[Redditolavoro] Saverio Saltarelli 12 dicembre 1970 per non dimenticare

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Sun Dec 12 20:13:08 CET 2010


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From: circ.pro.g.landonio at tiscali.it 


                    CIRCOLO SAVERIO SALTARELLI 
               VIA SALVO d’ACQUISTO,9

                   (Quart.Baggio)

                -20152 MILANO-ITALIA-

                                                                              ------------------------


         CIRCOLO DI INIZIATIVA PROLETARIA

                 GIANCARLO LANDONIO

      VIA STOPPANI,15 -21052 BUSTO ARSIZIO –VA- 


    (Quart.Sant’Anna dietro la piazza principale)

                   e-mail: circ.pro.g.landonio at tiscali.it




VOLANTONE  IN CORSO DI DISTRIBUZIONE A MILANO NELLE GIORNATE DI MOBILITAZIONE DEI LAVORATORI E STUDENTI  Form. PDF clicca qui sotto




Che cosa è stato il 12 dicembre
Strage di Stato, terrorismo fascista, ipocrisia democratica







Saverio Saltarelli 

12 Dicembre 1970



Che cosa è stato il 12 dicembre
Strage di Stato, terrorismo fascista, ipocrisia democratica.





Il 12 dicembre è diventato una ricorrenza della democrazia nazionale 
borghese. Gli studenti che percorrono le strade delle grandi città 
nell’annuale corteo, celebrano una tradizione di cui spesso non conoscono 
le origini. Noi, che quel giorno ricordiamo Saverio Saltarelli, denunciamo 
le responsabilità e corresponsabilità dello Stato democratico nelle 
stragi e negli assassinii degli anni ´60,´70 e ´80 del secolo scorso. 
Questa breve nota è rivolta ai giovani, studenti e proletari, 
interessati a conoscere quelle responsabilità per combattere questo 
Stato, ormai diventato uno Stato reazionario, militarista, 
terrorizzante del capitale parassitario.
.






******************




Il 12 dicembre 1969 - Quel giorno vengono compiuti quattro attentati: 
una bomba esplode nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura 
di Piazza Fontana a Milano, facendo 16 morti e oltre 100 feriti; un’
altra rimane inesplosa nella sede della vicina Banca Commerciale; 

due altri ordigni esplodono a Roma, sotto l’altare della patria (4 feriti)

e nella sede della BNL (14 feriti). Questi attentati sono il culmine 
della campagna terroristica attuata durante tutto il 1969 da un 
gruppo neofascista di Padova, guidato da Franco Freda, cui partecipano 
uomini collegati ai servizi segreti.

La montatura poliziesca - Governo di centro -sinistra DC- PSI, 
partiti parlamentari e magistratura, prendendo a pretesto la strage di Piazza 
Fontana, scatenano la macchina repressiva dello Stato contro i 
raggruppamenti anarchici e di estrema sinistra. Centinaia di  militanti 
vengono arrestati. Numerose sedi vengono perquisite, I gruppi di 
estrema sinistra vengono trattati come se fossero, di fatto, fuori 
legge. Il 15 dicembre 1969 vengono imputati degli attentati gli 
anarchici del Circolo XXII Marzo di Roma: Pietro Valpreda, Emilio 
Borghese, Roberto Mander e Roberto Gargamelli. Con loro viene 
imputato anche Mario Merlino, fascista amico dello squadrista Delle Chiaie, 
infiltrato nel gruppo anarchico.

Intanto la polizia infierisce contro gli anarchici. Cade la prima testa: 

nella notte fra il 15 e il 16 dicembre del 1969 viene ucciso durante un interrogatorio nella questura di Milano il ferroviere anarchico Pino Pinelli. 


        [L’atmosfera politica si fa più drammatica. 
Mentre la paura e lo sbandamento s’impadroniscono dell’ambiente
studentesco e dei gruppi politici, la nostra organizzazione di Milano
lancia un appello di solidarietà a favore dei compagni colpiti. In 
un volantino del 17/12/69 dice. 

" In questo momento in cui gli 
anarchici sono sottoposti al linciaggio fisico e morale da parte degli 
sfruttatori capitalisti, noi Internazionalisti eleviamo il nostro grido di sdegno ed esortiamo tutti i compagni, tutti i veri proletari, a manifestare la loro solidarietà politica." 


