[Redditolavoro] altra intervista a kurz

CyberGodz cybergodz at ecn.org
Wed May 27 18:58:13 CEST 2009


e ultima, promesso ;-)

ps: mi rendo conto che lo stile spesso "marziale" e apodittico di Kurz
possa risultare irritante, tuttavia invito tutte/i a una paziente
lettura, il che non significa ovviamente concordare necessariamente con
tutte le sue tesi. Trovo infatti che nella desolazione attuale di
proposte e di elaborazione, specie ahinoi a sinistra, il pensiero di
Kurz sia quantomeno estremamente stimolante, e questo mi pare
sufficiente per raccomandarne la lettura.
Quindi, avanti popolo e che il comunismo sia con noi ;-)

***
Intervista a Robert Kurz
Robert Kurz, un'intervista di Sonia MontanoRivista IHU On-Line, nº 188,
10.07.2006Università di Vale do Rio dos Sinos, S. Leopoldo, Porto
Alegre, Brasil

http://ozioproduttivo.blogspot.com/search?updated-max=2009-04-17T09%3A08%3A00-07%3A00&max-results=1

1. Cosa vuole affermare la "critica radicale del valore"?

Com'è noto, i marxisti tradizionali del movimento operaio accusavano il
capitalismo soltanto di privare le salariate e i salariati del famoso
plusvalore del quale i proprietari dei mezzi di produzione si
appropriavano come fosse un "potere di disposizione". Questa é una
critica mutilata del capitalismo, che lascia fuori e ontologizza la
forma sociale del valore. Di conseguenza, secondo questo pensiero, la
società socialista postcapitalista dovrebbe continuare a basarsi sulla
forma del valore e a funzionare come un sistema produttore di merci
"pianificato". Come trasformazione della società questa concezione è
naufragata. Il problema può essere spiegato solo storicamente: lo stesso
movimento operaio e lo stesso socialismo statale facevano ancora parte
della storia del "modo di produzione basato sul valore" (Marx). Si
trattava di una "lotta per il riconoscimento" nell'ambito di questa
forma di società non indagata. Ora, il plusvalore può essere soppiantato
solo insieme al valore, e non come pianificazione e "giusta
distribuzione" del valore. Questa non è una questione meramente teorica.
Nella nuova crisi del sistema unificato a livello planetario, lo stesso
valore é disvalorizzato dalla terza rivoluzione industriale, nella
misura in cui il "lavoro astratto" si scioglie come sua sostanza. A
queste condizioni occorre criticare e abolire il valore come forma
basica e, di conseguenza, la produzione di merci come tale.

2. Cosa caratterizza una società mercantile? Cosa si deve intendere per
"merce"? Che relazioni proprie stabiliscono le merci?

Il termine "mercantile" si riferisce solo al comprare e al vendere. Una
società mercantile nemmeno esiste. Il capitalismo é essenzialmente un
modo di produzione e non un semplice modo di circolazione. Perciò
l'espressione "economia di mercato" induce in errore. Marx già dimostrò
che la riduzione della modernità a circolazione delle merci costituisce
l'eldorado dell'ideologia capitalista, perché nel mercato appaiono solo
proprietari "eguali" e "liberi" di merci e denaro. Però la merce ha da
essere oggetto di produzione prima di diventare oggetto di circolazione.
Il mercato non è il luogo dell'incontro di soggetti "liberi", ma
essenzialmente la sfera di "realizzazione" del plusvalore, pertanto
della riconversione della forma merce nella forma del denaro. Si tratta
del movimento del valore, del "soggetto automatico" (Marx), di uno stato
di aggregazione verso l'altro. La merce non sussiste per sé, ma é uno
stadio della valorizzazione. E i soggetti del mercato non sono che gli
agenti di questo movimento. Ma la produzione generale delle merci é
possibile solo attraverso la trasformazione della forza lavoro umana in
una merce sui generis, e una forma generale del valore é possibile solo
attraverso il plusvalore come irrazionale fine a se stesso. Esattamente
in questo punto si mostra che la "socializzazione negativa" del capitale
non consiste nell'"appropriazione" soggettiva del plusvalore da parte
dei proprietari giuridici ma nella stessa forma valore, che si rende
generale solo mediante il postulato sistemico del plusvalore. Dietro la
"libertà" formale della circolazione, si incontra la soggezione
(originalmente violenta) degli esseri umani al "lavoro astratto". E'
questa la relazione basica genuina del sistema produttore di merci. E
questa relazione é portata all'assurdo nella terza rivoluzione
industriale. Non è solo un problema di disoccupazione e miseria di
massa, ma anche un problema dello stesso capitale, il quale comincia a
perdere la "sostanza" della sua valorizzazione a causa della sua stessa
dinamica.

