[Redditolavoro] 1 luglio 1977. L'ASSASSINIO DI ANTONIO LO MUSCIO

clochard spartacok at alice.it
Sat Jul 3 20:22:50 CEST 2010


Ho omesso le parti che più appesantiscono il testo con categorie, linguaggio, immaginario corrispondenti a un'epoca passata del capitalismo, quella industriale-fordista. Anche per ragioni pratiche: evitare di associare sovversione a ripetizione, disarmando così il desiderio e la volontà di lottare.

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----- Original Message ----- 
From: circ.pro.g.landonio at tiscali.it 



CIRCOLO DI INIZIATIVA PROLETARIA 

GIANCARLO LANDONIO 


VIA STOPPANI,15 -21052 BUSTO ARSIZIO –VA- 


(Quart. Sant’Anna dietro la piazza principale) 


e-mail: circ.pro.g.landonio at tiscali.it 

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L'ASSASSINIO DI ANTONIO LO MUSCIO






- Nasce a Trinitapoli (FG) il 28 marzo 1949
- Non risponde alla chiamata per il servizio militare ed è quindi arrestato nel 1970 dove rimane per 2 anni
- torna in carcere più volte
- nel 1975 lavora alla Fargas di Novate milanese per qualche tempo
- milita nei Nuclei Armati Proletari
- viene ucciso dai carabinieri a Roma, il 1 luglio 1977




 
Antonio Lo Muscio, appena giustiziato dalla violenza di Stato.




I CARABINIERI RIEMPIONO DI PIOMBO IL "NAPPISTA" ANTONIO LO MUSCIO, PESTANDO A SANGUE MARIA PIA VIANALE E FRANCA SALERNO.
LEONE, COSSIGA E COLLEGHI SI COMPLIMENTANO COI CARABINIERI PER LA "BRILLANTE OPERAZIONE".
NOI ELEVIAMO IL NOSTRO GRIDO DI SDEGNO CONTRO IL TERRORISMO STATALE E GETTIAMO UN GAROFANO ROSSO SULLA SALMA DELL’UCCISO.




Comunicato dell’Esecutivo Centrale del 2 luglio 1977 apparso su RIV.COM. ED. Sud n. 4 del 31/7/1977



Venerdi, 1º luglio [1977], verso le ore 20 in piazza S. Pietro in Vincoli a Roma, nel quadro della caccia al nappista condotta dalla polizia, il brigadiere Massitti ha steso al suolo a colpi di mitra il nappista Lo Muscio e lo ha finito a colpi di pistola. Nel contempo il carabiniere Pucciarmati, tenendo sotto la canna del proprio mitra Maria Pia Vianale e Franca Salerno, si è abbandonato ad un furioso pestaggio. Lo Muscio, Vianale e Salerno, si trovavano sulla scalinata della chiesa a consumare alcune pesche. Dopo questa spietata esecuzione, autorità, TV e stampa, hanno orchestrato il coro rituale di "mostrificazione" della vittima, esaltando la vittoria della legge sulla follia ideologizzante dei NAP. Per ricompensa, il brigadiere Massitti è stato proposto a maresciallo, e il carabiniere Pucciarmati ad appuntato. Questo coro, ipocrita e brutale, non ha potuto cancellare la voce di Franca Salerno che, mentre veniva caricata sull’autoambulanza, ha esclamato: "Siete degli assassini. Tutti devono sapere che non abbiamo sparato". Questa voce riecheggia accusatrice e inchioda gli assassini alle loro responsabilità.

Con l’uccisione di Antonio Lo Muscio sale a 7 la lista dei nappisti uccisi dalla polizia o periti nel corso di attentati sfortunati. Essi sono: Sergio Romeo e Luca Mantini, liquidati il 29/10/74 a Firenze; Vitaliano Principe e Giovanni Taras periti nelle esplosioni dell’11 marzo e del 30 maggio 1975; Annamaria Mantini, freddata dall’agente Tuzzolino l’8/7/75; Martino Zicchitella, rimasto sul suolo il 14/12/76. Lo Muscio era braccato senza tregua dal fallito attentato al vice-questore Noce. Da allora era stato condannato a morte. E la condanna è stata eseguita in piena regola, come nelle passate impiccagioni, in pieno centro e sotto gli occhi della folla perché l’esecuzione restasse impressa nella testa della gente.

