC, e non solo ad essa, di assumere l’elemento della democrazia e della resistenza antifascista e antirazzista come centrale.
Quello del governo Berlusconi, e più in generale del suo blocco di potere, seppur non esente da contraddizioni e lacerazioni possibili, ci sembra essere un progetto organico che, infatti, prevede lo stravolgimento della divisione tra i poteri formali dello Stato in senso populista ed autoritario, l’ulteriore attacco alla libertà di stampa, il massacro sociale dei lavoratori e delle lavoratrici, dei precari, dei disoccupati, e in modo particolare dei migranti. In questo momento storico, gli attacchi ai contrappesi formali della democrazia e alla Costituzione repubblicana sono indicatori di questo progetto eversivo e reazionario, e l’assenza di un processo ricompositivo a sinistra in grado di contrastare socialmente, politicamente ed anche elettoralmente l’avanzata delle destre costituisce un’ulteriore debolezza. L’offensiva di tipo razzista, le condizioni di sfruttamento dei migranti e delle seconde generazioni, sono indicative, a nostro avviso, di come la questione democratica e dei diritti non possa essere slegata dalla ripresa del conflitto di classe. 
Infine, l’area politica RS ritiene decisivo l’intreccio tra linea politica, profilo programmatico e pratiche sociali, nella convinzione profonda che sia indispensabile sperimentare di nuovo la militanza politica nella concretezza del rapporto di classe attraverso percorsi di pratica sociale e conflittuale, di mutualismo dal basso, di solidarietà tra la classe lavoratrice, di resistenza alla crisi.
Chi siamo
I compagni e le compagne che promuovono la costituzione di RS provengono da diverse esperienze politiche, le quali hanno, tuttavia, la radice comune dell’anticapitalismo. RS è pertanto innanzitutto anticapitalista. In secondo luogo, i compagni e le compagne di RS credono che la libertà politica sia il fondamento determinante della dialettica delle forze della sinistra anticapitalista. Pertanto RS è inequivocabilmente libertaria, dialettica, antiburocratica e antiautoritaria. In terzo luogo, i compagni e le compagne di RS ritengono necessaria e urgente la ricomposizione della classe lavoratrice, l’unità della classe sfruttata contro ogni forma di sfruttamento. Nel contempo, il settarismo rappresenta il limite e il vizio più diffuso delle forze della sinistra anticapitalista. RS lavora per eliminare le deviazioni settarie e autoreferenziali della sinistra anticapitalista.  Dunque, RS è un’area politica unitaria e antisettaria. 
RS ritiene che l’attuale debolezza sia innanzitutto il risultato delle scelte scellerate e governiste delle burocrazie dei partiti comunisti e della sinistra. RS si pone, inevitabilmente, per l’alternativa intransigente al social-liberalismo e al riformismo del centrosinistra. Al tempo stesso, l’avanzata delle forze politiche più retrive e reazionarie ha posto, attraverso l’egemonia populista, intrisa di razzismo e xenofobia, la questione complessa della necessaria sconfitta delle destre. RS si colloca in contrapposizione netta alle destre reazionarie e populiste e pone tutte le resistenze sociali, antipadronali, antirazziste e antifasciste, al centro della sua battaglia politica più immediata. Per queste ragioni, RS intende contribuire alla costituzione di una alleanza di tutta la sinistra alternativa al centrosinistra e contrapposta alle destre.
RS condivide gli obiettivi strategici di SC, ma valuta negativamente le modalità concrete e le scelte politiche che sono state compiute. L’autoreferenzialità e la natura settaria della pratica politica di SC compromettono in modo dirimente l’obiettivo comune della costruzione di una forte e ampia Sinistra Anticapitalista. Per tale ragione, nel testo di costituzione dell’area vengono richiamate solo le questioni in cui maggiormente si è nutrita una distinzione netta con le posizioni politiche prevalenti all’interno di SC; vengono, conseguentemente, trascurate quelle visioni che si hanno in comune. 
Crisi del capitalismo e critica dell’economia politica
Viene più volte richiamato che siamo di fronte ad una situazione internazionale contrassegnata da una combinazione senza precedenti di una crisi economica globale e una crisi ecologica planetaria. La crisi si manifesta attraverso la distruzione reale di capitale, l’eccesso di capacità produttiva, la centralizzazione del capitale, espressione di nuove megafusioni, e la repulsione della classe lavoratrice, attraverso licenziamenti e deflazione salariale. La crisi elimina i già ristretti margini del riformismo e manifesta la crudele realtà del capitalismo. Non esiste nessun capitalismo dal volto umano. Questo è il volto reale di quella razza di padrone di Marchionne! 