         L’appello trova i gruppi studenteschi milanesi indifferenti e sostanzialmente, ostili.
Il 20/12/69 hanno luogo i funerali di Pinelli. La nostra sede milanese 
partecipa coi propri simboli di gruppo Internazionalista (RIVOLUZIONE 
COMUNISTA), per manifestare pubblicamente contro il terrorismo 
borghese. A portare la loro solidarietà sono centinaia e centinaia di 
operai e proletari. Vi è pure, con i propri simboli il PCd´I (m-l); 
qualche studente a titolo individuale. Il Movimento Studentesco della 
Statale insieme al P.C.I. sono invece affaccendati a gettar fango 
sugli anarchici e a organizzare manifestazioni in difesa della democrazia. 
Lotta Continua, pur non partecipando al funerale, denuncia ugualmente 
nel proprio giornale l’ "assassinio" di Pinelli e la persecuzione dei 
rivoluzionari. L’incalzare degli avvenimenti accelera, in modo 
vertiginoso, il processo di delimitazione politica in seno agli 
studenti. n.d.r.]



Perché la strage? - Per rispondere a questa domanda bisogna ricordare 
che nel 1968-69 si chiude l’epoca della grande espansione economica 
post-bellica, in Italia e nel mondo; e inizia l’epoca della crisi del 
sistema mondiale dell’imperialismo, che - aggravata - dura tuttora. 
In quegli anni, il proletariato italiano entra sulla scena politica con le 
sue grandi lotte per l’aumento del salario e per la riduzione dell’
orario. Il conflitto tra la borghesia e il proletariato si acutizza. 
Al contempo inizia la crisi di regime della borghesia italiana, che si 
divide sulle soluzioni politiche da dare alla necessità di 
riorganizzare il suo sistema industriale e finanziario e aumentare lo 
sfruttamento del proletariato.
Lo squadrismo e lo stragismo fascisti vengono sostenuti da una parte 
dei gruppi economico-finanziari più legati ai grandi monopoli americani 
(armatori, petrolieri) o basati sulla rendita, da strati della media e 
piccola borghesia imprenditrice e commerciale, da una parte della 
burocrazia statale e militare, che puntano a risolvere con metodi 
autoritari ed extraparlamentari la crisi di regime (i conflitti con i 
gruppi monopolistici allora predominanti in Italia: IRI, ENI, Fiat, 
Pirelli, Montedison) e più in generale il conflitto con la classe operaia.
Le stragi del 1969, e tra queste Piazza Fontana, dovevano servire a 
imporre una svolta a destra della politica di governo e sostenere lo 
sviluppo elettorale del partito fascista (il MSI, oggi AN). In seguito, 
fallito questo tentativo, la strage di Brescia (28 maggio 1974) ha 
segnato il passaggio dell’ala fascista della borghesia alla politica 
del "colpo di Stato", perseguita per tutti gli anni ´70 e parte degli 
anni `80 del 1900. 



Perché la montatura contro gli anarchici? – L’incarcerazione di 
Valpreda e compagni e la caccia al rosso sono servite immediatamente 
a tutta la borghesia per cercare, senza peraltro riuscirci, di mettere in 
ginocchio la classe operaia di fronte al padronato, durante gli 
scioperi per i rinnovi dei contratti nazionali. Queste montature sono 
servite anche per tentare di stroncare i raggruppamenti di estrema 
sinistra, che avevano una presa crescente tra i giovani operai e 
studenti. Ma il vero scopo della montatura e della campagna 
terroristica di Stato era quello di nascondere che il fascismo stava 
nei vertici della Repubblica costituzionale: nella polizia, 
magistratura, servizi segreti, alti comandi militari. Nulla di strano 
in questo: la Repubblica democratica prese di peso l’intero apparato 
amministrativo, giudiziario, militare del fascismo. Il personale 
dirigente di questo apparato fu per giunta rivalorizzato nel dopoguerra 
dalla politica controrivoluzionaria della NATO, sotto l’egemonia dell’
imperialismo americano in Europa (vedi le strutture di Gladio e la 
Loggia P2). Poliziotti, magistrati e uomini di governo conoscevano 
perfettamente da chi e perché era stata organizzata la strage di Piazza 
Fontana e quali fossero i rapporti tra il gruppo di Freda-Ventura, 
cellula padovana del gruppo neofascista Ordine Nuovo, gli uomini dei 
servizi segreti e gli alti gradi militari, sia italiani sia americani.
Ma essi non potevano colpire i fascisti inseriti nei vertici dello Stato,

con i quali collaboravano da 25 anni per opprimere le masse sfruttate, 

né potevano impedire a quei compari di sviare, insabbiare le 
inchieste sulla strage di Piazza Fontana e sulle altre che sono seguite 
(difatti queste indagini continuano tuttora e non avranno mai fine).