3. In cosa consiste una "critica radicale" delle categorie fondamentali
del capitalismo, quali valore, lavoro, merce, denaro, Stato, politica,
democrazia e nazione?

La critica del capitalismo fino a oggi non è mai stata una critica
categoriale, ossia, le categorie fondamentali della modernità
produttrice di merci furono viste in maniera affermativa e non critica.
L'ontologizzazione del valore provocò l'ontologizzazione delle sue forme
categoriali di apparenza e rappresentazione. Lo Stato, la politica, la
democrazia e la nazione non furono decodificate come l'"altro lato"
della socializzazione negativa del valore e come parti integranti di
questo valore, ma furono erroneamente intese come categorie di domino
della malvagità del capitalismo. Ora, l'homo politicus é solamente
l'alter ego dell'homo economicus; si deve demolire insieme al valore
anche la sua sfera politico-democratica. La critica categoriale, però,
va più in profondità, perché il capitalismo non è solo un modo di
produzione e un sistema statale di regolazione (che attualmente, insieme
al valore, raggiunge nella globalizzazione i suoi limiti), ma anche un
modo di riproduzione e di vita. In questo senso, la relazione moderna
tra i sessi gioca un ruolo cruciale, perché tutti i momenti della
riproduzione sociale che non sono assorbiti da "lavoro astratto", valore
e Stato e/o politica sono dissociati dalla socialità ufficiale e
delegati alle donne (compiti familiari, educazione dei figli etc, ma
anche - attraversando tutte le sfere – le funzioni sociopsichiche
dell'"empatia" e del "lavoro d'amore" di connotazione femminile, senza
le quali la convivenza sociale non sarebbe possibile nella concorrenza
universale). La relazione di valore e "lavoro astratto" é, pertanto,
allo stesso tempo una relazione di dissociazione tra i sessi, la quale é
tanto essenziale e categoriale quanto lo stesso valore. Anche questa
relazione di dissociazione tra i sessi sta decadendo sotto le condizioni
attuali di crisi, come dimostrano la "confusione dei sessi" e i processi
di barbarizzazione del quotidiano. L'obiettivo della critica del valore
è, pertanto, una società oltre il "lavoro astratto", il valore, il
mercato, lo Stato e la dissociazione tra i sessi. Naturalmente, questo
comporta problemi enormi perché è da secoli che gli esseri umani sono
stati "socializzati dentro" queste categorie e interiorizzandole. Perciò
non esiste un cammino diretto per uscire dall'ordine esistente ma è
necessario un processo di mediazione storica. Mediazione significa che
occorre trovare una nuova relazione tra le lotte immanenti per il
denaro, i servizi statali etc, la resistenza sociale contro
l'amministrazione capitalista della crisi, da un lato, e gli obiettivi
della critica categoriale, dall'altro. Si tratta, in un certo modo,
dell'antico problema della relazione tra "cammino e destino", ma in
condizioni nuove e con un modus della critica interamente differente,
più profondo. Qui è inclusa anche la percezione che non esiste una
semplice opposizione a un nemico concepito in modo meramente esterno
("il capitale"), ma che noi tutte e tutti siamo, anche nel nostro
intimo, "il capitale". Ciò significa che anche all'interno dei movimenti
sociali si danno contraddizioni che occorre risolvere e non ignorare.
Così anche la dissociazione tra i sessi è in atto e deve essere
criticata nei movimenti sociali; per esempio, quando l'onere della crisi
é, "come fosse naturale", scaricato sulle donne e vengono revocate le
conquiste del movimento femminista. Anche ideologie come nazionalismo,
razzismo e antisemitismo permeano le contraddizioni sociali e sono
esplicitamente o implicitamente virulente tra gli "umiliati e offesi" di
questo mondo. La necessaria critica dell'ideologia non deve ritirarsi
dietro un predominio astratto della "questione sociale"; allo stesso
modo i contrasti materiali nella situazione sociale di gruppi diversi
(per esempio, dei migranti, da un lato, e i lavoratori autoctoni che
sono in una situazione precaria, dall'altro) non devono essere
sottomessi sotto la generalità di questa "questione sociale". Al
contrario, le tensioni e le differenze devono essere supportate e
digerite criticamente. Un movimento sociale comune non sorge come
postulato astratto ma solo come risultato di questo confronto. La teoria
della critica radicale del valore e della dissociazione può mostrare,
nel processo di mediazione, un nuovo obiettivo storico e analizzare il
terreno della crisi globale per non perdere di vista, attraverso i
distinti movimenti, lotte sociali, tensioni e differenze, la totalità
negativa e dare un orientamento di "grande respiro". Essa non può però
fornire comode "istruzioni d'uso" come schema per l'azione; tale nozione
sarebbe "falsa immediatezza" (Adorno). Ciò che costituisce la debolezza
degli attuali movimenti sociali è in effetti il fatto che continuano ad
essere aggrappati a concezioni anacronistiche e a fissarsi sulla "falsa
immediatezza".
4. Questa critica radicale è anche una critica della moderna metafisica
reale, dei fondamenti dell'illuminismo, della vita quotidiana. In che senso?