Per tentare di limitare il tracollo dei profitti e una serie di fallimenti il capitalismo non esita nemmeno ad invocare l’intervento dello stato. E’ il ritorno di quello che Mandel chiama il capitalismo statalista: il capitalismo nasce protezionista, trionfa nel libero scambio, muore statalista.  Il ritorno dell’intervento statale coincide con il ritorno dell’ideologia keynesiana, che era passata ampiamente di moda. Economisti neokeynesiani, da Blanchard a Krugman,  compiono un coraggioso mea-culpa sulla politica monetaria, ovvero invocano un impressionante ricorso allo stimolo fiscale per uscire dalla depressione; i keynesiani più fedeli risaltano l’intrinseca instabilità finanziaria del capitalismo. Per la verità, finora c’è solo stata una gigantesca trasformazione di debito privato in debito pubblico, e i keynesiani più puri sono rimasti nel ghetto della teoria, dal momento che non c’è stata traccia né di rilevanti investimenti pubblici né di reale redistribuzione del reddito. Ad ogni modo, tutte le ideologie di derivazione keynesiana dimenticano che la crisi non corrisponde solo ad una ovvia mancanza di domanda, ma è soprattutto una incapacità di mantenere le condizioni reali di profittabilità del capitale. 
Nel contesto dei rapporti capitalistici di produzione, ogni politica redistributiva incontra prima o poi dei limiti insormontabili: essa può infatti essere posta in atto solo fintantoché non intacchi in modo determinante la profittabilità del capitale, che sicuramente non si verifica in tempi di stagnazione e depressione.  Le rivendicazioni sociali servono allora innanzitutto per innescare una dinamica conflittuale anticapitalista, altrimenti risultano impraticabili, transitorie e accidentali. La caduta tendenziale del saggio di profitto, nonostante le tendenze antagoniste in funzione, è l’elemento scatenante della concorrenza tra capitali. 
Scrive Marx che gli economisti si concentrano sul ruolo che la concorrenza ha nel diminuire il saggio di profitto e dimenticano principalmente il ruolo inverso che la caduta del saggio di profitto gioca nell’incrementare la libera concorrenza e la sovraccumulazione continua di capitale. Chi dimentica questo fatica ad individuare un lato fondamentale della contraddizione del capitale e a porre la necessità della crisi, se non ricorrendo ad ipotesi estreme sulla instabilità finanziaria dovuta alla speculazione monetaria o alla avida mancanza di etica nella finanza. 
Una strategia internazionalista
La crisi del capitalismo si manifesta, tuttavia, di fronte ad una mancanza di una coscienza di classe. Nessuna crisi capitalistica ha mai visto una così ampia distanza tra le cosiddette condizioni oggettive, create dal capitale, e le condizioni soggettive della classe sfruttata e delle forze politiche della sinistra anticapitalista. Nonostante il capitalismo appaia incapace di gestire l’allocazione delle risorse, la questione ambientale, la risoluzione dei conflitti, esso rimane l’unica forma di società possibile e credibile per la stragrande maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici. La classe lavoratrice si mostra perlopiù divisa, frammentata e incapace di reagire. Frammentata dal punto di vista etnico, di nazionalità, di genere e persino generazionale. Le politiche adottate dal capitale su scala internazionale e a livello nazionale, hanno perseguito tenacemente quest’obiettivo di divisione della classe sul piano economico, sociale e culturale esercitando complessivamente un dominio ideologico costante e pervasivo. Oggi le resistenze sociali continuano a crescere su scala planetaria rimanendo comunque sulla difensiva. Le lotte sociali, per il momento, non sono state sufficienti per bloccare o invertire la tendenza profonda dell’offensiva capitalista e degli effetti della crisi. In questo quadro, in assenza di una forte sinistra anticapitalista, possono rafforzarsi tendenze reazionarie, xenofobe e razziste. La strategia internazionalista, femminista ed ecologista corrisponde alla finalità condivisa all’interno di SC. 
