[Redditolavoro] LE SINISTRE DI FRONTE ALLA CRISI DEL BERLUSCONISMO.

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Tue Aug 3 12:18:46 CEST 2010


LE SINISTRE DI FRONTE ALLA CRISI DEL BERLUSCONISMO.
RIFORMISTI E COMUNISTI.

nota di Marco Ferrando sulla crisi politica

La crisi verticale del berlusconismo fa da cartina di tornasole della
miseria del riformismo italiano. E chiarisce una volta di più la
differenza di fondo tra riformisti e comunisti.

La posizione assunta da Sel e Fed, a poche ore dalla crisi interna
della PDL, è molto chiara. “No a governi tecnici” perché
“riproporrebbero la soluzione Dini del 95” e affronterebbero la crisi
“più dal punto di vista di Marchionne che della Fiom” ( Ferrero); o
perché incarnerebbero “il trionfo della tecnocrazia liberista contro
la domanda di cambiamento” ( Vendola). Quindi “elezioni subito”:
“Votiamo ora, io ci sono” invoca Vendola a caratteri cubitali su il
Manifesto; “la parola torni immediatamente agli elettori, in modo che
sia possibile chiudere con Berlusconi” segue a ruota Ferrero. E
aggiunge. “Proponiamo a tutte le forze di opposizione di fare un patto
democratico per difendere la Costituzione, uscire da questo disastroso
bipolarismo, affrontare finalmente i problemi sociali del Paese” ( v.
Il Manifesto, 1°agosto). E’ la riproposizione della grande alleanza
contro Berlusconi estesa sino all’Udc e a Rutelli, già rivendicata un
anno fa.
Questa posizione delle sinistre - nel suo insieme ( elezioni subito,
alleanza di centrosinistra o addirittura di “liberazione nazionale) -
è dettata da una sola preoccupazione: non la difesa delle ragioni dei
lavoratori, e neppure la sconfitta di Berlusconi,ma la speranza di
rientrare nel “gioco politico istituzionale”, fosse pure a braccetto
con i nemici degli operai.

UNA LOGICA AUTOCENTRATA E GOVERNISTA.
Partiamo dalla richiesta di elezioni immediate. E’ del tutto evidente
che “elezioni subito”, dunque con la legge elettorale berlusconiana,
difficilmente sarebbero la liberazione da Berlusconi. Più
probabilmente sancirebbero la salvezza del Berlusconismo: consentendo
ad una coalizione PDL- Lega, per quanto indebolita, di guadagnare una
maggioranza relativa e dunque, in base alla legge, la maggioranza
assoluta del Parlamento. E’ una verità peraltro talmente evidente che-
come tutti sanno- è l’ambiente berlusconiano ad essere fortemente
tentato dalla corsa rapida alle urne, giocando sul richiamo
plebiscitario e sulla crisi delle opposizioni. Perché allora
l’invocazione immediata delle urne da parte di Vendola e Ferrero,
proprio nel nome della “cacciata di Berlusconi” ? Per una ragione poco
nobile e tutta interna alla logica di coalizione col Centrosinistra.
Vendola non vuol farsi scippare la candidatura a premier del
centrosinistra da un eventuale cambiamento della legge elettorale in
senso proporzionale. E pur di cavalcare l’onda della propria avventura
( l’”Obama bianco”) è diventato assieme a Veltroni il tifoso più
accanito non solo delle urne ma della stessa legge elettorale
berlusconiana. Ferrero vuole incassare al più presto l’accordo già
fatto con Bersani per il proprio ripescaggio nella grande coalizione
elettorale antiberlusconi: evitando il rischio di una nuova
marginalizzazione politica e istituzionale. Tutto qua. Gli stessi
gruppi dirigenti delle sinistre riformiste che accusano il PCL di
ignorare la priorità della cacciata di Berlusconi, antepongono alla
cacciata di Berlusconi i propri interessi di carriera o di ceto
politico.
Ma l’aspetto davvero rivelatore della politica riformista sta nella
proposta politico-elettorale. Naturalmente Vendola e Ferrero hanno
assolutamente ragione nel rigettare “governi tecnici” alla Dini,
benedetti da Bankitalia e dalla Fiat. Ma è singolare che lo facciano
nel nome di una prospettiva di governo che avrebbe, se mai si
affermasse, la stessa base politica , parlamentare, di classe, del
governo tecnico. Il patto democratico proposto da Ferrero “ a tutte le
opposizioni” è rivolto per definizione al Pd, alla IDV, alla UDC, ad
Api. Non si tratterebbe affatto di un patto elettorale di carattere
“tecnico”: sia perché l’attuale legge elettorale non lo consente ( è
obbligatorio l’apparentamento al candidato premier, quindi il patto di
governo); sia perché lo stesso Ferrero chiede al “patto di tutte le
opposizioni” di “affrontare finalmente i problemi sociali del Paese”(
ciò che indica il cuore di un programma di governo); sia perché
un’alleanza per il governo che si presenta al voto corresponsabilizza
politicamente, su un piano generale, tutte la forze coinvolte (
incluse quelle che eventualmente non entrassero nell’esecutivo, come
il PRC nel 96-98). Ma allora caro Ferrero, perché mai un governo
dominato da PD e UDC, dovrebbe “ affrontare i problemi sociali del
Paese” con una logica diversa da quella della Fiat e delle banche,
quando proprio le banche e la Fiat sono i veri referenti sociali di
quei partiti? Perché mai quel governo dovrebbe difendere la Fiom
contro Marchionne, quando il PD si schiera pubblicamente con
Marchionne contro la Fiom, e la Udc rivendica addirittura un programma
di governo più “impopolare” di quello di Berlusconi e Tremonti? E
quale sarebbe mai la linea di quel governo in fatto di politica estera
, quando PD e UDC appoggiano la continuità della guerra afghana,
persino dopo la pubblica emersione della sua barbarie? E quale sarebbe
la linea di quel governo in fatto di laicità, quando la Udc si
conferma oggi più di ieri come il principale referente della
Conferenza episcopale? Potremmo continuare. C’è una sola vera
differenza tra il “governo tecnico” che Ferrero aborrisce e il governo
di alleanza democratica che egli rivendica: che il primo taglia fuori
il PRC, il secondo invece lo coinvolge, fosse pure dall’esterno. E’ la
stessa differenza tra il governo Dini del 95 ( che Bertinotti e
Ferrero “ denunciarono” con veemenza) e il successivo governo Prodi
del 96 ( che Bertinotti e Ferrero sostennero per due anni, votando
dall’esterno tutte le peggiori porcherie contro i lavoratori, a
partire dal lavoro interinale). Come si vede la storia si ripete. Con
una differenza però non trascurabile: che a riproporre la linea del
disastro sono gli eredi testamentari del suo fallimento, oltreché
responsabili dello stesso. E che proprio per via del disastro
compiuto, la loro forza residua è al lumicino. Di certo tanta
ostinazione meriterebbe cause migliori.