La modernità produttrice di merci ha di sé l'idea secondo la quale
avrebbe soppiantato la metafisica. Lo stesso valore però costituisce una
"metafisica reale", una "forma vuota" che non può essere afferrata dai
sensi, che è trascendente in relazione alle necessità sociali e ai
contenuti qualitativi. Il superficiale universalismo di questa forma é,
allo stesso tempo, strutturalmente mascolino (androcentrico), e il
soggetto moderno é, originariamente e nella sua essenza, un soggetto
mascolino, bianco e occidentale. Il valore e il suo soggetto non sorsero
solo in un processo storico "obiettivo", ma allo stesso tempo mediante
l'affermazione ideologica e il direzionamento della coscienza sociale.
Il fondamento di tutte le teorie e le ideologie moderne è la filosofia
dell'illuminismo, che, come "madre di tutta la riflessione affermativa"
(incluso il marxismo tradizionale), contribuì sostanzialmente alla
formazione del sistema produttore di merci globale. Perciò la critica
del valore e della dissociazione ha bisogno di includere anche una
critica radicale dell'illuminismo. Non si tratta, tuttavia, di una
critica nel senso del contro-illuminismo conservatore e
dell'antimodernità irrazionale, ma di una critica alle radici del
pensiero moderno, fissato nella metafisica reale del valore.
L'illuminismo contribuì in varie forme affinchè la logica del valore e
della dissociazione fosse interiorizzata dagli esseri umani. Così, esso,
non solo propagò un "disciplinamento" esterno per le esigenze del
"lavoro astratto", ma abbozzò anche un programma per
l'"autodisciplinamento" interno degli individui, che funziona tutt'oggi.
Allo stesso tempo esso produsse quella fissazione ideologica nella
circolazione (nel mercato e nei suoi soggetti), che ha determinato fino
a oggi una comprensione erronea della "libertà" e dell'"uguaglianza"
nella stessa sinistra. Infine, esso fiancheggiò ideologicamente il
carattere androcentrico dell'universalismo moderno; la sua filosofia é
strutturalmente "mascolina" e nasconde i momenti dissociati anche
concettualmente e teoricamente. Nell'opera di Foucault si può trovare
materiale abbondante e una riflessione critica riguardo le "macchine di
disciplinamento" costruite nell'illuminismo. Foucault, però, è rimasto a
metà strada della critica dell'illuminismo. Nella sua legittima
repulsione del marxismo meccanico di partito degli anni sessanta e
settanta, egli ha inteso erroneamente la questione della forma sociale
come "economicismo". Così la sua critica dell'illuminismo arriva solo a
un concetto positivista dei meccanismi di una "produzione di verità"
contingente, la quale non ha alcuna relazione con la logica del valore e
della dissociazione tra i sessi come formazione sociale storica.
Naturalmente, la critica del valore è anche una critica della vita
quotidiana dal valore determinata. L'"astrazione reale" sociale ha
raggiunto, nel processo di modernizzazione capitalista, tutte le sfere
della vita, dell'architettura, dell'estetica e della cultura, fino alle
abitudini alimentari (agro-business, fast food) e alle relazioni
personali. La nuova crisi globale accelera la liberazione
dell'"individuo astratto", nel quale, tuttavia, la dissociazione tra i
sessi continua ad essere in atto. Il valore, e la concorrenza universale
a esso associata, penetrano nell'intimità e distruggono tutti i vincoli.
Le persone diventano suscettibili e autoreferenziali; il carattere
narcisista e isterico personale e sociale si dissemina in tutte le
situazioni sociali. L'isterizzazione della società della crisi non si
trattiene nemmeno davanti alla politica, alla scienza, ai gruppi di
teoria critica, e nelle stesse relazioni d'amore e d'amicizia. La
denuncia personale e la rottura personale sostituiscono in ogni parte la
discussione di contenuto. Sentimenti di concorrenza, paura dei legami e
del "compromesso", disposizione psicodinamica astratta al conflitto in
tutti i sensi e ansia di "convalida" personale minacciano di sommergere
qualsiasi contenuto, perfino nella stessa critica radicale. Gli stessi
contenuti teorici e addirittura gli stessi sentimenti per gli altri
individui non diventano che fiches da gioco intercambiabili nella "lotta
per le posizioni". Gli individui diventano imprevedibili come il clima e
i mercati finanziari. Questa tendenza sociopsichica é socialmente
condizionata e può essere superata soltanto nel processo di rivoluzione
sociale, e non per la pedagogia, né per il controllo sociale coercitivo,
nei distillati dei progetti neo-utopisti della "riforma della vita". Ciò
nonostante, é necessario scoprire come si possa opporre resistenza a
questa tendenza della crisi interna del soggetto dentro i movimenti
sociali e i gruppi di riflessione teorica, per mantenere la capacità di
azione nella critica teorica e pratica delle relazioni in generale.
5. Cosa dobbiamo assumere di Marx e perché é necessario oltrepassarlo?