Noi internazionalisti condanniamo, con sdegno, questo assassinio a freddo. Condanniamo, con sdegno, la macabra messa in scena che, del cadavere, ne fanno televisione e stampa. Noi gettiamo un garofano rosso sulla salma di questo ennesimo proletario che paga, con la vita, la propria sfida sbagliata alla società borghese. Ed eleviamo il nostro grido di lotta contro il terrorismo poliziesco e lo Stato terrorizzante.

L’uccisione di Lo Muscio e la cattura della Vianale assestano un altro colpo ai "Nuclei armati proletari". Bisogna però osservare che, a sconfiggere i NAP, non è la mano dura dello Stato. È la loro stessa strategia che condanna i NAP alla sconfitta. Il nappismo, come ideologia di lotta carceraria non può essere soppresso dai mitra della polizia. Le carceri sono piene di proletari, di innocenti e di giovani. Quindi ci sarà sempre materiale per questa ideologia. Il nappismo, come esempio di lotta armata allo Stato borghese, è, invece, senza via di sbocco, è fallito in partenza, perché manca del soggetto indefettibile di questa lotta: la classe operaia.

Le azioni dei NAP, come tutte le azioni compiute con profonda convinzione e generosità, trasmettono un lascito di esperienze, positive e negative. L’offesa maggiore, che si può fare a chi paga i propri errori con decenni di galera, o con la propria vita, è il giudizio di quei marxisti di sinistra i quali affermano o pensano che gli attentati danno il pretesto al governo per legittimare la repressione. Come dire che se non ci fossero i NAP (o altri guerriglieri) vivremmo in buona compagnia coi lavoratori della pubblica sicurezza! 

La democrazia parlamentare si arma fino ai denti per soffocare la lotta quotidiana delle masse proletarie, non solo per dare la caccia ai gruppi clandestini. Gli attentati dei NAP mettono, semmai, a nudo il carattere terroristico della legalità democratica. Per questo la critica ai NAP non può concedere e non deve concedere nulla all’avversario di classe.



CON UN PROCESSO LAMPO CONDANNATE A QUATTRO ANNI MARIA PIA VIANALE E FRANCA SALERNO. ABBASSO IL TERRORISMO DELLA LEGALITÀ!
AVANTI CON LE DONNE INTERNAZIONALISTE SULLA LINEA DELLA DIFESA PROLETARIA.

Comunicato della Commissione Femminile del 13/7/1977 (pubblicato nel Supplemento  MURALE DI RIV. COM.del 15/7/77)



La 9ª sezione del Tribunale penale di Roma, presieduta dal dr. Antonio Aliprandi, ha inflitto, oggi 13 luglio al termine di un processo lampo, una condanna a 4 anni di reclusione e 500.000 lire di multa alle nappiste Maria Pia Vianale e Franca Salerno per detenzione d’armi. La condanna segue al pestaggio, cui le due donne erano state sottoposte il 1º luglio all’atto della cattura, ad opera del carabiniere Pucciarmati, promosso poi nei giorni scorsi, per questo pestaggio bestiale (la Salerno è incinta da 4 mesi), ad appuntato. Essa completa questo pestaggio. Noi donne internazionaliste eleviamo la nostra protesta contro questa condanna lampo, esemplare, inflitta dai giudici romani a monito dell’efficienza punitiva dello Stato. Abbasso il terrorismo della legalità! La nostra solidarietà alle due nappiste condannate che combattono, anche se in modo sbagliato, questo Stato reazionario: della disoccupazione, del carovita, delle tasse e della galera.



