[Redditolavoro] Il diktat della flessibilità schiavistica

clochard spartacok at alice.it
Wed Jun 23 20:12:54 CEST 2010









                                    Il diktat della flessibilità schiavistica 







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From: circ.pro.g.landonio at tiscali.it 

CIRCOLO DI INIZIATIVA PROLETARIA GIANCARLO LANDONIO 


VIA STOPPANI,15 -21052 BUSTO ARSIZIO –VA- 


(Quart. Sant’Anna dietro la piazza principale) 


e-mail: circ.pro.g.landonio at tiscali.it
-----------------------------Giornale murale in corso di diffusione in provincia di Varese.





SUPPLEMENTO giorn. murale del 16/6/2010 (Formato PDF)

Per produrre la Panda a Pomigliano la Fiat esige la flessibilità schiavistica della forza-lavoro: 18 turni settimanali, 120 ore di straordinario, spostamento a fine turno della pausa mensa, punizione degli scioperi, ecc. È la punta di un nuovo attacco padronale contro la classe operaia e il Sud. Tutti i lavoratori debbono insorgere contro il ricatto Fiat senza lasciare soli i lavoratori di Pomigliano che si trovano nelle condizioni peggiori.
Respingere il referendum padronale! Promuovere l'organizzazione di lotta, interna e internazionale, anti-padronale e anti-statale! Il capitalismo decadente è supersfruttamento, miseria, distruzione e va rovesciato!



Con il Gruppo Fiat ci troviamo di fronte a un nuovo snodo: alla riorganizzazione ultraflessibile e dispotica dello stabilimento Giambattista Vico di Pomigliano d'Arco e, da subito, del mercato del lavoro meridionale. Vediamo cosa bolle in pentola prima di valutare. Il 30 marzo 2010 in un incontro al Ministero dello Sviluppo Economico l'A.D., Marchionne, illustra alle Organizzazioni Sindacali un piano diretto "a rafforzare la posizione strategica produttiva di automobili in Italia" con l'avvio della produzione della Panda presso lo stabilimento campano. E chiede di condividerne gli obbiettivi. Il piano è denominato "Progetto Fabbrica Italia" e prevede il raddoppio della produzione di automobili in Italia entro il 2014, passando dalle 650 mila auto odierne a 1 milione e 400 mila con 270-280 mila Panda a Pomigliano; prevede inoltre l'esportazione nel 2014 di 1 milione di veicoli, nonché l'investimento di 20 dei 30 miliardi progettati per il mondo. Il piano considera lo stabilimento di Pomigliano, in cui progetta di investire 700 milioni, il primo test per l'intera Fabbrica Italia. Il piano si basa poi su due alternative: la A e la B. La prima ipotizza che il Gruppo produca e venda, nel giro di 4 anni, 6 milioni di veicoli all'anno: 2,2 milioni alla Chrysler, 3,8 milioni alla Fiat Alfa e Lancia, di cui 1,5 milioni in Italia. La seconda non contiene né numeri né siti, è un'alternativa al buio, il cui esito è un ridimensionamento produttivo con la chiusura di uno o più stabilimenti. Quindi il Gruppo Fiat, mentre esige preventivamente dai lavoratori la massima flessibilità lavorativa e personale, non garantisce agli stessi nemmeno la sicurezza del posto di lavoro. 
 La robotizzazione della forza-lavoro

 Anzi, per investire gli ostentati 700 milioni, esso manda a casa per due anni i lavoratori collocandoli in Cigs. Più avanti considereremo il significato di questa manovra; per il momento dobbiamo occuparci della finalità dell'investimento, cioè del riordino hi-tech della linea di montaggio. Lo staff manageriale punta a raggiungere l'obbiettivo produttivo attraverso la robotizzazione del lavoratore. Questa viene realizzata con l'applicazione combinata di due più recenti metodi di lavorazione: il "Wcm" (World class manifacturing) e l'"Ergo-Uas". I due metodi, o sistemi, servono rispettivamente a "ottimizzare i gesti" riducendone i movimenti al minimo e a trovare soluzioni ergonomiche più produttive cambiando la sequenza delle pause (da due di 20 minuti a tre di 10). Il Wcm è una versione europeizzata del toyotismo. La linea di montaggio scorre sulla postazione, dove viene ficcato l'operaio; il quale, a differenza di quanto avviene con la vecchia linea in cui attrezzi e pezzi da assemblare vengono riposti in spazi contigui, si ritrova attrezzi e componenti sulla stessa linea. E così è impostato a compiere operazioni standardizzate in tempi minimi senza alcuna connessione con le operazioni precedenti e con l'esperienza di queste operazioni. Il metodo si adatta poi a pennello al "just in time" (alla domanda individualizzata e alla riduzione al minimo delle scorte). L'attesa dei managers è che, cambiando il Wcm con l'Ergo-Uas, la produttività salga di oltre il 50%. Quindi l'obbiettivo dell'investimento, e del riordino hi-tech, non è quello di dare lavoro ma di estrarre più plusvalore, di aumentare lo sfruttamento della forza-lavoro.