L'analisi e l'esposizione di Marx delle leggi interne del movimento del
valore, del "soggetto automatico" della modernità, continuano a essere
il fondamento non oltrepassato e il punto di partenza della nostra
critica. Nella presente crisi mondiale Marx é più attuale che mai. Ciò
che di lui dobbiamo assumere sono però appunto quegli aspetti della sua
teoria che furono trascurati, ridotti o taciuti dal marxismo
tradizionale del movimento operaio. Naturalmente, ciò vale soprattutto
riguardo la critica del valore, che è effettivamente presente nel
pensiero di Marx, e all'aspetto della sua teoria della crisi con essa
relazionato, che va più a fondo dei dibattiti marxisti posteriori sul
concetto di crisi. Ma anche nello stesso Marx si trovano punti di
connessione per le interpretazioni tradizionali. Perciò la nuova critica
del valore parla di un "duplice Marx". Marx fu, da un lato, un critico
radicale del moderno sistema produttore di merci e, dall'altro, un
teorico positivo della modernizzazione, che egli comprese come
"progresso necessario". Di conseguenza, ben poco serve mirare, con stile
neo-ortodosso, a scoprire "il vero Marx". Come qualsiasi teoria, anche
la teoria marxiana ha un suo "nucleo temporale" (Adorno). La riflessione
di Marx era molto più in là del suo tempo e tuttavia attecchì
simultaneamente in quel tempo. Questa prigione può essere identificata
principalmente in quattro punti, che costituiscono un nesso interno. In
primo luogo, Marx mantenne il paradigma illuminista della filosofia
della storia e della sua metafisica del "progresso", benché, per un
altro aspetto, egli abbia criticato l'ideologia illuminista dei soggetti
"liberi" e "uguali" della circolazione, così come l'illusione, a essa
associata, della politica (principalmente il giovane Marx). In secondo
luogo, Marx criticò, differentemente dalla maggioranza dei marxisti, il
"lavoro astratto", tuttavia rimanendo ambiguo in questa critica e
insistendo su un concetto universalista, sovrastorico, generale e
astratto del "lavoro"; anche in questo senso si mostra l'eredità ancora
non superata dell'illuminismo e del protestantismo. In terzo luogo, fu
appunto il Marx "positivo", teorico della modernizzazione, che concepì
erroneamente, nelle forme di una "ontologia del lavoro", la "classe
operaia" e la "lotta di classe" come leve della liberazione sociale,
quando, in realtà, lì si trattava appena dell'autolegittimazione dei
portatori di "lavoro astratto" dentro il valore, la cui "lotta per il
riconoscimento" come soggetti giuridici e civili nel capitalismo era un
movimento di integrazione nella "gabbia di ferro" (Max Weber) della
modernità, il quale escludeva qualsiasi critica categoriale. Marx, come
"duplice Marx", desiderava associare la "lotta di classe" alla critica
categoriale, sulla base dell'universale ontologizzato "lavoro"; ma
questo non poteva avvenire, come dimostrò nella pratica lo sviluppo
storico della socialdemocrazia e del movimento operaio. Infine, e in
quarto luogo, come "uomo del secolo XIX", Marx non poteva percepire la
dissociazione tra i sessi come momento essenziale della socializzazione
negativa per mezzo del valore; anche in questo punto, la sua teoria non
andò al di là dell'universalismo androcentrico dell'illuminismo. Perciò
é necessario andare oltre Marx, non per rigettare la sua teoria critica,
ma per trasformarla e sviluppare una teoria nuova, che vada più lontano
e sia all'altezza della crisi planetaria attuale.