LA PROPOSTA ALTERNATIVA DEL PCL.
Il PCL propone contro il berlusconismo una via strategicamente
diversa. Non quella del blocco con i partiti di Marchionne, ma quella
dell’indipendenza del movimento operaio per una vera alternativa. Non
c’è nessuna sottovalutazione da parte nostra né della natura
reazionaria del berlusconismo, né dell’estrema importanza oggi del suo
stato di crisi. Al contrario. Siamo di fronte alla crisi del governo
più reazionario che i lavoratori abbiano subito dai tempi di Tambroni.
E siamo in presenza di un occasione decisiva per precipitarne la
rovina. Ma il movimento operaio deve entrare in questa crisi da
protagonista, con un programma di vera alternativa, non a rimorchio
per l’ennesima volta dei suoi becchini “democratici”, amici degli
industriali e dei banchieri. La cacciata di Berlusconi va perseguita
dal versante delle ragioni dei lavoratori della Fiat, non da quello
degli interessi di Confindustria, come è avvenuto per ben due volte
negli ultimi vent’anni. Per questo la nostra parola d’ordine non è
quella né delle “elezioni subito”, né dei governi di emergenza – siano
essi tecnici o politici- con i partiti liberali. Ma è quella di una
mobilitazione operaia e popolare radicale per una soluzione radicale
della crisi: attorno ad un programma di rivendicazioni sociali e
politiche indipendenti da tutti i partiti dominanti e i loro interessi
di riferimento.
La crisi in atto non è solo la crisi del berlusconismo. E’ la crisi
della classi dirigenti del Paese. E’ la crisi della loro società,
dominata dal profitto, dentro le convulsioni del capitalismo mondiale
ed europeo; è la crisi del loro edificio istituzionale della “2°
Repubblica”, travolto da conflitti esplosivi; è la crisi della loro
moralità pubblica, travolta da una sequenza infinita di cricche,
ruberie, malaffare, di natura bipartisan. Tutto lo sforzo delle classi
dominanti è oggi rivolto a far sì che un eventuale caduta di
Berlusconi preservi la continuità del loro dominio. L’interesse dei
lavoratori invece è far sì che la caduta di Berlusconi trascini con sé
la cacciata delle classi dominanti e del loro regime, in direzione di
una vera alternativa. In autonomia e in opposizione ad ogni soluzione
di alternanza. Questo è il nodo di classe attorno a cui ruota e
ruoterà la crisi politica. Per questo si pone da subito l’esigenza di
un programma di rottura sociale ed istituzionale, che affronti la
crisi dal punto di vista operaio, e ricomponga attorno a sé tutte le
ragioni sociali e democratiche essenziali.