L’internazionalismo conseguente deve necessariamente porre la questione di un ambito internazionale. Ma per ragioni storiche che essa stessa ha analizzato la IV Internazionale non ha la legittimità per incarnare direttamente la nuova internazionale di cui c’è bisogno. Una politica di ricomposizione su scala internazionale richiede di mettere da parte le distinzioni sulle provenienze storiche di ciascuno e sulle differenti prospettive rivoluzionarie; si richiede, al contrario, di unirsi nel comune obiettivo dell’abbattimento del capitalismo. Si tratta di fare un passo in avanti nella ricomposizione di forze anticapitaliste, di avanzare una convergenza nel segno dell’unità dell’anticapitalismo. 
A tale proposito, ci convince poco l’idea di SC di essere un’organizzazione legata da una relazione di solidarietà politica con la IV Internazionale, perché la solidarietà politica si deve porre nei confronti di tutte le strategie internazionaliste, anticapitaliste e di classe, senza esclusioni o marginalizzazioni. Noi avremmo preferito una formula meno escludente. Così all’interno di SC si è venuta a manifestare una restrizione importante del pluralismo interno a livello politico-organizzativo.  Inoltre, una tale posizione politica di relazione preferenziale ha finito con l’ingannare, colpevolmente, le numerose compagne e compagni che si erano con entusiasmo avvicinate a SC pur non facendo parte di quella tradizione storica. Questo vale sia nel riconoscimento dovuto che la IV Internazionale ha mantenuto, in ristretta compagnia, un profilo internazionalista coerente e aperto, sia nella considerazione che la IV Internazionale resta insufficiente e che occorre lavorare per un suo superamento nel segno di una molto più ampia Internazionale anticapitalista. L’Internazionale dell’Anticapitalismo: è da questo punto di vista che si nutre un bisogno immediato di ricomposizione e ricostruzione su scala internazionale.
Unità e radicalità:  tra ricomposizione e ricostruzione
La possibilità di una ampia e forte sinistra anticapitalista si configura nell’ambito del complesso binomio di ricomposizione e ricostruzione. In Italia, allo stato attuale delle forze della sinistra anticapitalista ogni ricomposizione risulta insufficiente senza una vera e propria ricostruzione. Essa può svilupparsi nella sperimentazione e ricerca concreta di pratiche ed interventi sociali utili, nei diversi contesti, a trovare soluzioni e risposte ai bisogni emergenti. Al tempo stesso, di fronte all’avanzata della crisi e dei suoi effetti, una prospettiva di ricostruzione che non opera nessuna forma di ricomposizione politica rischia di essere condannata all’isolamento e all’autoreferenzialità. La crisi ha messo in evidenza il fallimento dell’ideologia neoliberista. Inoltre, i margini delle manovre delle burocrazie riformiste si sono considerevolmente ridotti. Dal riformismo senza riforme al riformismo delle controriforme la socialdemocrazia ha conosciuto un’involuzione verso il social-liberalismo abbracciando definitivamente l’ideologia neoliberale. La restrizione degli spazi di redistribuzione sociale ha posto il riformismo di sinistra e l’antiliberismo su un piano di convergenza con le forze anticapitaliste. 
Assistiamo ad una espulsione continua dei socialdemocratici coerenti e antiliberisti dalle forze egemoni del riformismo. La necessità di una resistenza sociale e politica contro la crisi implica inevitabilmente una convergenza, una alleanza, un fronte unitario tra le forze della sinistra anticapitalista e rivoluzionaria e le forze della sinistra antiliberista e riformista in senso classico. Per questo affermiamo che gli effetti della crisi comportano persino la necessità di una ricomposizione di tutta la sinistra, anticapitalista e antiliberista. Una sorta di anno zero, di ritorno alle origini del movimento operaio e socialista, prima delle tante divisioni che hanno contrassegnato la storia politica dell’intera sinistra.