12 dicembre 1970: la polizia del centro-sinistra uccide il nostro 
compagno Saverio Saltarelli - In questo clima di ipocrisia democratica 
e livore antiproletario, la polizia vieta la manifestazione organizzata 
a Milano il 12 dicembre 1970 dagli anarchici per la liberazione di 
Valpreda. Il nostro raggruppamento partecipa al corteo per solidarietà 
con i prigionieri e contro il divieto deciso dal ministro dell’interno, 
che invece ha autorizzato: un corteo antifranchista promosso da PCI- 
PSI-DC-Sindacati e un presidio antifascista davanti all’università da 
parte del Movimento Studentesco della Statale (MSS). Il corteo 
anarchico viene caricato duramente dalla polizia nei pressi dell’
università, ma il servizio dell’ordine del MSS impedisce ai 
manifestanti di rifugiarsi nell’ateneo. Durante una carica i celerini 
sparano lacrimogeni ad altezza d’uomo: Saverio Saltarelli, 23enne 
studente-lavoratore militante del nostro Comitato studentesco di 
agitazione rivoluzionaria viene colpito al cuore e muore. Questo 
assassinio dimostra che ad un anno dalla strage il governo di centro-
sinistra prosegue la politica di repressione statale e che la 
sinistra parlamentare ( PCI-Psiup-Sindacati, con la ruota di scorta 

dell’ MSS diventato una polizia civica)  è parte integrante dello

schieramento ordinista.

"La strage è di Stato" -Il repressivismo poliziesco non ha piegato le 
centinaia di migliaia di giovani che il 12 dicembre del 1971 e del 1972 
sono nuovamente scesi in piazza, fino ad ottenere la scarcerazione 
dell’ anarchico Valpreda e dei suoi compagni. " La strage è di Stato - 
Pinelli è stato assassinato": queste verità, gridate nelle piazze 
dimostravano la consapevolezza non solo delle responsabilità dei 
fascisti ma anche della complicità dei vertici statali e del livore 
antiproletario degli uomini di governo.



La "storia infinita" dei processi su Piazza Fontana - dal 1969 al 

2005 lo stato italiano ha celebrato 7 processi su Piazza Fontana. Il 
primo processo, a Milano e Roma, fu costruito per imputare gli 
anarchici e terrorizzare il movimento operaio e studentesco. Dal 1971, 
prima a Treviso e poi a Milano, vennero indagati i fascisti padovani 
di Ordine Nuovo, Freda e Ventura; protetti dai servizi segreti. Le 
"finezze processuali" della Cassazione riuscirono a far confluire 
entrambi i procedimenti nel mostruoso processo di Catanzaro, ove 
erano imputati insieme Valpreda e Merlino, Freda, Ventura, per tenere

in piedi la tesi degli "opposti estremismi contro lo Stato". Dopo varie 
vicende, il 27/1/1987 la Cassazione chiudeva definitivamente questo 
processo, confermando la sentenza della Corte d’Appello di Bari, che 
aveva assolto per "insufficienza di prove" sia Valpreda sia i fascisti 
Freda, Ventura, Merlino. 
Negli anni ´90, iniziava a Milano una nuova indagine contro la cellula 
veneta di Ordine Nuovo. Venivano imputati per la strage i componenti 
del gruppo di Mestre - Venezia, collegati al gruppo di Padova (ma Freda 
e Ventura non potevano essere nuovamente processati): Carlo Digilio, 
"pentito" accusatore; Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi più Giancarlo 
Rognoni; noto fascista milanese. La Corte d’Assise di Milano, con 
sentenza del 30/6-30/9/2001, condannava all’ergastolo Zorzi, Maggi e 
Rognoni, ed assolveva Digilio, riconoscendogli le attenuanti per la 
"collaborazione" e dichiarando prescritto il suo reato. Il 12/3/2004, 
però, la Corte d’Assise d’appello di Milano ribaltava la sentenza, 
mandando assolti Rognoni (con formula piena) e Zorzi più Maggi (per 
insufficienza di prove). Nella sentenza d’appello, la Corte ha scritto 
che della strage sono responsabili Freda e Ventura, la cui precedente 
assoluzione sarebbe stata un "errore giudiziario", ma che non vi sono 
prove sufficienti per collegare la cellula padovana di Ordine Nuovo 
con quella veneziana, nell’esecuzione dell’attentato.
L’ipocrisia giudiziaria ha dunque raggiunto il massimo, poiché lo 
Stato ha trovato il modo di non punire i suoi complici neofascisti, che 
sono tutti in libertà. La Corte di Cassazione, il 30/5/2005 Ha 
confermato definitivamente questa sentenza, aggiungendo alla beffa il 
danno: i parenti delle vittime della strage, che si erano costituiti 
parte civile, sono stati condannati alle spese. 



