[Redditolavoro] "Istituzioni Psichiatriche: La riforma Basaglia ha risolto il problema?"

clochard spartacok at alice.it
Wed Jul 21 12:54:58 CEST 2010





Istituzioni Psichiatriche: La riforma Basaglia ha risolto il problema?









Inviato da C. Muraglione il 20/7/2010 13:50:00
 Quando si parla di istituzioni psichiatriche si rischia sempre di 
generalizzare la discussione, e di affrontare il tema senza tener conto 
delle persone che in primis pagano le conseguenze delle scelte di altri. 
Dalla riforma Basaglia in poi è diventato difficile parlare di pratiche 
manicomiali e di abuso farmacologico.



C’è qualcuno però che vuole sottrarsi alla confusione del dibattito ed alla 
censura mediatica, e lo fa mettendo in primo piano il rispetto della 
persona: il Collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud.
L’argomento “salute mentale” è controverso e scientificamente poco 
supportato; persino l’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) non è stata 
capace di elaborare una definizione condivisa del termine.
Il termine “salute mentale” indica uno stato della condizione psicologica in 
cui si trova l’individuo; l’interpretazione dei comportamenti determina una 
valutazione di maggiore o minore “salute”. Questa risulta dunque frutto di 
una valutazione di una condizione di normalità ed equilibrio della persona. 
Ma chi decide cosa è normale e cosa non lo è? Proprio l’ossessiva ricerca 
della normalità ha creato quello strano processo di proliferazione di 
patologie legate a qualsivoglia attività umana non coerente con gli standard 
di “mercato comportamentale”. Non solo si trova la malattia, ma si trova 
anche l’antidoto. Il farmaco quasi precede la malattia. In inglese si chiama 
DISEASE MONGERING, che si potrebbe tradurre in  “commercializzazione delle 
malattie”. Un percorso che va dalla creazione a tavolino di un disturbo alla 
sua consacrazione ufficiale, fino a quando il prodotto farmaceutico che lo 
“combatte” non diventa un vero e proprio blockbuster, ovvero un farmaco con 
prescrizione di ricetta medica che ha superato i 10 milioni di dollari l’anno 
di vendite.
Riportiamo le riflessioni a cui siamo giunti dopo alcuni incontri con il 
Collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa, che da anni si occupa 
della questione.

Istituzioni totali
Bisogna prendere in particolare considerazione due aspetti: il sistema di 
coercizione legato alle istituzioni totali e l’uso e abuso di terapie 
farmacologiche. Nel nostro paese attualmente sono sparse sul territorio 
strutture dove le persone rinchiuse si vedono private della propria libertà 
e della propria identità e costrette ad acquisire e accettare canoni 
comportamentali imposti dalla società che ha deciso di espellerle.
Si parla di veri e propri “non-luoghi”, frutto dell’allontanamento e 
dell'esclusione voluti da un sistema che coltiva la paura nei confronti di 
chi è diverso, di ogni pensiero critico e di ogni comportamento non 
conforme/deviante  dove le persone diventano “malate”, recluse, clandestine.
Nelle carceri italiane, nei reparti psichiatrici, negli Ospedali 
Psichiatrici Giudiziari, nei Centri di Identificazione e di Espulsione per 
migranti, tutti i giorni si verificano abusi e violenze e i più elementari 
diritti umani sono costantemente violati. In questi luoghi si arriva a 
legare, a picchiare, a stuprare, a torturare e molto spesso si muore. 
Avvengono quotidianamente gravissimi episodi che però suscitano poco 
interesse nell’opinione pubblica e dei mass-media.
Le istituzioni totali sono zone d’ombra, impenetrabili e lontane dagli 
sguardi di tutti, in cui è possibile commettere ogni sorta di abuso 
avvalendosi di sicura impunità.