 Il diktat della flessibilità schiavistica

Detto questo passiamo ad esaminare l'arroganza del comportamento Fiat nei confronti dei lavoratori di Pomigliano. Marchionne ha subordinato l'investimento all'accettazione preventiva da parte dei dipendenti delle sue imposizioni (18 turni settimanali in 6 giorni con riposi a scorrimento, 120 ore di straordinario obbligatorio, spostamento della pausa mensa a fine turno, riduzione delle pause, divieto di sciopero, rifiuto di pagare la malattia ritenuta anomala) escludendo, su queste pretese senza fondo, qualsiasi trattativa effettiva. Ecco come sono andate fin'oggi le cose. Il 28 maggio, con aria insofferente, egli afferma che si è perso troppo tempo e che se si debbono fare gli investimenti questi debbono partire. Gli fanno coro Governo , Confindustria, Agenzie politico-affaristiche, mass-media, intonando che il tempo stringe e che se non ci sarà l'adesione dei lavoratori l'investimento potrà prendere altri lidi. L'8 giugno Marchionne consegna ai sindacati il testo del proprio diktat. L'11 Fim Uilm Fismic Ugl sottoscrivono il documento. La Fiom rimanda al comitato centrale; il quale, riunitosi il 14, non dà il proprio assenso rilevando che il testo cancella il contratto collettivo, supera le leggi di tutela del lavoro e compromette il diritto di sciopero. Da ultimo la Fiat impone il referendum ai lavoratori. Questo lo svolgimento dei fatti sino ad oggi. Il testo del diktat si compone di 14 articoli. In sintesi essi stabiliscono: a) 18 turni settimanali di 40 ore, distribuiti su sei giorni da lunedì a sabato; b) 120 ore di straordinario obbligatorio; c) pausa mensa a fine turno, utilizzabile per recuperi e straordinari; d) riposi settimanali a scorrimento in giorni diversi e senza il distanziamento minimo di 11 ore; e) riduzione delle pause da 40 a 30 minuti (di 10 minuti ciascuna); f) attuazione di recuperi anche per fermate indipendenti; g) divieto di scioperi sui punti del diktat; h) sanzioni fino al licenziamento nei confronti di chi contravviene alle clausole del diktat; i) non retribuibilità della malattia se la media collettiva supera un limite ritenuto anomalo; l) mantenimento del reparto confino di Nola. L'investimento è quindi finalizzato a un supersfruttamento schiavistico.

 Lo spolpamento sciacallesco dei lavoratori del Sud nuovo modello di relazioni industriali e di sviluppo nazionale

 Veniamo ora alle nostre valutazioni. Il riordino hi-tech e le connesse imposizioni sono il prototipo della robotizzazione ultraflessibilità dispotismo padronali sugli operai. E meritano l'appellativo di diktat della flessibilità schiavistica. O, detto terra terra, di potere di utilizzo dei lavoratori come carne da macello.

Il diktat Fiat viene presentato da diversi quotidiani come evento che fa scuola nei rapporti padroni-operai. Il ministro Sacconi si è spinto più in alto parlando di svolta storica che vale molto di più di tanti incentivi. In cima a tutti si è portato il presidente dell'Unione Industriale di Torino il quale, partendo dalla convinzione che la lotta tra le classi è finita e che la contrapposizione non è più tra lavoratori e capitalisti bensì tra "sistemi-paese", mette padroni e operai sulla stessa barca accomunati nella "sfida globale". Bisogna sottolineare in merito che la lotta tra le classi non solo ribolle in tutto il pianeta ma che in molti paesi, come nel nostro, si è trasformata in guerra tra le classi. Ed affermare conseguentemente che il diktat imposto dal Lingotto è un'operazione di guerra padronale contro i lavoratori di Pomigliano d'Arco, lo scatenamento di una crociata antimeridionale.