6. In che senso si può affermare che siamo prigionieri/e del feticismo?

Il concetto di feticismo é parte imprescindibile di quegli aspetti della
teoria marxiana che vengono assunti e ulteriormente sviluppati dalla
critica radicale del valore. Non é un caso che il marxismo tradizionale
non seppe bene cosa fare con la concezione marxiana del feticismo,
perché questo concetto rimette all'"a priori" tacito della relazione
sociale, fuori dalla portata di qualsiasi riflessione positivista, al
carattere trascendentale del "soggetto automatico", che permea tutte le
classi sociali e filtra o forma previamente tutto il pensare e l'agire.
Il carattere feticista della riproduzione sociale significa che gli
esseri umani non plasmano coscientemente il loro relazionamento sociale
e non utilizzano le loro risorse e le loro capacità mediante un accordo
libero; al contrario, sono sottomessi a un medium da essi stessi
prodotto, ma che si è reso autonomo in relazione ad essi. Questo medium,
che nella modernità é il valore e la sua forma di apparizione, il
denaro, guida la riproduzione sociale secondo una autoregolazione cieca
("seconda natura"). La comprensione moderna della ragione, che è un
prodotto dell'illuminismo, è completamente limitata a questa
autoregolazione del medium-feticcio; essa contiene soltanto un ragione
storicamente specifica, ritagliata sulla forma della merce e in sua
essenza distruttiva. L'irrazionalismo moderno rappresentato dalle
correnti del contro-iluminismo borghese costituisce appena il rovescio
di questa ragione ed é un derivato dello stesso illuminismo. La critica
categoriale, in quanto critica del feticismo moderno, é una critica del
nesso interno tra la ragione moderna e l'irrazionalismo moderno; essa
deve sfociare in una "altra ragione", pertanto sviluppare una
"contro-ragione", contro la ragione feticisticamente costituita dal
sistema produttore di merci. Noi siamo prigionieri del feticismo nella
misura in cui, sotto le condizioni dominanti, la riproduzione di tutta
la nostra vita pratica è alla mercè della "ragione irrazionale" del
feticcio della merce e del capitale. Il robot cieco del "soggetto
automatico" ci obbliga a "lavorare" per il nostro stesso naufragio. La
razionalità dell'economia d'impresa insidia i fondamenti della vita
umana con l'"esternalizzazione" permanentemente dei costi, così
distruggendo la biosfera in misura crescente. Per la stessa ragione,
risorse personali e materiali sono disattivate, indipendentemente dalle
necessità materiali e sociali, appena esse smettono di soddisfare il
criterio feticista della redditività del capitale. Sebbene esistano
capacità umane, mezzi di produzione e conoscenze sufficienti, essi non
possono essere utilizzati liberamente ma sono soggetti alle restrizioni
della forma sociale feticista. La produzione di "ricchezza astratta"
(Marx) porta all'impoverimento delle masse. Ciò, tuttavia, non é un
antagonismo esteriore degli interessi, ma gli stessi poveri lavorano
anche per il loro stesso impoverimento, semplicemente articolando le
loro necessità materiali e sociali nella forma sociale del valore,
pertanto nella forma del feticismo. Questa contraddizione, che sempre si
intensificava nelle crisi periodiche del capitalismo per poi essere
relativamente superata dai nuovi slanci dell'accumulazione del capitale,
acquisisce una dimensione esistenziale nella crisi globale della terza
rivoluzione industriale perché non si ha più accumulazione reale
sostenibile del capitale. O si rompe il feticismo della forma sociale o
la vita della società sarà "disattivata" in modo quanto mai più
catastrofico.