Non "celebrare" il 12 dicembre ma lottare per la rivoluzione e il 
comunismo -I giovani di oggi non devono perdere tempo dietro alle 
ricorrenze ipocrite, che servono solo a nascondere la natura 
profondamente reazionaria della borghesia reazionaria, che unisce 
contro il proletariato sia i fascisti che gli antifascisti,clericali e 
massoni,golpisti e antigolpisti. I giovani proletari e studenti che 
vogliono ricordare con la lotta i morti nelle stragi fasciste e sotto 
il piombo poliziesco si portino sulla linea della rivoluzione 
comunista, dando il loro appoggio e il loro entusiasmo al partito 
proletario, per combattere lo Stato reazionario e costruire una 
società comunista,di liberi e uguali.




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L’Esecutivo della Sezione di Milano
di RIVOLUZIONE COMUNISTA 10 dicembre 2009.
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Edizione a cura di 
RIVOLUZIONE COMUNISTA 
SEDE CENTRALE: P.za Morselli 3 - 20154 Milano 
e-mail: rivoluzionec at libero.it 
http://digilander.libero.it/rivoluzionecom/-
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IL TRIBUNALE DI MILANO CONDANNA A NOVE MESI IL CAPITANO ANTONETTI.

Ma Saverio Saltarelli dovrà ancora avere la sua giustizia!




Alle ore 22 del primo luglio 1976 il tribunale di Milano, II° sezione penale, ha emesso la sentenza a carico del capitano di polizia Antonetti, condannandolo a 9 mesi di reclusione con la condizionale, nonché al pagamento di una provvisionale di un milione di lire a testa per le parti civili (il padre di Saverio e 6 fratelli e sorelle) più le spese legali e il risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede. Con questa sentenza di condanna si conclude, in primo grado, il processo farsa iniziato circa 6 anni dopo l’assassinio del nostro militante il 12 dicembre 1970.

 La giustizia borghese è questa; al massimo può arrivare a una condanna per colpa. Essa non punirà mai per omicidio volontario un suo funzionario. Comunque, considerando il codismo statale della nostra magistratura , questa sentenza è una delle poche di condanna pronunciata nei confronti di ufficiali di polizia. Ci auguriamo, per i familiari del compagno assassinato, che essa non venga travolta dall’appello fatto dall’imputato, perché sarebbe una burla grottesca.

 Il processo si è svolto nella più completa indifferenza e sul terreno del più controllato tecnicismo. La nostra sede milanese locale che, con stampa e volantini, ha rievocato gli avvenimenti di allora e la figura politica di Saverio Saltarelli, lo ha seguito con discrezione, in quanto la vicenda giudiziaria così impostata aveva esclusivamente valore sul piano risarcitorio, per i familiari.

 Sul piano politico e su quello morale, nessun risarcimento poteva venire, dal processo, al nostro compagno. I responsabili dell’assassinio di Saverio non sono solo gli esecutori materiali: gli agenti e il capitano di polizia. Sono anche i mandanti: l’allora ministro Restivo ed il centro-sinistra, allora governo in carica. Saverio è stato una vittima del centro-sinistra e non può essere la sentenza di condanna dell’Antonetti che può rendergli giustizia!

 La “giustizia” il nostro compagno l’avrà, ma dalla lotta delle masse proletarie contro il potere capitalistico e dalla nostra azione rivoluzionaria. 





   Tratto da: LOTTE OPERAIE  Supplem. murale (affisso sui muri non solo di Milano) al Bollettino Sindacale dei Comunisti Internazionalisti. – RIVOLUZIONE COMUNISTA -   NR.120 del 02/07/1976    

[Volantinato e distribuito nelle fabbriche del milanese - del varesotto e nei cortei operai  in quel periodo.] 

