[Redditolavoro] Fw: [neurogreen] Tronti_Il che fare di Pomigliano
clochard
spartacok at alice.it
Fri Jun 25 23:00:35 CEST 2010
Tronti è sempre efficace. Tuttavia in queste righe serpeggia una sorta di rivalsa sull'elaborazione degli operaisti che hanno concettualizzato e studiato il lavoro cognitivo e immateriale. Certo, più elegante del tizio della Cgil di Perugia ma affine nella sostanza. L'autore di Operai e capitale sembra poi ignorare l'esistenza di un "altro movimento operaio", oggi mal messo, ma che è stato il protagonista del ciclo di lotte degli anni Sessanta e Settanta. Restringendo il proprio orizzonte ai sindacati concertativi e al partito maggiore della sinistra storica che fu. Malgrado la sua degenerazione ed implosione continua ad essere la sua stella polare, da rimproverare, interrogare, stimolare ecc. Sembra che Tronti davvero viva oggi tra le nuvole!!!
Rossana, che lo ha postato nella lista neurogreen, entra giustamente nei dettagli, concreti e sputtananti, commentando: "ma può un articolo così corposo come questo dimenticare che a Pomigliano non si riescono ad eleggere democraticamente i lavoratori? Che i sindacati di base sono sistematicamente confinati anche da FIM-FIOM-UILM?".
e
----- Original Message -----
From: "rossana" <rossana at comodinoposta.org>
To: <neurogreen at liste.comodino.org>
Sent: Friday, June 25, 2010 7:02 PM
Subject: [neurogreen] Il che fare di Pomigliano
Mario Tronti, il manifesto 25 Giugno 2010
Lo slogan «da Pomigliano non si tocca a Pomigliano non si piega» è
emerso dall'interno di una conricerca che un gruppo di giovani
ricercatori del Crs sta conducendo da tempo in quella fabbrica insieme
agli operai. Descrive l'arco di sviluppo della vicenda, fino all'esito a
sorpresa del referendum: dalla difesa del posto di lavoro alla
rivendicazione della dignità e della libertà del lavoratore. La posta in
gioco infatti si è alzata. E chi l'ha alzata imprudentemente è stato
l'intelligentissimo ed efficientissimo management Fiat, con una ben
orchestrata manovra politica su una delicata situazione economica. Hanno
commesso un errore. E una volta tanto hanno perso.
Non era solo Marchionne. E non ha perso solo lui. Mi sono chiesto:
perché la questione Pomigliano è salita al centro dell'attenzione
politica, primi titoli sui giornali, prima notizia nelle tv? Era forse
morto per incidente sul lavoro un grappolo di operai, unico motivo di
visibilità per queste sottopersone? No, semplicemente si tentava un
colpo in fabbrica, in un pezzo di paese, per dire a tutti che cominciava
una nuova età di rapporto tra impresa e lavoro - l'ormai famoso e
incredibilmente supponente dopo Cristo - e che esemplificava brutalmente
ed empiricamente l'intento più generale di rovesciare il dettato
costituzionale del vetusto, avanti Cristo, art. I, Repubblica
democratica fondata sul lavoro. Nell'impresa comando io, se volete
lavorare queste sono le condizioni, non trattabili, dovete solo dire si
o no, l'unico sindacato ammissibile è il sindacato di collaborazione,
niente più, mai più, sindacato di conflitto. Il direttore del Sole24ore
diceva: lì si gioca una partita del campionato del mondo nella
globalizzazione, il fondatore di Repubblica sentenziava, come fa ormai
profeticamente: non è un ricatto, è la pura realtà, e così via.
In verità il modello non era nuovo, celebrava un trentennale, anno 1980,
sempre Fiat, stessi moduli, perfino la marcetta dei disponibili, e
questa volta dei ricattati. Sotto il pullover sono rispuntati Valletta e
Romiti, dei bei tempi Cinquanta e Ottanta. Qualcuno sa che a Nola c'è un
reparto confino, dove vengono spediti gli insubordinati di Pomigliano?
La Fabbrica che si intitola a Gianbattista Vico ripropone corsi e ricorsi.
La notizia qual è. E' che questa volta gli è andata male. E gli è andata
male per il solo merito di quel 40% di operai che hanno detto: non ci
stiamo. E per il solo altro merito di quella Fiom, che si voleva
sconfiggere una volta per tutte, ultimo residuo di una conflittualità
operaia, estrema espressione fuori tempo di quella novecentesca - e oggi
dire novecentesca è come dire medioevale - lotta di classe.