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TRE SECOLI DI RECLUSIONE AI NAP. LA MAGISTRATURA DEMOCRATICA PRONUNCIA LA SUA VENDETTA. LOTTA ARMATA E LINEA DI CLASSE
Articolo apparso su RIV.COM.Sud n. 2 del 17/3/1977 e Lotte Operaie Murale n. 136 del 17/2/1977



La Corte, di Assise di Napoli ha emesso, il 16 febbraio all’alba, la sentenza a carico dei NAP. La Corte ha inflitto 289 anni e 11 mesi di carcere a 22 giovani, molti dei quali rei di niente, e tutti imputati di reati che non giustificano una così pesante condanna. Ecco le pene globali (cumulando reclusione e arresto): Giovanni Gentile Schiavone 22 anni; Nicola Pellecchia 21 anni e 5 mesi; Antonio De Laurentis e Aldo Mauro 20 anni e 5 mesi; Fiorentino Conti 20 anni; Domenico Delli Veneri 18 anni e 5 mesi; Pietro Sofia 16 anni e 5 mesi; Giorgio Pannizzari 16 anni e 4 mesi; Pasquale De Laurentis 15 anni e 4 mesi; Alberto Buonoconto e Claudio Carbone 15 anni; Maria Pia Vianale 13 anni e 5 mesi; Alfredo Papale 10 anni e 10 mesi; Giuseppe Sofia 10 anni e 3 mesi; Edmondo De Quartez 9 anni; Roberto Galloni 7 anni e 11 mesi; Enrico Galloni, Claudio Savoca, Franca Salerno 7 anni e 5 mesi ciascuno; Maria Rosaria Sansica 6 anni; Roberto Marrone 5 anni e 4 mesi; Pasquale Abatangelo 4 anni e 6 mesi.

Questa è la sentenza emessa da una Corte che, nelle prime battute del processo, ha rischiato di essere deferita dal PSI e dal PCI al Consiglio Superiore della Magistratura per debolezza verso gli imputati. Si conclude così, con questa condanna esemplare, il primo grado di un processo di Stato; di un processo che ha dimostrato con estrema eloquenza come lo Stato democratico manipoli gli stessi codici fascisti per punire ferocemente chi lo sfida in nome del comunismo.

I NAP hanno avuto numerosi morti ma non hanno ucciso nessuno. Le loro azioni sono stati atti dimostrativi. L’unica persona rimasta sul terreno è l’agente Palumbo morto nel tragico attentato del 14 dicembre scorso al vicequestore Noce che costò la vita a Martino Zicchitella e che va ancora chiarito. Essi hanno invece perso: il 29/10/1974 Giuseppe Romeo e Luca Mantini fucilati a Firenze da una pattuglia di polizia; l’11/3/75 Vitaliano Principe; il 30/5/75 Giovanni Taras; il 15/7/75 Anna Maria Mantini freddata dall’agente Tuzzolino. La sentenza rivela perciò la sua carica di furore reazionario.

Gli imputati, naturalmente, erano preparati ad un esito del genere. Pasquale Abatangelo aveva dichiarato, tempo prima, ai giudici di Firenze: "La vostra giustizia si configura come una vendetta verso i compagni e come premio verso i servi per cui non ci interessa, anzi ci interessa solo il metodo per disorganizzarla e per smascherarla agli occhi del popolo". Noi esprimiamo il nostro sdegno contro la legalità del terrore e diamo la nostra solidarietà politica ai condannati.

Ciò fatto, ci permettiamo alcune osservazioni sulla condotta tenuta dai NAP al processo. I rappresentanti dei NAP hanno improntato il loro atteggiamento, nell’aula dell’assise, al criterio sbagliato del "confronto armato"; criterio che discende dall’errore di partenza della visione nappista: "la strategia di lotta armata". Essi hanno cercato di trasporre nell’aula giudiziaria quello scontro che solo all’esterno era praticabile; peccando di primitivismo. Un prigioniero non può continuare la guerra, con le stesse armi, contro chi lo ha in potere. Così è sfumata l’azione di smascheramento del processo, cioè il processo allo Stato.

