[Redditolavoro] Sulle deportazioni dei Rom dalla Francia

clochard spartacok at alice.it
Wed Aug 25 00:06:15 CEST 2010


Sulle deportazioni dei Rom dalla Francia. Oltre la cittadinanza comunitaria




E se questo vuol dire rubare,
questo filo di pane tra miseria e sfortuna
allo specchio di questa kampina
ai miei occhi limpidi come un addio
lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca
il punto di vista di Dio

(F. De Andrè, Khorakhanè)







Abbiamo tante volte parlato della fortezza Europa, della distinzione tra 
cittadini comunitari e cittadini dei paesi terzi come la linea giuridica e 
sociale attraverso la quale passava l’accesso ai diritti. La sorte dei Rom 
europei, comunitari anzi, è l’esempio più eclatante di come questo criterio 
non sia valido, in realtà, per tracciare in Europa quella che Foucault ha 
definito la separazione biopolitica tra chi deve vivere e chi può essere 
lasciato morire, necessaria al fine di rendere le società governabili.

Quello che sta accadendo in questi giorni in Francia, l’espulsione 
collettiva di centinaia di Rom (93 persone sono già state deportate su due 
voli da Lione e da Parigi verso la Romania e la Bulgaria, e altri due aerei 
sono previsti entro fine agosto) è la concretizzazione dell’esistenza di 
almeno due diversi livelli di cittadini comunitari, e per quelli di serie B 
non sembrano servire a nulla il diritto dei Trattati e delle Convenzioni, né 
le Raccomandazioni e le Direttive europee. Bene che la Commissione sia stato 
il primo organo istituzionale a reagire, a ricordare che i Rom bulgari e 
Rumeni sono cittadini dell’Unione e che nei loro confronti non può essere 
attuato nessun diritto speciale. Ma è da tempo che, in tema di migrazioni, i 
governi non sembrano dare troppa importanza alle dichiarazioni che 
provengono da Bruxelles e da Strasburgo. Basti pensare all’Italia e al modo 
in cui ha del tutto ignorato la netta opposizione del Consiglio d’Europa 
alla prassi dei respingimenti di migliaia di migranti, quasi tutti 
potenziali rifugiati, verso le carceri e il deserto libico.
L’Europa della coesione sociale e dei progetti come quello che prevede 17,5 
miliardi di euro stanziati dalla Commissione per il periodo 2007-2013 per l’integrazione 
dei Rom in 12 paesi Ue, sembra venire costantemente sopraffatta da quella 
securitaria e poliziesca, che utilizza il fenomeno delle migrazioni, ovvero 
la vita di milioni di persone, come strumento delle campagne elettorali 
combattute a suon di terrore da incutere tra la gente e da curare, subito 
dopo, con spettacoli indecenti come quello cui si sta assistendo in questi 
giorni nel paese della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità. Che le 
vittime siano dei cittadini comunitari, status che loro malgrado i paesi 
della nuova Unione a 27 hanno visto accordare anche alle minoranze dei nuovi 
Stati aderenti, rende solo più evidente la gravità di questa situazione.
E poi ci sono i Rom, nello specifico, questa popolazione che secondo il 
Consiglio d’Europa non supera i dodici milioni di persone, e che ha subito 
le peggiori persecuzioni della storia. Le peggiori sì, perché quelle in 
proporzione meno commemorate e ammesse, quelle quasi giustificate dalla 
“diversità” di questa gente stabilita molto spesso su enormi equivoci come 
quello di ritenere che si tratti di persone che hanno tutte la vocazione 
culturale a non stanziarsi in nessun luogo, pregiudizio infondato che 
giustifica il loro concentramento in campi dove la dignità umana viene 
costantemente violata. Nessun progetto davvero concreto per loro, perché 
troppo sfuggenti a tutte le categorie previste e troppo comodi, certamente, 
come capri espiatori da sacrificare in ogni momento grazie alla loro 
fragilità: una popolazione fragile, che dei pregiudizi che l’hanno sempre 
circondata è stata costretta a fare uno stile di vita.
È troppo stupido dire qui, adesso, cose ovvie come quelle che anche tra i 
rom, o soprattutto tra i rom, c’è gente che delinque, o che molti bambini 
Rom non vanno a scuola. Si stenta a credere che nel 2010, dopo il terribile 
passato di questo continente in tema di razzismo e intolleranza, si sia 
ancora capaci di criminalizzare intere etnie attraverso la loro 
stigmatizzazione in quanto problema sociale.
Le cause formali delle deportazioni francesi di questi giorni sono confuse. 
Si va dalla giustificazione del rimpatrio volontario (e negli ultimi anni 
abbiamo imparato bene quanto volontari siano la maggior parte dei rimpatri 
dall’Europa), alla mancanza di mezzi e alla pericolosità sociale. Questi 
ultimi due elementi vengono enunciati insieme, come se fossero la stessa 
cosa, senza fare alcuna distinzione tra i singoli casi, anche se il governo 
francese continua a dire che tutte le posizioni dei rimpatriati sono state 
analizzate individualmente. Eppure proprio la Francia, con la legge Besson 
del luglio del 2000 aveva attuato uno degli strumenti più avanzati in 
materia di “integrazione” non solo dei Rom stanziali ma “addirittura” delle 
“gens de voyage”. Peccato che le aree attrezzate che dovevano sorgere in 
ogni Comune non siano nate che in minima parte. Da qui la costrizione, per 
queste persone, a stazionare illegalmente dove riescono, a errare di 
continuo. Ma è sempre più semplice colpevolizzare chi subisce una mancanza 
istituzionale che valutare i come e i perché di quell’inadempimento. Alla 
criminalizzazione della povertà, del resto, siamo sempre più avvezzi in 
questa società liberale in crisi in cui chi affonda (a meno che non si 
tratti di una banca) diventa da un giorno all’altro un marginale e un 
potenziale pericolo.
Ogni giorno che passa stiamo scegliendo la nostra Europa, e al di là dell’operato 
dei governi e delle dichiarazioni delle istituzioni europee, quel che fa 
davvero paura è la mancanza di reazione della maggior parte dei cittadini, 
il restare indifferenti o compiaciuti di fronte ad azioni di polizia come 
quelle francesi o ai respingimenti dei profughi verso trattamenti inumani e 
degradanti. Il non sentirsi mai in qualche modo responsabili del destino 
degli altri perché troppo intenti a difendere il proprio senza mai capire 
che esiste un’interdipendenza inscindibile.
Finché non verremo tutti toccati dentro le nostre case, direbbe Brecht, e 
non ci sarà rimasto più nessuno a protestare per la nostra sorte.

Alessandra Sciurba



http://www.meltingpot.org/articolo15762.html
[ venerdì 20 agosto 2010 ] 



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