7. Quale sarebbe, secondo la sua opinione, l'aspetto essenzialmente
nuovo del libro di Anselm Jappe "Le avventure della merce: per una nuova
critica del valore", pubblicato in portoghese?

Nel suo libro, Anselm Jappe riassume per la prima volta sistematicamente
i risultati della critica radicale del valore fino alla fine degli anni
novanta, che erano sparsi in molte pubblicazioni singole; e lo fa in una
sintesi completamente autonoma, attenendosi al processo in cui la
critica del valore fu originariamente elaborata, a partire dal marxismo
tradizionale. Si potrebbe dire perciò che si tratta di una "introduzione
alla critica del valore per marxisti", che la facilita a tutte le
persone ancora confuse nel paradigma tradizionale della critica del
capitalismo, ricostruendo al meglio l'andamento dell'argomentazione
della critica del valore così che se ne approprino. Poiché questo
processo non avviene solo in un'unica volta, stando quindi chiuso, ma si
ripete nel caso dei molti individui interessati alla critica radicale
della società, e in maniera sempre nuova, in nuove costellazioni,
continuando la stessa teoria critica del valore e della dissociazione a
svilupparsi sempre. Questa esposizione sistematica è utile anche per le
generazioni più giovani che non conoscono il marxismo degli anni
settanta; permette a queste persone più giovani di leggere la teoria di
Marx già con i nuovi occhi della critica del valore e, per così dire,
lasciare al lato la comprensione tradizionale che si è intanto resa
obsoleta. Così i concetti del valore come "astrazione reale", feticismo
e "ricchezza astratta", la critica del falso universalismo del "lavoro",
la nuova teoria della crisi della critica del valore e la "metafisica
reale" del moderno sistema produttore di merci sono presentati e fondati
con molta chiarezza. La teoria della dissociazione tra i sessi, la
critica del soggetto mascolino, bianco e occidentale e la critica
dell'illuminismo sono inseriti nel libro solo perifericamente; ma questi
aspetti saranno spiegati ed esposti con più dettaglio in un prossimo
progetto che ha come titolo provvisorio "Le avventure del soggetto".
Importante nel libro di Anselm Jappe é anche il capitolo finale, in cui
egli si confronta con i "falsi amici". In questo modo, Jappe critica la
critica ridotta del capitalismo, presente nel movimento
antiglobalizzazione e nei suoi "forum sociali", la quale riduce la
relazione del capitale alla sua attuale fenomenologia "neoliberale" e in
fondo chiede solo di tornare alle forme di regolazione keynesiana (o
alle idee socialiste tradizionali). Egli inoltre si confronta con le
concezioni neo-utopiche di uno "scambio senza denaro" che sono divulgate
(in parte ricorrendo ai lavori di Marcel Mauss sul "dono" nelle società
premoderne) nelle idee sulle "cooperative libere" e nel movimento del
"software libero". In queste si concepisce il capitalismo ancora
erroneamente come semplice modo di circolazione o "economia di mercato";
si tratta di idee insufficienti riguardo una circolazione senza forma
merce, che potrebbero perfino essere strumentalmente promosse da parte
dell'amministrazione della crisi, nei termini di un incremento delle
sussistenze economiche in forma di nicchie dell'"economia informale".
Infine, Jappe critica anche l'ideologia del post-operaismo di Michael
Hardt e Antonio Negri, che ha acquisito preminenza negli ultimi anni e
che, con i suoi concetti di "lavoro immateriale" e "moltitudine", non
riesce in qualsiasi critica categoriale e appare con abiti post-moderni
come "l'ultima mascherata del marxismo tradizionale" (Jappe). Tali
critiche sono necessarie, poiché così come la critica radicale del
valore e della dissociazione non sono sorte nella torre d'avorio
teorica, ma, in un certo modo, nel "corpo a corpo" della lotta teorica
per una nuova comprensione della critica, la stessa critica si deve
confermare costantemente e sempre di nuovo in questo "corpo a corpo"; il
processo di formazione della teoria può avanzare solo nel confronto
(anche polemico).