Milano, luglio1976

Piazza Morselli, 3 

 Ciclinproprio                                      L’esecutivo milanese di RIVOLUZIONE COMUNISTA 









IL COMPAGNO SAVERIO e l’onorevole Taviani



 Il 7 dicembre 1970 alcuni giorni prima di essere ucciso. Saverio si trovava Genova a diffondere la nostra stampa. Verso le ore 11.30, dall’università Balbi, dove egli si trovava a diffondere usciva un professore al quale egli presentava la stampa. 

Il professore chiedeva: “E’ un organo del PCI ufficiale o di uno degli altri 27 ??”  Al che Saverio rispondeva: “E’ uno degli altri 27”. Ne scaturiva il vivace scambio di battute che qui sotto riportiamo.



 Professore: Allora non mi interessa. Divisi come siete non  

                   contate nulla.



 Saverio: Anche i bolscevichi erano pochi e divisi da tutti gli  

              altri “27”, ma hanno preparato e vinto la rivoluzione



  Professore: Ma con chi la volete fare la rivoluzione? 


 Saverio: La faremo con gli operai e le masse proletarie. 


 Professore: Gli operai!? Bastano 100 soldati per fermare gli                     

                    Operai. Se Lenin non avesse avuto la cannoniera                       Aurora non  avrebbe fatto nulla! 


 Saverio: Armeremo gli operai e mobiliteremo i soldati.



 Professore: I soldati! Basta un sergente per tenerli a bada. 

                   Per vincere una rivoluzione ci vuole l’esercito.          


Saverio: Ci libereremo di sergenti e ufficiali, spingendo i  


              Soldati contro di loro. 



Professore: Soldati e operai sono fantasie, e poi voi siete divisi. 


 Saverio: Anche i partiti della borghesia sono divisi tra di loro 

              e anche al loro interno.



 Professore: Ah, Ah! Meglio…cento uomini divisi, ma decisi! 

                   e  ricordatevi, un ufficiale vale mille soldati!...



 A questo punto il professore, che risultava essere l’onorevole Taviani, viene invitato dal suo autista a salire in macchina. 





  Tratto da: LOTTE OPERAIE  Supplem. murale (affisso sui muri non solo di Milano) al Bollettino Sindacale dei Comunisti Internazionalisti. – RIVOLUZIONE COMUNISTA -   NR.35 del 10/12/1973.
Edizione a cura di
RIVOLUZIONE COMUNISTA
SEDE CENTRALE: P.za Morselli 3 - 20154 Milano
e-mail: rivoluzionec at libero.it
http://digilander.libero.it/rivoluzionecom/

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Canzone di lotta dell’epoca cantata in tantissimi cortei all’inizio degli anni settanta del secolo scorso…





CANZONE: COMPAGNO SALTARELLI
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 Il dodici dicembre un anno era passato

dal giorno delle bombe della strage di stato

e in uno scontro in piazza, con una bomba al cuore

ammazzan Saltarelli gli sbirri del questore.

 Se cambiano i governi, i mezzi, sono uguali:

padroni e riformisti ammazzan proletari.

Restivo e Berlinguer, con le stesse parole

dicono: «Sì, è morto, gli si è fermato il cuore».

 Ma la gente dei quartieri dice: «Ieri Pinelli

ce l'hanno assassinato, ed oggi Saltarelli».

Compagno Saltarelli, noi ti vendicheremo,

burocrati e padroni tutti li impiccheremo.

 Studenti del Feltrinelli, nella nebbia del mattino,

vanno tutti alla O.M. dal compagno Martino;

e lì Martino piange, non crede nel vedere

quando entrano in fabbrica con le rosse bandiere.

 E poi con gli operai sono tornati in piazza:

«Basta con i padroni, con questa brutta razza!».

Operai della Pirelli, una gran folla enorme

hanno bruciato in piazza cartelli delle riforme.

 Poi tutti quanti insieme, tremilacinquecento,

sono entrati alla Siemens con le bandiere al vento.

E per tornare al centro non han fatto il biglietto:

«Noi viaggiamo gratis, paga Colombo», han detto.

 Compagno Saltarelli, noi ti vendicheremo,

burocrati e padroni tutti li impiccheremo.

Restivo e Berlinguer si sono accalorati

nel dir che gli estremisti vanno perseguitati;

 Restivo e Berlinguer vanno proprio d'accordo,

le loro istituzioni valgono bene un morto!