Il ricatto occupazionale è stato sempre un'arma nelle mani della Fiat da un secolo a questa parte qualunque sia stato il comandante in campo. Oggi il monopolista italiano dell'auto pretende la disponibilità totale dei lavoratori prima ancora di dare inizio al proprio piano. Gli investimenti si fanno; non si può chiedere prima di farli, se non sciacallescamente, che gli operai rinuncino ai propri diritti e a se stessi. L'arroganza della Fiat ha raggiunto un'altra soglia storica (soglia caratteristica della putrefazione finanziaria del capitalismo); quella di pretendere da lavoratori impoveriti e frustrati da un anno e mezzo di cassa integrazione la rinuncia preventiva a ciò che è rimasto da un "patrimonio di diritti e dignità", frutto di ciquant'anni di lotte operaie; nonché la sottomissione ai nuovi distruttivi ritmi robotici senza poter rifocillarsi, riposarsi, ammalarsi, scioperare! È lo sciacallaggio padronale sul Sud che ora si impone come modello di relazioni industriali (di rapporti padroni-operai) e che riclassifica il mezzogiorno come terra di nuovi schiavi.

Riprendendo a questo punto la considerazione rimandata sul significato dell'accettazione preventiva da parte dei lavoratori dalle condizioni imposte da Marchionne ora possiamo esplicare, telegraficamente, che questa pretesa aziendale, tuttora perseguita col referendum, mira: a) ad avere mani libere nell'utilizzo ultraflessibile della forza-lavoro; b) a garantire banche e tesoro (i fornitori dei soldi) sulla profittabilità dell'investimento; c) a sfondare la resistenza operaia; d) a suonare la chiamata alla crociata sciacallesca anti-operaia. Questo il significato del diktat nei suoi aspetti principali.

Va aggiunto, a completamento delle nostre valutazioni, che il ministro del lavoro sta smaniando sul "federalismo normativo in campo produttivo" per combinare le vecchie zone salariali col modernismo robotico e il dispotismo padronale; mentre i giuslavoristi confindustriali sparano a zero sul contratto collettivo nazionale e su ogni norma di tutela del lavoro (costituzionale, legislativa, protocollare) spregiandoli come centralismo regolatorio. Pertanto la partita di Pomigliano d'Arco assurge a cartina di tornasole dei nuovi rapporti di forza che si vanno costituendo tra padronato e classe operaia e degli assetti giuridici e normativi corrispondenti.

 Non piegarsi al "diktat" Fiat, non contendersi il lavoro pur di sopravvivere, organizzare gli organismi autonomi di lotta, tenere una linea di condotta classista e internazionalista

 Per mancanza di spazio non possiamo occuparci della situazione interna dello stabilimento di Pomigliano, dello stato d'animo degli operai; delle divisioni e delle posizioni contrastanti esistenti; dobbiamo trarre le conclusioni che servono ai fini operativi. La prima conclusione è che bisogna respingere il referendum, non tanto perché è "illegittimo" come si limita a dire la Fiom, quanto e soprattutto perché è imposto dal padrone e perché riguarda imposizioni volute dallo stesso, contro cui l'unica posizione è quella di reagire. La seconda conclusione è che per approntare una difesa operaia nella contingenza e per perseguire gli interessi operai nel presente e in futuro bisogna organizzarsi autonomamente da ogni formazione sindacale concertativa alternativa legalitaria professionalistica; costituendo in ogni fabbrica luogo di lavoro gli organismi proletari di lotta, coordinandoli territorialmente fino alla costituzione di un sindacato di classe. È assurdo invocare lavoro a un padronato feroce, fallito storicamente, che sta in piedi per distruggere e depredare, che invece di accorciare allarga con ogni mezzo la giornata lavorativa. Guai ad allungare la vita a questo padronato sciacallesco; bisogna scalzarlo dal potere e riappropriarsi dei mezzi di produzione per sfamare lavoratori e popoli e costruire una società a misura d'uomo. La terza e ultima conclusione, che è diventata di estrema urgenza con l'approfondimento della crisi generale, è che i lavoratori non si facciano concorrenza e non si rubino reciprocamente il lavoro svendendosi ma che cooperino sul piano interno e su quello internazionale, per non scannarsi a vicenda e togliersi il terreno sotto i piedi. La Fiat vuole riportare a Pomigliano la Panda che per decenni ha realizzato in Polonia, mettendo sempre i lavoratori gli uni contro gli altri. È decisivo in questo momento che operai italiani e operai polacchi concordino insieme obbiettivi e mete comuni di difesa e di lotta. Dunque: respingere il referendum ed il diktat Fiat; esigere il pagamento integrale del salario, la riduzione d'orario; il rispetto della dignità e dell'iniziativa operaia; il salario minimo garantito di euro 1.250 mensili intassabili per disoccupati, precari, cassintegrati, sottopagati.



Milano Giugno 2010.I comp. operai di:

RIVOLUZIONE COMUNISTA 

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