Istituzioni totali psichiatriche
Capita a volte di leggere, nelle cronache quotidiane dei mass-media, di 
violenze e abusi perpetrati all’interno delle carceri italiane e dei CIE. 
Istituzioni totali al cui interno conflitti e abusi vengono in realtà 
consumati sistematicamente.
Ma raramente escono allo scoperto, raramente arrivano alla conoscenza dell’opinione 
pubblica; e le poche volte in cui ciò accade è grazie alla buona lena di 
attivisti dei movimenti antirazzisti e dei movimenti contro il carcere.
Ci sono poi istituzioni totali che ai media interessano ancora meno, e che 
non finiscono mai in prima pagina. Stiamo parlando degli ospedali 
psichiatrici giudiziari (OPG) e dei reparti psichiatrici ospedalieri (SPDC, 
Servizi psichiatrici di diagnosi e cura).

OPG
In Italia esistono 6 OPG : Montelupo Fiorentino, Reggio Emila, Aversa, 
Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto, Castiglione delle Stiviere;  quest'ultimo 
è  l'unico gestito dal Ministero della Sanità con dentro personale sanitario 
(infermieri e medici psichiatri); gli altri sono gestiti dal Ministero di 
Grazia e Giustizia. Questi istituti sono veri e propri manicomi criminali.
A fronte di una “capienza” di circa 600 persone,  nel 2007 le persone 
internate erano 1266. Sono luoghi dove l’abuso farmacologico, la pratica 
della contenzione, la negazione di terapie alternative sono sistematicamente 
utilizzati. La normativa italiana fa sì che la persona che finisce all’interno 
di un OPG abbia serie difficoltà ad uscirne a prescindere dalle condizioni 
socio-sanitarie. La pena, nel periodo di permanenza forzata in un OPG viene 
sospesa, per cui il ricoverato una volta uscito dovrà finire di scontarla in 
una struttura carceraria. Maria Grazia Giannichedda in un articolo comparso 
su Il Manifesto del 22 agosto 2007, denunciava il vuoto politico e 
legislativo intorno agli OPG, ricavandone un quadro molto grave della 
situazione. Giannichedda metteva in risalto anche il tipo di selezione che 
viene messo in atto negli OPG, nel momento in cui è cresciuto  a dismisura 
il numero degli internati per “reati minori” (quasi il 50% del totale), 
mentre gli internati negli OPG per gravi reati di sangue si fermano al 16%. 
Giannichedda afferma che gli «“ospedali psichiatrici giudiziari”, che hanno 
sostituito i vecchi manicomi criminali, potrebbero in molti casi essere 
sostituiti dall'affidamento ai servizi di salute mentale e altre misure 
alternative. Ma i servizi mancano, e l'inerzia è forte. Così restano 
sovrappopolati. Rinchiudere è più facile che curare. Una buona metà degli 
internati negli OPG ha commesso reati minori, ma spesso la “misura di 
sicurezza” si prolunga molto più della carcerazione corrispondente. Secondo 
i dati ufficiali resi noti da Antigone si verificano negli OPG oltre 500 
episodi di coercizione l’anno. Un internato su sei, spesso più di una volta, 
vive l’esperienza della contenzione. I letti di contenzione sono 
abitualmente usati in tutti e sei gli istituti, secondo protocolli operativi 
e terapeutici non sempre chiari.