Sei morto sulla strada che porta al Comunismo,

ucciso dai padroni e dal revisionismo.

 Compagno Saltarelli, noi ti vendicheremo,

burocrati e padroni tutti li impiccheremo.

Le bombe e le riforme son armi del padrone,

la nostra sola arma è la rivoluzione;

 ed oggi nelle piazze, senz'esser stabilito,

abbiamo visto nascere nei fatti un gran partito;

contro tutti i padroni, contro il revisionismo,

uniti nella lotta per il Comunismo!

 Compagno Saltarelli, noi ti vendicheremo,

burocrati e padroni tutti li impiccheremo.

Compagno Saltarelli...

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DAL BLOG:

Italia rossa
Per una soluzione rivoluzionaria della crisi italiana

lunedì, 11 dicembre 2006 
Saverio Saltarelli (1947 – 1970)
12 dicembre 1969 - 12 dicembre 1970: due date da non dimenticare 

Saverio Saltarelli nacque il 25 maggio 1947 a Pescasseroli (L'Aquila) da una famiglia di pastori. Trasferitosi a Milano, frequentò il liceo e poi l'università, alternando studio e lavoro. Al paese aveva organizzato delle lotte contro la devastazione del Parco Nazionale degli Abruzzi ad opera della speculazione edilizia e per alleviare la grave condizione dei lavoratori stagionali e degli edili. Nell'estate del 1969, mentre lavorava come falegname in un cantiere di Pescasseroli, organizzò un gruppo di studenti-lavoratori per denunciare il supersfruttamento degli stagionali costretti a lavorare fino a 14 ore al giorno e senza contributi. Appena articolò la prima protesta venne licenziato. Ma egli non smise di lottare e denunciò con un volantino la politica del sindaco che favoriva la speculazione edilizia ed il saccheggio del Parco.

Alla fine di novembre Saverio si avvicina al Partito comunista internazionalista (Rivoluzione Comunista), cominciando ad appoggiare i compagni che operano nell'ambiente studentesco mediante il Comitato di Agitazione Rivoluzionaria (Csar). Il 23 dicembre egli è in piazza col partito per manifestare contro il terrorismo borghese. Il 21 gennaio col gruppo di autodifesa reagisce alle cariche della polizia che blocca il corteo alla partenza e, impegnandola con azioni diversive, permette che il corteo si effettui muovendosi in un'altra direzione. In questa come in altre occasioni egli rivela una notevole capacità di azione nonché i tratti più caratteristici della sua personalità: la fermezza e l'abnegazione. 

È stato ucciso dalla polizia a 23 anni, nel tardo pomeriggio del 12 dicembre 1970 nei pressi della Statale di Milano, durante la manifestazione indetta dagli anarchici per la liberazione di Valpreda-Borghese-Gargamelli appoggiata da Rivoluzione Comunista, con una bomba lacrimogena sparata da pochi metri di distanza che gli ha spaccato il cuore. 

                                                     * * * 





Dall’Agitatore comunista n.11 – Dicembre 1970) 

Profilo politico di Saverio Saltarelli 



Il compagno Saverio è una creatura tipica del più recente periodo storico. Vissuto in mezzo alle ristrettezze egli, è, fin da giovanetto, un comunista istintivo: uno che prende a cuore la sorte dei lavoratori e odia lo sfruttamento. Il suo sviluppo politico è particolarmente intenso nell’ultimo triennio. In questo lasso di tempo egli raggiunge la sua piena maturità politica. Nella sua breve esistenza egli riflette il travaglio di un’intera generazione: quella che, entrata sulla scena [politico-sociale] nel 1968, si trova ora o impegnata nella lotta o alla ricerca della via per la rivoluzione. 

Lasciato il padre che seguiva da bambino sulle montagne abruzzesi per pascolare il gregge non ancora quindicenne Saverio è introdotto in un seminario; ove, non potendo pagare la retta, si disobbliga facendo il legatore e l’elettricista. Pieno di spirito critico egli ingaggia qui le sue prime discussioni sulle condizioni sociali. Discutendo sulle differenze sociali egli prende la difesa dei poveri contro i ricchi e, nel far ciò, si appella all’esempio di Gesù Cristo. 