Per le forze della sinistra anticapitalista ci si trova di fronte ad una sorta di doppio livello. Da un lato la necessità di sviluppare una Internazionale Anticapitalista, dall’altro lato la capacità di costituire una alleanza ampia in grado di unire dai riformisti di sinistra a tutte le variegate tendenze anticapitaliste di classe. In Europa, la costruzione della Sinistra Anticapitalista Europea non è incompatibile con la convergenza nella Sinistra Europea. Le forme di questa alleanza dipendono chiaramente dalla forza attuale della Sinistra Anticapitalista. In Italia, come in Germania, è più probabile che essa assuma dapprincipio la forma di una ricomposizione unitaria dove siano ancora minoritarie le forze rivoluzionarie. Il costo di persistenti ambiguità e contraddizioni non elimina comunque il beneficio di una ricomposizione dell’alternativa di sinistra. Questo è avvenuto in Germania; questo auspichiamo, in prima battuta, anche per l’Italia. In altri contesti, come in Francia e in Portogallo, esiste, invece, la possibilità per la sinistra anticapitalista di giocare immediatamente un ruolo egemonico nella costruzione di un fronte unitario della sinistra. Aldilà delle forme, resta la sostanza di una radicalità che si muove all’interno dell’unità, di una ricostruzione che si gioca a partire dalla ricomposizione, e viceversa. Difatti, la ricomposizione della sinistra può avvenire solo se si pone strategicamente in alternativa al social-liberalismo e al riformismo del centro-sinistra. Affinché ciò sia possibile occorre un programma minimo di classe in grado di rappresentare tutta la classe lavoratrice colpita dagli effetti della crisi, di rimuovere ogni tentazione autoreferenziale, di parlare il linguaggio della materialità dei bisogni e non quello dell’idealismo di una teoria pura e astratta, di produrre convergenze piuttosto che divisioni.
Riteniamo che nella fase attuale occorra, per la sinistra, recuperare una piattaforma di obiettivi immediati e comprensibili di lotta. In particolare, è sulla credibilità che si gioca la capacità concreta della sinistra di tornare a rivestire un ruolo di primo piano. Credibilità della sinistra rispetto alla classe implica un duplice cambiamento di iniziativa politica: da un lato la credibilità impone una capacità di identificazione in una comune condizione di lotta, in una comune solidarietà di classe; dall’altro lato occorre contribuire ad eliminare ogni filtro burocratico intermedio tra la classe lavoratrice e la rappresentanza politica. Pertanto, mutualismo e autorganizzazione sono i due connotati principali a fondamento di un recupero della credibilità della sinistra in generale. Noi pensiamo, tuttavia, che SC abbia intenzionalmente trascurato l’importanza della solidarietà di classe, in termini di forme di mutualismo, cassa di resistenza,  gruppi di acquisto popolare, ecc. RS, al contrario, ritiene che occorra immediatamente investire di più su questo terreno.
Analogo discorso deve farsi per la linea sindacale: riteniamo, su questo terreno, che non sia possibile, soprattutto in questa fase di crisi, ricondurre l’intervento sulle complesse vicende del lavoro, del salario e dei diritti, alla mera indicazione di quale sia il percorso sindacale da intraprendere per le compagne e i compagni di SC; non è cioè possibile risolvere questa complessità semplicemente con la doppia indicazione dell’iscrizione alla CGIL,  nella sua sinistra sindacale, o indicando come sbocco la riunificazione del sindacalismo di base e autorganizzato.  Rimane centrale, comunque, l’analisi delle diverse strutture organizzative e del ruolo di auto-conservazione degli apparati come elemento di restringimento o privazione delle pratiche democratiche nei processi decisionali. Piuttosto, ci pare che la nostra azione debba mettere a tema la  ricomposizione delle pratiche conflittuali e di classe, a prescindere dall’iscrizione al sindacato e senza  sostituirsi all’azione svolta, nel bene e nel male, dalle varie organizzazioni sindacali, sostenendo la convergenza  su obiettivi e pratiche comuni, sul terreno della lotta e dell’unità d’azione. All’interno di SC la questione dei rapporti di classe e di lavoro non viene, a nostro avviso, sviluppata in modo adeguato. RS, di fronte all’offensiva razzista e securitaria e, parallelamente, al continuo logoramento delle condizioni di vita, intende promuovere iniziative politiche e sociali volte alla comprensione e alla lotta contro quello che riteniamo essere uno stretto legame tra la privazione dei diritti sociali e civili per milioni di lavoratori e lavoratrici migranti e l’aumento vertiginoso dei livelli di sfruttamento; si tratta, in altre parole, della questione non più rinviabile di un’analisi approfondita della attuale composizione di classe e dei processi reali di accumulazione capitalistica.