Reparti ospedalieri
I reparti ospedalieri chiusi, sono un altro esempio di aggressione all’individuo, 
dove la persona rischia di entrare a prescindere dalla propria condizione 
psico-sanitaria. Nei reparti chiusi l’abuso farmacologico è pratica 
costante, oltre, naturalmente, ad altre pratiche di “presunta” portata 
scientifica come l’elettroshock e la contenzione fisica. Ma come si finisce 
in un reparto chiuso? La maggior parte delle volte si arriva in reparto 
perché viene valutata la necessità di intervenire sulla persona con un 
trattamento sanitario obbligatorio (TSO). E, a prescindere dalle condizioni 
sanitarie, la persona può essere trattenuta per 7 giorni. Il TSO è un 
provvedimento che fino a ora (sono previste proposte di modifica della legge 
ancor più restrittive) deve essere autorizzato dal sindaco su proposta del 
medico e deve essere notificato dal giudice tutelare entro 48 ore.
 Però nei reparti chiusi italiani queste regole sono state agevolmente 
superate dalla prassi. La persona non è informata della propria situazione 
(e quindi non può scegliere tra il trattamento sanitario obbligatorio e 
quello volontario), e spesso il TSO precede la notifica del sindaco. Per 
poter fare un TSO su una persona, i medici devono valutare tre condizioni: 
che le alterazioni psichiche siano tali da richiedere interventi urgenti, 
che la persona rifiuti la terapia, che non vi sia la possibilità di un’assistenza 
pari a quella ospedaliera.
“Buona” pratica dei reparti chiusi è il sistema di intimidazione che si 
sviluppa intorno alla persona “trattata”, che dinnanzi all’aut-aut “o vieni 
di tua volontà o ti veniamo a prendere a casa”, decide di sottoporsi, per 
timore di ritorsione, al TSV.
Anche l’ASO, ovvero l’accertamento sanitario obbligatorio, è utilizzato come 
uno strumento di coercizione: obbliga la persona a sottoporsi a visita e 
molto spesso è convertito in ricovero. Le procedure sono aggirate e le 
informazioni non vengono comunque “condivise”.
Nei reparti, come abbiamo già detto anche per gli OPG,  la somministrazione 
di psicofarmaci è l’unica risposta che viene data alla persona. Ansiolitici, 
neurolettici, antidepressivi, stabilizzatori dell’umore ed antiepilettici 
vengono usati senza motivo clinico, ma solo con l’intento di controllare la 
persona e di renderla inoffensiva e incapace di comprendere la sua 
condizione. Sedare e contenere. Naturalmente, nessuno, tranne il medico che 
ti riempie di medicine, può procedere a scalare quantità di psicofarmaci o 
proporre cure alternative.
Nelle strutture psichiatriche italiane, distribuite sul territorio dalla 
riforma Basaglia, si riproduco gli stessi meccanismi dei tanto detestati 
manicomi del pre-riforma. Violenza fisica e psicologica, negazione dei 
diritti, abusi di ogni tipo. Le persone si ritrovano sole, in contesti 
isolati dal resto del mondo, e trascinati in una condizione di subalternità 
rispetto a chi ti lega o ti seda.  Non è più la persona a decidere della 
propria sorte.

Pratiche manicomiali
Essendo luoghi chiusi, per l’appunto, è difficile dar prova di quanto 
avviene nei reparti.  Una prova eclatante di ciò è il caso di F.M., morto 
nell’ospedale di Vallo della Lucania al terzo giorno di TSO dopo esser stato 
tenuto per 80 ore legato alle mani e ai piedi, senza mangiare (soluzioni 
fisiologiche a parte) e in una posizione orizzontale che ha compromesso così 
la normale attività respiratoria. Il tutto sotto l’effetto di psicotici 
somministrati da infermieri “poco attenti” e medici senza scrupolo. Se a 
questo aggiungiamo che F.M. era stato un noto attivista anarchico e che 
nella sua vicenda personale e politica tante volte aveva ricevuto 
trattamenti speciali  dalle forze dell’ordine, le tesi di cospirazione nei 
suoi confronti, che anch’egli denunciava, sembrano prendere forma tangibile. 
Al momento del suo “arresto-ricovero” addirittura furono impiegate forze dei 
carabinieri, della polizia municipale, della polizia e della capitaneria di 
porto. La sua storia è venuta fuori grazie all’operato del “Comitato verità 
e giustizia per Franco” che è riuscito a diffondere il video ripreso dalla 
telecamera interna del reparto mettendo così in discussione l’operato di 
medici e  infermieri. Notizia di questi giorni è che l’ASL ha deciso di 
essere parte civile del processo.
Di casi strappati al silenzio ce ne sono anche altri:  E.I., di origine 
nigeriana, entra in reparto con il TSV. Dopo due giorni decide di andar via. 
I medici trasformano il TSV in TSO. Per contenere l’uomo viene chiamata la 
polizia. L’uomo muore nel frattempo per arresto cardiaco. A Livorno anche ad 
M.R. nel 2008 il TSV è stato trasformato in TSO, e si è risolto con due 
settimane in più di “internamento”. R.M. nel giugno 2007 muore per arresto 
cardiocircolatorio nel reparto psichiatrico di Empoli. Anch’egli è 
trattenuto contro la sua volontà dopo un ricovero in TSV. L’abuso 
farmacologico è tra i possibili scenari che hanno determinato il decesso. 
G.C., venditore ambulante di Cagliari, è morto nel 2006 dopo sette giorni di 
contenzione fisica e farmacologica. Per questo caso il primario del reparto 
ed uno psichiatra sono stati rinviati a giudizio per omicidio colposo.