Passato a Milano con alcune delle sorelle si iscrive al ginnasio Berchet. Questo passo ha una grande importanza nello sviluppo della sua personalità politica. A contatto con l’ambiente evoluto del Berchet egli deve fare i conti dapprima con le proprie convinzioni religiose, in secondo luogo con l’ostilità sociale degli elementi borghesi del Berchet. Questa seconda prova è la più ardua anche perché Saverio, tra le altre difficoltà, deve vincere quella di esprimersi in lingua italiana. Ma è su questo terreno che egli dimostra le sue qualità di fondo. A differenza di alcuni suoi compagni di scuola che si vergognano delle sue umili origini Saverio se ne dimostra fiero e rintuzza in modo risoluto i tentativi di sopruso messi in atto dagli elementi razzisti. Così un giorno fa a pugni col figlio di un chirurgo che voleva prenderlo in giro per essere figlio di un pastore. 

Acceso sostenitore dell’uguaglianza sociale Saverio rimane durante i primi anni di frequenza al Berchet un comunista sentimentale. Egli crede sia possibile una conciliazione su basi umane. Ma questo comunismo ingenuo viene scosso ben presto dall’ondata impetuosa delle agitazioni operaie e studentesche, con cui si inaugura il 1968. Il Berchet è al centro delle agitazioni studentesche. Qui gli studenti liceali cacciano un professore giudicato da loro incapace di insegnare. A febbraio, mentre gli universitari torinesi occupano Palazzo Campana, i liceali occupano il Berchet (il primo liceo del paese ad essere occupato). Durante le prime ore di occupazione, avviene uno scontro tra studenti e i carabinieri intervenuti per bloccare l’entrata a un migliaio di studenti dell’Einstein. Saverio è a fianco degli occupanti e protesta contro l’intervento dei carabinieri. 

La vita al Berchet in questo periodo è infuocata. Le assemblee si susseguono in modo tempestoso, mentre tra i gruppi studenteschi di tendenza opposta cominciano a verificarsi i primi urti violenti. Tutto ciò accelera, straordinariamente, la sua maturazione politica. Saverio evolve dal comunismo ingenuo al comunismo proletario. Egli si rende conto che le masse sfruttate non possono eliminare gli sfruttatori senza una lotta radicale. Tuttavia egli non ha ancora chiari né il ruolo necessario dell’organizzazione d’avanguardia né i rapporti tra partito e classe; perciò egli non entra a far parte di nessuno dei raggruppamenti di estrema sinistra. 

Nell’autunno del 1968 fa il suo ingresso nell’università statale. Il contatto con nuovi elementi di sinistra e la più vasta vita intellettuale della Statale allargano il suo quadro politico. Egli prende parte attiva alle agitazioni, partecipa ai seminari, ma non accetta le posizioni del Movimento Studentesco (MS): lo giudica confusionario e pieno di “figli di papà” (benestanti). In questo momento alla Statale primeggiano i gruppi filo-cinesi. Saverio dibatte ogni questione con molto interesse. Legge Mao e polemizza coi filo-cinesi che ostentavano di possedere la vera ideologia rivoluzionaria e di essere la vera guida delle masse. Contrario ad ogni dottrinarismo osteggia la boria intellettuale sostenendo che l’organizzazione ci vuole ma che questa non deve distaccarsi dalle masse bensì immedesimarsi con esse. 

Le disagiate condizioni economiche non gli permettono uno studio a tempo pieno. Deve pensare anche a lavorare per vivere. Così giovedì e sabato fa il fattorino ai supermercati; per un certo tempo lavora alla Rizzoli al turno di notte intruppato in una carovana di facchinaggio; qualche volta va a scaricare sacchi di patate ai mercati generali. Pieno di entusiasmo e di vitalità egli si sforza di conciliare l’impegno politico con lo studio universitario e il lavoro. Naturalmente tutto questo non avviene che a prezzo di duri sacrifici e in condizioni di particolare asprezza. Una notte, alla Rizzoli un suo compagno di lavoro scrive una frase anti-padronale abbastanza colorita. La direzione licenzia per rappresaglia tutti gli avventizi. Saverio, pur criticando nella forma l’autore della scritta, ne condivide la sorte senza rammarico. 