La critica a Sinistra Critica
Alla luce di quanto sottolineato, la critica principale che RS muove alla direzione politica di SC non risiede nella comune prospettiva strategica della costruzione di una ampia Sinistra Anticapitalista, quanto piuttosto nell’iniziativa politica messa in atto per raggiungere tale obiettivo. A questo proposito, RS non solo non condivide le proposte politiche di SC, ma addirittura considera la sua pratica politica fortemente contrassegnata dall’autoreferenzialità, con il risultato di un inevitabile isolamento e di un diffuso settarismo.
SC nasce sulla base dell’elaborazione politica del documento di minoranza del VI Congresso di Rifondazione Comunista (PRC). Quel documento rappresentava la possibilità di un’altra rifondazione rispetto a quella che si accingeva ad andare al governo col centrosinistra, e si ammoniva tale scelta governista come un errore madornale che avrebbe prodotto un disastro per la sinistra, che purtroppo si sarebbe puntualmente verificato. Molti compagni e compagne condivisero quella analisi e quel profondo dissenso verso una burocrazia di partito irresponsabile, per cui la scelta di dare vita a SC, come area programmatica del PRC, risultò del tutto fisiologica. La caratteristica principale di quella esperienza fu la collaborazione tra compagni e compagne provenienti da sensibilità politiche molto diverse, ma accomunate dalla volontà di difendere ostinatamente la rifondazione di Genova e dei movimenti sociali, l’esperienza indimenticabile di rinvigorimento delle lotte del biennio 2001-2003, verso le quali il PRC aveva investito in modo significativo. La stagione deleteria del governo Prodi confermò le preoccupazioni di SC e il voto del PRC a favore della politica estera bellicista di D’Alema costituì il punto culminante di rottura. L’espulsione di Turigliatto rappresentò al tempo stesso il punto più alto di sostegno e condivisione da parte dei compagni e delle compagne verso SC e la rottura definitiva dei rapporti stessi tra il PRC e SC. La straordinaria capacità di SC fu quella, a nostro avviso, di porsi in modo coerente a difesa delle posizioni storiche del PRC, contro la guerra e contro i nuovi accordi di Luglio, vergognosamente approvati dal PRC stesso dopo una straordinaria giornata di manifestazione e di lotta, senza per questo sfociare in una caratterizzazione priva di dialettica con tutti i compagni e le compagne di Rifondazione.  Una posizione coerente e priva di settarismo che trovò un forte sostegno e un grande entusiasmo, nonostante la drammaticità delle scelte politiche. Come compagni e compagne di SC avremmo volentieri auspicato il verificarsi di un nuovo congresso del PRC, non solo per sancire in modo ancora più trasparente l’inevitabile frattura, ma anche per sviluppare in pieno quelle contraddizioni che noi ritenevamo ancora largamente presenti all’interno del partito stesso. Alla faccia della cosiddetta democrazia partecipativa, l’involuzione del partito era indubbiamente anche il frutto di una vera e propria usurpazione del vertice e della burocrazia nei confronti delle compagne e dei compagni. Tuttavia, il differimento del congresso e la costituzione della Sinistra Arcobaleno resero certamente inevitabile la fuoriuscita di SC dal partito. Alla stessa stregua, le elezioni politiche del 2008 vanno inserite in questo contesto e la scelta di SC di contrapporsi alla Sinistra Arcobaleno risultò necessaria, ma anche positiva e incoraggiante.
Le differenze di analisi e di valutazione all’interno di SC si possono far cominciare all’indomani del congresso di Chianciano del PRC, che vede, inaspettatamente, la sconfitta di Vendola e del bertinottismo. Ciò, per la verità, confermava la nostra valutazione, secondo la quale ancora enormi contraddizioni persistevano all’interno del PRC. Nonostante le rilevanti ambiguità che caratterizzarono quella resistenza interna al PRC, nei confronti di una sua totale dissoluzione, a nostro avviso, non era possibile non considerare quella nuova capacità di arrestare un processo che avrebbe condotto invece ad una subordinazione definitiva al Partito Democratico (PD). Da quel momento, si sarebbe dovuto chiaramente aprire un nuovo processo dialettico di ricomposizione, che tuttavia la direzione di SC rifiutò in modo netto, rinunciando al suo pregevole approccio critico e antisettario, e arrivando così a distruggere, colpevolmente, molte delle numerose simpatie che si era precedentemente conquistata.  