Malasanità o deficit strutturale?
Le istituzioni psichiatriche cercano di minimizzare gli accadimenti più 
gravi, cercando di farli rientrare semplicemente nella normale casistica di 
“malasanità”. Il Collettivo Antonin Artaud vuole mettere in discussione 
proprio questo approccio al problema.
Le pratiche psichiatriche nei reparti chiusi e negli OPG sono frutto della 
“conservazione di dispositivi e strumenti propri dei manicomi, quali la 
gestione del tempo quotidiano, dei soldi, l’obbligo delle cure ed il ricorso 
alla contenzione fisica e farmacologica”. Il problema non è legato ad una 
disfunzione del sistema ma probabilmente al sistema stesso che non è 
riuscito a scardinare la figura del cosiddetto “malato di mente”, 
relegandolo ai margini della vita sociale. Se nel 1978 gli internati erano 
54.000 e il movimento annuo di ricoveri si aggirava intorno ai 190.000, ora 
il numero dei ricoveri annui si aggira intorno ai 600.000. Mentre nel 1978 
esistevano un centinaio di Ospedali psichiatrici provinciali con una 
capacità di ricovero di oltre 80.000 persone, ora esistono una miriade di 
strutture, medio-piccole la cui capacità di ricovero è difficilmente 
inseribile in dati statistici, vista anche l’alta incidenza di TSO e ASO. 
Persino l’associazione di Psichiatria Democratica (che ha un’impostazione 
basagliana che non nega l’esistenza della malattia mentale) nel suo ultimo 
congresso del maggio 2010 è stata costretta a inquadrare la situazione per 
quello che è chiedendo di «porre in essere il pieno superamento degli 
OO.PP.GG, di  sviluppare pratiche di deistituzionalizzazione delle nuove 
articolazioni istituzionali (dagli S.P.D.C. alle Residenze etc.) […] 
rifiutando, decisamente, ogni pratica coercitiva (contenzione e isolamento) 
e ogni forma di discriminazione e razzismo».  Sempre secondo Psichiatria 
Democratica questi processi di necessaria riforma sono insabbiati da «forti 
ostacoli per la rigogliosa ripresa, in una parte non marginale del mondo 
psichiatrico accademico e non, del riduzionismo neo-biologista», definito 
come «tendenza che va contrastata con maggiore forza e vigore anche alla 
luce dei sempre più consistenti tagli indiscriminati che si registrano nei 
confronti delle fasce più deboli del Paese da parte del Governo centrale che 
rafforzeranno, inevitabilmente, il modello di separazione e segregazione 
delle fasce deboli a danno del modello e delle pratiche di Salute Mentale».
È importante però sottolineare che nonostante questi buoni propositi di 
Psichiatria Democratica il movimento antipsichiatrico riscontra una forte 
divergenza con quello che poi risulta essere il loro operato effettivo.
Infatti il movimento antipsichiatrico si trova quotidianamente a lavorare 
con persone che hanno subito abusi come ricatti, contenzione, isolamento da 
parte di distretti di salute mentale gestiti da quella psichiatria che si 
professa democratica e basagliana. A Trieste, ad esempio, fiore all’occhiello 
della psichiatria basagliana si sono registrati casi di contenzione, 
violenza e negazione dei diritti umani all’interno dei reparti e dei centri 
di igiene mentale: come nel caso di C.G. che, come risulta tra l’altro da 
varie foto che circolano in rete, è stato legato e percosso. Oppure come a 
Empoli dove nel giugno 2007 R.M, inizialmente entrato in reparto di sua 
volontà e poi trattenuto in regime di TSO in seguito alla legittima 
richiesta di tornare a casa, è deceduto per arresto cardiocircolatorio 
probabilmente causato da eccessivo bombardamento farmacologico.
Il collettivo antipsichiatrico, in base all’esperienza raccolta, ritiene che 
Psichiatria Democratica, alla stregua dei fatti, perpetri gli stessi abusi 
della psichiatria organicista tanto deplorati.
L’Istat ha pubblicato i dati sui ricoveri psichiatrici relativi al triennio 
2004-2006. Numeri analizzati dal Servizio di psichiatria ed epidemiologia 
comportamentale del Cotugno di Napoli, dal team coordinato da Fabrizio 
Starace: nel 2006 sono stati registrati in Italia 318.043 ricoveri con 
diagnosi psichiatrica (di cui 74.327 in day hospital). I ricoveri per 
Trattamento sanitario obbligatorio (Tso) rappresentano il 4,3% e 
corrispondono a un tasso di 17,6 ogni 100.000 abitanti.