Il trasferimento a Milano non lo staccò mai completamente dal paese di nascita al quale ritornava spesso. Due problemi gli stavano particolarmente a cuore e lo tormentavano fin dalla prima giovinezza: la grave condizione della manodopera locale e la distruzione del parco nazionale degli Abruzzi ad opera della speculazione edilizia. Nell’estate del 1969 mentre lavora come falegname in un cantiere organizza un gruppo di studenti lavoratori col proposito di denunciare il supersfruttamento dei lavoratori stagionali costretti a lavorare tutto il giorno senza assicurazioni sociali. La denuncia è appena articolata che egli viene licenziato sui due piedi. Qualche giorno dopo anche il fratello subisce la stessa [sorte]. Saverio non disarma. Sa che la lotta politica va fatta, prima di tutto, nel proprio ambiente. Così, appreso che il sindaco favorisce la speculazione edilizia, non esita a denunciare il fatto con un volantino. Per questa azione egli viene minacciato, pesantemente, dal[lo stesso] sindaco. 

Al suo rientro a Milano iniziano le lotte operaie per il rinnovo dei contratti. Nell’ambiente studentesco non si fa che parlare di ciò: dell’atteggiamento verso i sindacati, degli obiettivi e dei metodi di lotta, della forma di partecipazione. Saverio comprende che per ogni raggruppamento, che si qualifica rivoluzionario, diventa decisiva la propria posizione concreta rispetto a queste lotte. Perciò discute approfonditamente nella cerchia ristretta dei suoi amici tale questione. Passa al vaglio l’atteggiamento dei vari gruppi: formula le proprie critiche; partecipa alle manifestazioni di piazza. L’esperienza accumulata gli consente di distinguere le differenze politiche esistenti tra i diversi raggruppamenti. In tal modo egli è in grado di rompere quella sua naturale diffidenza, che lo portava a ripensare più volte una questione prima di decidersi e di compiere una scelta. Alla fine di novembre, nel pieno sviluppo delle lotte operaie, Saverio si avvicina alla nostra organizzazione [P.C.Int., Rivoluzione Comunista]., cominciando ad appoggiare i compagni che operano nell’ambiente studentesco mediante il Comitato Studentesco di Agitazione Rivoluzionaria (Csar). Il 23 dicembre [1969] egli è al nostro fianco per manifestare contro il terrorismo borghese. 

Con l’inizio dell’anno il suo appoggio diventa stabile. Non manca a nessuna importante azione pubblica di partito. E’ attivo e coraggioso. Il 21 gennaio [1970] col “gruppo di autodifesa” reagisce alle cariche della polizia che blocca il corteo alla partenza e, impegnandosi con azioni diversiva, permette che il corteo si effettui muovendosi in un’altra direzione. In questa come in altre circostanze egli rivela una capacità notevole di adattamento da una situazione all’altra. Ma già fin dai primi contatti con la nostra organizzazione egli rivela i tratti più caratteristici della sua personalità: la fermezza e l’abnegazione. Per lui si può dire, veramente, , che la lotta politica era una cosa seria, un impegno passionale, che egli sentiva fino in fondo. 

Fino alla primavera i rapporti tra Saverio e il nostro raggruppamento si basano essenzialmente sull’attività pratica. Egli appoggia il Csar nella sua attività di agitazione. E’ dopo il 1° maggio che la sua partecipazione all’attività complessiva di partito diviene completa, continua e sistematica. Entrato a far parte del Csar egli partecipa stabilmente al suo lavoro, sia pratico sia teorico. Qui egli mette in luce, accanto alle sue doti pratiche, il suo talento intellettuale. Perspicace e intelligente, egli impara in pochi mesi ciò che richiede anni interi. La sua preparazione teorica migliora così a vista d’occhio, stimolando le discussioni tra compagni e i dibattiti nelle riunioni. Ma il suo miglior talento è lo spirito critico. Trasportando nel Csar il suo spirito critico egli ne anima le riunioni, ne ravviva le analisi, fornendo a tutto il partito un contributo inestimabile. Nel Csar è rimasto fino all’attimo della sua uccisione, cioè fino a quel momento in cui una bomba lacrimogena sparata da pochi metri di distanza colpendolo in pieno petto non gli ha spaccato il cuore. 

Per la sua schiettezza, semplicità, era simpatico a migliaia di studenti; mentre pochi sono gli operai che nelle grandi concentrazioni industriali del Nord non ricordino il suo viso. La sua militanza è una fonte di azioni esemplari. Molti giovani della sua età vi troveranno numerosi esempi preziosi da seguire. Egli ha potuto dare solo questo contributo, ma crediamo che ciò sia sufficiente a farlo entrare nella storia del movimento operaio e comunista. 



(L’Agitatore Comunista, organo dei gruppi studenteschi internazionalisti, La Rivoluzione Comunista) 
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