Oggi, la costituzione della Federazione della Sinistra (FdS) ha un connotato estremamente differente da quello precedente della Sinistra Arcobaleno, ovvero quello attuale di Sinistra Ecologia Libertà (SEL). Il progetto politico di SEL pur in autonomia dal PD ne risulta totalmente dipendente e subordinato;  diversamente, la FdS evidenzia la sua indipendenza politica dal PD, ma non presenta un profilo strategicamente alternativo; la nostra idea di sinistra è, altresì, chiaramente e strutturalmente in alternativa al PD. Queste sono le differenze che, al momento, interessano il campo della sinistra e che RS intende affrontare senza pregiudiziali, ma in modo coerente. 
Resta, infatti, saldamente fermo un punto: ogni aggregazione a sinistra, per quanto necessaria, può avere efficacia solo se si muove in alternativa al social-liberalismo, altrimenti è destinata alla sconfitta; si pensi alla emblematica parabola storica di Izquierda Unida in Spagna. La FdS mantiene, conseguentemente, ancora notevoli ambiguità nei confronti del PD, come dimostra la vicenda delle elezioni regionali, e sembra non comprendere appieno la necessità dell’innovazione come elemento primordiale per il recupero della credibilità perduta. Tuttavia, convergenze ed alleanze elettorali sarebbero certamente auspicabili al fine di evitare dannosi, e persino ridicoli, frazionamenti della sinistra. A nostro avviso, SC si è resa complice e parimenti responsabile di una inutile frammentazione politica della sinistra proprio nel momento della necessità di un fronte unitario contro la crisi. Auspicare il big bang della sinistra è, secondo noi, comunque irresponsabile; non vale, cioè, il ragionamento per cui se tutto si distrugge, tanto peggio tanto meglio, si ricostruisce a partire da zero. 
Le differenze politiche tra RS e le posizioni prevalenti in SC possono essere così riassunte: i) RS ritiene necessaria una alleanza della sinistra in alternativa al centrosinistra e contrapposta alle destre; ii) RS avverte la necessità per la sinistra di una mobilitazione forte, anche referendaria, per il cambiamento della legge elettorale in senso proporzionale; iii) RS ritiene che la contrapposizione alle destre implichi, in presenza di una legge elettorale di tipo maggioritario, la necessità di ricorrere ad accorgimenti tattici ed elettorali per sconfiggere il blocco del berlusconismo e della Lega Nord; iv) RS lavora per la ricomposizione della sinistra anticapitalista e antiliberista, persino in un unico soggetto politico quando vi saranno le adeguate condizioni politiche.
Dall’anticapitalismo al socialismo del XXI secolo
Differentemente da tutte le definizioni in negativo, l’espressione dell’anticapitalismo ha un impatto rilevante e significativo, essendo contrapposta all’entità più concreta e materiale che la società attuale e storicamente determinata conosce, il capitale. Ciò nonostante, l’anticapitalismo rimane, come tutte le caratterizzazioni in negativo, un’espressione politica di antagonismo e nulla più. Noi reputiamo che sia importante l’idea di una prospettiva del socialismo del XXI secolo. Riteniamo che il socialismo debba partire da quella considerazione che Marx pose nel Manifesto del partito comunista: una società nella quale la produzione si concentra in mano agli individui associati, nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti. Non è questa la sede per affrontare un compito così immenso, ma RS crede fermamente nella necessità di andare oltre l’anticapitalismo. E’ necessario arricchirsi di contributi teorici anche differenti tra loro e senza compiere nessuna ingiusta sottovalutazione; approfondire, per esempio, le questioni  e le contraddizioni relative alle società di transizione al socialismo, la questione della duplicità del carattere della distribuzione borghese, non capitalista, e della produzione socialista, il rapporto stesso che sussiste tra socializzazione democratica dei mezzi di produzione e autogestione dei produttori, rimane uno dei compiti ineludibili per l’Internazionale che si intende costruire. 
La parola a noi tutti/e
Nel perseguire le finalità ed i passaggi concreti dichiarati, l’area politica che ci accingiamo a costruire intende offrire ciò che riuscirà ad elaborare e sperimentare a disposizione di tutta SC e della relazione politica tra questa e le altre soggettività anticapitaliste, nella certezza della drammatica insufficienza di ciascuna delle forze oggi in campo e, pertanto, della unità necessaria, giusta e possibile tra di esse.
                                                           Le compagne ed i compagni di Resistenze sociali - Sinistra Critica
Per contatti e adesioni resistenzesociali at gmail.com
 

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