I dati relativi all’utilizzo del TSO mostrano un decremento passando da 18 
per 100.000 abitanti a 17,6. Fenomeno non omogeneo: le Regioni con i tassi 
più contenuti sono il Friuli Venezia Giulia (5,7), la Basilicata (6,6) e la 
Toscana (7,6); all’opposto si collocano la Sicilia (29,1), l’Emilia Romagna 
(28,3) e l’Abruzzo (24,4). A parte i Dsm (Dipartimenti di salute mentale: 
190 in Italia), l’attuale rete territoriale di servizi comprende una gamma 
di strutture: Centri di salute mentale (Csm), Centri diurni (Cd), 
Day-hospital (Dh), Servizi per l’inserimento lavorativo, Strutture 
residenziali (Sr) e Servizi psichiatrici di diagnosi e cura (SPDC). Ma come 
sono distribuiti i 190 Dsm? Settantasette (41%) servono una popolazione tra 
i 100.000 e i 250.000 abitanti, mentre per altri 68 (36%) il bacino di 
utenza è tra i 250.000 e i 500 mila abitanti. Quattro Dsm nel meridione 
assistono oltre un milione di persone. I Csm, ovvero i servizi di base più 
importanti, sono 707. In Molise non sono mai stati attivati. Devono essere 
aperti, anche per interventi domiciliari, almeno 12 ore al giorno per 6 
giorni la settimana. Solo 112 Csm (15,8%) sono aperti almeno 72 ore su 6 
giorni la settimana. Frequente l’orario ridotto nei prefestivi e festivi, o 
la chiusura completa. Liste d’attesa? Mediamente quasi 8 giorni (7,8%). Ma 
ci sono picchi di 75 giorni. Nel complesso in Italia (Sicilia esclusa), vi 
sono 4.113 posti letto nelle strutture pubbliche (0,79 per 10.000 abitanti). 
Le case di cura psichiatriche, ubicate in 10 tra le 20 Regioni censite, sono 
54, con 4.862 posti letto. Il Lazio, la Campania e la Calabria hanno il 
minor numero di letti nelle strutture pubbliche e presentano la più elevata 
concentrazione nelle case di cura. Ma in Italia sembra riemergere la logica 
dei manicomi. Circa l’80% dei SPDC ha le porte d’ingresso chiuse a chiave. 
Dai dati della più recente ricerca condotta dall’Istituto superiore di 
sanità risulta che in 3 su 10 dei reparti visitati c’era almeno una persona 
legata, fino a 4 contemporaneamente in alcuni. Gli uomini più delle donne, 
gli immigrati più dei locali. In uno a essere legata era una ragazzina di 14 
anni. 200 SPDC sui 285 totali dichiarano di attuare la contenzione meccanica 
e di usare un camerino di isolamento. Gli altri 85 dichiarano di non 
ricorrere mai alla contenzione. E nei reparti di neuropsichiatria infantile, 
per esempio, bambini tra i 9 e 14 anni vengono legati al letto e trattati 
con super dosi di psicofarmaci. Malgrado la disponibilità ormai diffusissima 
di educatori, accompagnatori, volontari.
E torna la medicalizzazione dei disturbi mentali. «Le persone rischiano di 
nuovo di essere rinchiuse dentro mura ancora più spesse di quelle del 
manicomio. Sono le mura costruite dalla forza del modello medico e dal 
ritorno prepotente di una psichiatria che vede solo malattia, che fonda la 
sua credibilità sulla promessa della sicurezza e dell’ordine, su fondamenti 
disciplinari quanto mai incerti e controversi. Questa psichiatria è tornata 
nei Servizi psichiatrici di diagnosi e cura ospedalieri “blindati”, nelle 
affollate e immobili strutture residenziali, in comunità senza tempo che si 
dicono terapeutiche e che si situano fuori dal mondo delle relazioni, nei 
Centri di salute mentale vuoti e ridotti a miseri ambulatori», afferma Mario 
Pappagallo dalle pagine del Corriere della sera, 13 febbraio 2010.
Al quadro già di per sé grave che emerge dalla lettura dei dati sulla 
coercizione psichiatrica dobbiamo aggiungere le proposte di riforma del 
sistema che in questo momento sono in discussione in parlamento. Paolo 
Guzzanti ha presentato una proposta di modifica che prevede l’allungamento 
del TSO a tre mesi e modifica la prassi dell’autorizzazione facendola 
diventare una semplice comunicazione al giudice tutelare da effettuarsi 
entro 48 ore. A questo bisogna aggiungere l’offensiva della casta degli 
psichiatri che vorrebbero “rimodulare” l’utilizzo dell’elettroshock e 
ridistribuirlo sui territori con una spalmatura all’interno dei reparti 
psichiatrici. A proporlo è proprio il prof. Cassano, tanto noto a Pisa per 
il suo utilizzo, e già più volte messo in discussione per questo e per l’abuso 
di somministrazione farmacologica.