In base a un giusto criterio marxista, nel processo che lo Stato borghese monta ai rivoluzionari, il compito dei rivoluzionari è quello di respingere la veste di imputato, di rivendicare l’autodifesa (che non comporta preclusione automatica dei difensori), e, stando sul terreno del dibattito, trasformare il processo dello Stato in un processo allo Stato. Questo è il metodo che permette ai rivoluzionari di smascherare la "giustizia" borghese agli occhi delle masse proletarie.

Passiamo ad un’altra questione. Alcuni giorni prima dell’inizio del processo, nel foglio "Sud proletari in rivolta" di ispirazione nappista, era espresso l’augurio che il processo non costituisse "un cadavere per avvoltoi"; ma "un momento per il dibattito sulla lotta armata". In effetti il processo, invece di aprire questo dibattito lo ha freddamente soffocato col cappio della criminalizzazione. In ogni caso non è dal processo, che è una macchina di vendetta dello Stato, che può derivare popolarità a questo dibattito. La lotta armata, come sviluppo della lotta di classe, ha la sua università nella pratica e tra le masse. Non è un concetto da importare dall’esterno. La parte più avanzata delle masse, e anche la stragrande maggioranza di esse, nello sviluppo del processo rivoluzionario, questa lotta la fa. Ancora il proletariato italiano non è pronto per questa forma di lotta. 

La storia del movimento proletario è costellata da tentativi immaturi e generosi. Anche questi, come l’azione dei NAP, contribuiscono all’elaborazione della linea di classe e all’applicazione dei giusti metodi di lotta (alla combinazione dei metodi legali e illegali). Spesso essi pongono, in modo acerbo, un’esigenza permanente. In questo senso il dibattito sulla lotta armata, che è un aspetto della questione militare della rivoluzione, non può che incontrare un crescente interesse con lo sviluppo della lotta rivoluzionaria. Si illudono, quindi, i democratici sanguinari che pensano di stroncare col terrore le azioni e i metodi violenti di lotta. Il terrore statale genererà una reazione sempre più violenta nel seno delle masse.





NUOVI PROCESSI E TRASFERIMENTI AI N.A.P. 

Presa di posizione tratta da Lotte Operaie Murale  supl.sid. dei comunisti internazionalisti (RIVOLUZIONE COMUNISTA) n. 137 del 28/2/1977



La Corte di Assise di Napoli processerà, nuovamente, gli aderenti ai Nuclei armati proletari. Questa volta si tratta di singoli attentati attribuiti al gruppo. Attentato ai magistrati Paolino Dell’Anno e Margariti; attentato al presidente dell’unione petrolifera Theodoli; attentato al vicequestore Noce. Un nuovo processo che dimostra quale furore punitivo anima la "giustizia borghese"!

Ad investire del nuovo processo l’Assise di Napoli è stata la Corte di Cassazione che, evidentemente, è rimasta abbastanza soddisfatta dell’operato dei giudici napoletani. Mentre a Napoli si prepara un nuovo processo di regime, da Napoli vengono trasferiti, per le destinazioni più lontane e nei penitenziari più orridi, i "nappisti" già condannati.

Alle autorità carcerarie e di sorveglianza non basta che i condannati stiano nel carcere di Poggioreale sotto sorveglianza speciale; ad esse aggrada che gli elementi più rappresentativi dei Nap assaggino le galere più dure. Così Gentile Schiavone, condannato a 22 anni, e Nicola Pellecchia, condannato a 21 anni e mezzo, sono stati spediti all’Asinara in Sardegna per "rimeditare sul loro operato".

La magistratura, il governo dello Stato democratico, non ha nulla da invidiare ai più feroci aguzzini d’altri tempi. Per questo il cuore di ogni proletario deve riempirsi di un odio inestinguibile e di una profonda volontà rivoluzionaria.





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