Insomma, l'hanno voluta mettere sul piano simbolico e sul piano
simbolico hanno rimediato una sconfitta. Guardate come arretrano i
grandi organi di opinione: ma forse c'è ancora un problema lavoro, ma
dunque c'è lavoro materiale e non solo immateriale, ci sono tute blu e
non solo camici bianchi, c'è il salario e non solo partite Iva.
Eppure il punto da mettere in evidenza non è questo. Chi se ne importa
di quello che dicono. Il fatto da cui bisognerebbe ripartire è questo
nuovo livello di conflitto emerso nella vicenda, che loro hanno evocato
e che quegli eroici «no» hanno rovesciato: da un lato ricchezza e potere
dall'altro dignità e libertà. Da un lato l'arroganza di chi credeva di
avere tutto nelle proprie mani, dall'altro chi ha rivendicato
l'indisponibilità di alcune cose precise. Voi mettete 700 milioni e io
vi dico che non mi vendo per questo, non metto a vostra disposizione la
mia persona, rischio il lavoro ma tengo la testa alta e la schiena
dritta. Una lezione. Non morale, ma politica. Viene da quel mondo. E
apre una nuova frontiera a una sinistra moderna.
Non direi tanto lavoro e diritti. Direi di più lavoro e persona. Quel
referendum in quel modo, sotto quelle condizioni, come ricatto sulla
vita, sull'esistenza delle persone, non andava accettato. Era dovere di
tutta la Cgil, era dovere di tutto il partito democratico, mettersi di
traverso. Mi interessano qui meno gli sbreghi alla legalità, che pure
c'erano, erano gravi e vanno ancora denunciati. Quel referendum era
politicamente illegittimo. Era finalizzato a mettere gli operai contro
la loro organizzazione e a mettere gli operai contro altri operai. Esito
questo ancora presente, se dovessero emergere reali pericoli per
l'occupazione. Adesso bisogna ricostruire una unità di lotta e
costringere il padrone a trattare. La Fiat oggi è più debole e meno
lucida, come si è visto dalle prime reazioni. E il governo non ha
proprio niente da dire. Bisogna non aspettare, passare all'attacco, come
sindacato generale e come partiti politici, proporre soluzioni e far
cadere la discriminante anti-Fiom. E' il programma minimo.
Ma c'è un compito di più lungo periodo. La lezione va appresa. Il Pd ha
preso sabato scorso una lodevole iniziativa: un'assemblea popolare
contro la manovra governativa. Mi dicono sia riuscita molto bene,
soprattutto nel discorso appassionato del segretario. Si poteva fare di
più e meglio. In quella settimana, con rapida decisione, ad esempio,
spostare il raduno dal Palalottomatica a Pomigliano. Senza tante parole,
con un solo gesto, si sarebbe fatto capire che cos'è, e che cosa
dovrebbe essere, un partito che si colloca in quello spazio fisico del
Parlamento e del Paese. Non si trattava nemmeno di prendere posizione
sul come votare, ma solo di stare lì, con gli operai del si e del no, a
giocare la partita e non a vederla in tv. I giornali-guida del
centro-sinistra li avrebbero colti in fallo al richiamo della foresta. I
nativi sarebbero rimasti sconcertati, perché, immagino, la parola operai
è come la parola compagni, qualcosa che non appartiene alla «loro»
tradizione. Ma un popolo avrebbe respirato. E certo, non il popolo
viola, che cercasi invano nei dintorni del problema Pomigliano. C'è da
arrabbiarsi di fronte a certe mancate occasioni. E badate che questa
rabbia cresce, è più diffusa di quanto si pensi. La sento arrivare su di
me da varie parti. E solo per questo la esprimo. E non è un'istanza
distruttiva, è un'energia positiva, nascosta nel fondo del paese, che
bisogna far emergere, e farla parlare e parlare ad essa con le parole
della politica, sottraendole le parole dell'antipolitica, con cui troppo
spesso è costretta ad esprimersi. Occorre tornare a dirigere, a
orientare, a indirizzare, per grandi segnali, in luoghi giusti e negli
spazi che contano e che fanno veramente la differenza.
Il problema non è il Cavaliere, il problema è il Cavallo, e cioè questo
modo d'essere che occupa le nostre vite e che osa sempre di più per
avere un comando assoluto, modo d'essere di privilegi intoccabili, di
poteri arroganti, di ingiustizie palesi, di sistema di leggi eterne,
oggettive, dicono, nei cui confronti non c'è niente da fare se non
piegarsi e obbedire. Ascoltateli questi «no» di Pomigliano: segnano il
«che fare» per un'operazione forte di un grande partito a vocazione
alternativa.
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