Ci imbattiamo quotidianamente con un mondo che è stato convinto che bisogna 
curare la testa con la chimica e con il controllo. Un mondo che per 
lavorare, per dormire, per studiare, per giocare da bambino usa lo 
psicofarmaco. Secondo il rapporto OsMed (Osservatorio nazionale sull'impiego 
dei medicinali), un report annuale elaborato dall'Agenzia italiana per il 
farmaco e dall’Istituto superiore di sanità per monitorare la spesa 
farmaceutica in Italia, negli ultimi dieci anni indica che  le quantità di 
medicinali assunte dagli italiani sono quasi raddoppiate e naturalmente il 
consumo di  antidepressivi è lievitato in maniera esponenziale (i farmaci 
del sistema nervoso centrale sono aumentati del +4,2%).
«E ciò dipende da invecchiamento della popolazione e da – spiega Roberto 
Raschetti, direttore dell'Osservatorio sull'impiego dei farmaci dell’Iss – 
abitudini di tipo socio-culturali. In Italia, complice anche la crisi, 
peggiorano gli stili di vita e le condizioni psichiche di persone che tutti 
i giorni fanno i conti con lavori precari».
Per quanto tempo ancora la demonizzazione dell’antipsichiatria rifiuterà di 
considerare la pressione dei numeri e le violenze che si celano dietro  le 
istituzioni psichiatriche? Dati alla mano ci chiediamo: ma siamo sicuri che 
la legge Basaglia ci abbia liberato dai manicomi? Le pratiche coercitive 
della psichiatria sono o non sono una diretta prosecuzione delle pratiche 
manicomiali?

Sembrerebbe proprio di sì.
articoli correlati:


http://www.autautpisa.it/modules/news/article.php?storyid=621

Morire di contenzione dentro un ospedale psichiatrico. Il caso 
Mastrogiovanni a Pisa.
Carceri, la denuncia di Marino "Detenuti legati ai letti"
Francesco Mastrogiovanni. Morte securitaria di un maestro elementare. Morte 
accidentale di un anarchico.
"Loro archiviano, noi no!": i genitori raccontano e si coalizzano per 
ottenere verità e giustizia.
Il silenzio dei media
Manicomo Italia, seminudi e legati al letto 



More information about the Redditolavoro mailing list