1)Via le leggi berlusconiane e tutte le tracce del sistema
maggioritario: per una legge elettorale interamente proporzionale a
tutti i livelli.
2)Abbattimento di tutti i privilegi istituzionali, a partire dagli
stipendi dorati di deputati, senatori, consiglieri regionali, manager
pubblici, amministratori di enti, col relativo carico di benefit e di
vantaggi parassitari: per uno stipendio non superiore a 2000 euro
netti per gli esponenti istituzionali e funzionari pubblici.
3)Abolizione del segreto commerciale, industriale, finanziario: per il
pieno diritto di lavoratori e cittadini a scoperchiare il tempio del
malaffare, accedendo ai libri contabili delle aziende e ai segreti
delle banche.
4)Cancellazione di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro varate
negli ultimi vent’anni, e assunzione di tutti i precari a tempo
indeterminato. Blocco generale dei licenziamenti e ripartizione fra
tutti del lavoro esistente attraverso una riduzione generale
dell’orario di lavoro a parità di paga. Salario dignitoso ai
disoccupati in cerca di lavoro, pagato con l’abbattimento dei
trasferimenti pubblici alle imprese private.
5)Nazionalizzazione delle banche, e loro concentrazione in unico
istituto di credito: per liberare la società da uno strumento
quotidiano di rapina, proteggere il piccolo risparmio, acquisire una
leva decisiva di riorganizzazione sociale.
6)Occupazione operaia di tutte le aziende che licenziano e colpiscono
i diritti sindacali: per la loro nazionalizzazione senza indennizzo e
sotto controllo operaio. A partire dalla Fiat.
7)Cancellazione di tutti i tagli di spesa sociale realizzati ai danni
della scuola pubblica, della sanità, dei servizi sociali. Ripristino
del carattere pubblico dell’acqua. Sviluppo di un grande piano
nazionale di investimenti pubblici, sotto controllo popolare, in
materia di ambiente, rete ferroviaria, asili nido, riassetto del
territorio..: finanziato dall’annullamento del debito pubblico verso
le banche; dalla tassazione di grandi patrimoni, rendite, profitti;
dall’abbattimento dei privilegi clericali e delle spese militari ( a
partire dal ritiro immediato delle truppe dai teatri di guerra).

Questo non è naturalmente il programma compiuto di un’alternativa di
società. E’ un programma di misure radicali imposto dalla radicalità
della crisi sociale, politica, istituzionale. E’ il programma di
emergenza per un’uscita dalla crisi dal versante dei lavoratori. La
sua realizzazione complessiva implica l’avvento di un governo dei
lavoratori, l’unico capace di rompere col capitalismo, facendo piazza
pulita del gigantesco impasto di sfruttamento e corruzione. Il suo
perseguimento implica la via della ribellione sociale, la totale
autonomia dal centrosinistra confindustriale, l’autorganizzazione
democratica e di massa del movimento operaio e dei movimenti di lotta.
A questa ribellione sociale lavoriamo e lavoreremo in autunno. Il
nuovo crinale di frattura che si va producendo tra padronato e Fiom
non è per noi unicamente un ambito di intervento sindacale, ma
politico. Le sinistre riformiste separano e contrappongono la
propaganda sociale e la prospettiva politica riuscendo nello stesso
tempo ad esaltare il no operaio di Pomigliano e a rivendicare
l’alleanza col Pd di Marchionne. Per noi la ragione di classe è la
bussola della prospettiva politica. Per questo diciamo, tanto più
oggi, che una replica radicale e di massa a Marchionne è il bandolo
della matassa della risposta a Berlusconi e alla sua crisi. Solo
un’esplosione sociale radicale può aprire dal basso un nuovo scenario
politico. Solo una sollevazione sociale del mondo del lavoro, che
unifichi attorno a sè tutte le lotte parziali, sociali e democratiche,
può chiudere davvero la lunga pagina del Berlusconismo e della 2°
Repubblica. Questo è ciò che diciamo e diremo nelle fabbriche. Questo
è il terreno di fronte unico di lotta che proponiamo a tutte le
sinistre politiche, sindacali, sociali, chiedendo loro di rompere col
PD. Questo è il programma che rivendicheremo, come PCL, davanti a
milioni di lavoratori, in eventuali elezioni politiche.
MARCO FERRANDO.

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Sez. prov. di Bologna
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