8. Il libro invita a "ricercare la stanza nella quale sono custoditi i
segreti da cui dipende l'umanità intera". Che segreti sono questi e che
stanza è questa, dunque?

Anselm Jappe ha scelto la bella metafora della "stanza proibita" del
mondo dei racconti delle fate dove sono custoditi i "segreti" che non
devono essere conosciuti. Questa stanza non è altro che il luogo della
riflessione critica, che si trova oltre il pensare e agire quotidiani
nel mondo preformato dal capitalismo. E i segreti consistono nella
costituzione di questo mondo, nell'"a priori tacito" delle relazioni,
pertanto nei presupposti che nel corso di un processo storico furono
interiorizzati come se fossero "evidenti" e paiono esser dati dalla
natura, benché furono fatti proprio dagli esseri umani – ma, in un certo
modo, stando ciechi e senza coscienza "sopra" questo agire. Si tratta,
in altre parole, di quel feticismo che determina il pensare e l'agire e
che più non appare come risultato di uno sviluppo che potrebbe anche
essere soppiantato di nuovo, ma come ontologia non oltrepassabile. In
misura tale che si può dire che la critica sociale tradizionale ancora
non ha osato penetrare nella "stanza proibita" e toccare quei segreti.
Ciò interessa anche la teoria della storia, poiché le società premoderne
(agrarie) non avevano, così come non ha la modernità, una relazione
cosciente, diretta con se stesse, con le loro stesse possibilità e
risorse. Anche esser erano comandate per medium costituiti
feticisticamente, solo che per altri medium e in altro modo. Quello che
è il valore nella modernità era Dio nella premodernità. Quello che nella
modernità é il mezzo "oggettivato" e metafisicamente caricato dalla
merce e dal denaro erano nella premodernità individui metafisicamente
caricati come rappresentanti di Dio. Il valore non è Dio, e il
capitalismo non è la continuazione della religione con altri mezzi, come
per esempio pretende Walter Benjamin, si tratta più di una costituzione
storica totalmente nuova. Tra ambo i mondi si aprono abissi, dopo una
profonda rottura storica. Tuttavia, la critica radicale può riconoscere
un momento negativo di continuità, cioè quell'incoscienza in relazione a
un "a priori tacito" (che è caso per caso del tutto differente) della
vita sociale e della riproduzione, che designiamo generalmente come
relazione di feticcio. In questo senso la critica radicale del valore
parla di una "storia delle relazioni feticiste". Naturalmente, questo
concetto della teoria della storia é esso stesso inevitabilmente un
concetto moderno, perché non possiamo saltar fuori dalla nostra
collocazione nella storia. Tuttavia, ciò costituisce un aporia
necessaria alla quale tutta la riflessione sulla teoria della storia è
necessariamente soggetta. Al contrario però della moderna filosofia
classica della storia dopo Hegel, della quale anche il "materialismo
storico" marxista fa parte, la teoria della storia della critica del
valore e della dissociazione non é più una teoria positiva nei modi di
una metafisica del "progresso" ontologicamente ancorata, che accentua
unilateralmente il momento "della storia universale" della continuità,
ma una teoria negativa, che permette una dialettica di continuità e
discontinuità. Vediamo la storia inesorabilmente con occhi moderni, ma
con gli occhi della critica a questa storia anziché con gli occhi
dell'affermazione. Questa critica va oltre la tradizionale teoria
marxista della storia, che ancora presupponeva l'esistenza di un
continuum positivo di "lavoro" e "progresso" e, così, prolungava solo la
filosofia borghese della storia. Il concetto negativo di una "storia
delle relazioni di feticcio" implica, al contrario, una "rottura
ontologica" con tutta la storia anteriore, perché con il superamento
della relazione moderna del valore e della dissociazione si supera il
feticismo in generale. Solo così si comprende l'affermazione marxiana
secondo cui la fine del capitalismo è simultaneamente la "fine della
preistoria". Nella teoria della storia della critica del valore e della
dissociazione è contenuta così una "eccedenza critica" che produce il
necessario impulso per la rottura con la falsa ontologia della
modernità. Sebbene la teoria borghese della storia, che si estende alla
postmodernità, abbia nel frattempo essa stessa criticato il continuum di
una positiva "storia universale del progresso", essa lo ha fatto solo in
un processo di decadenza teorica, in cui si accentua la discontinuità in
maniera tanto unilaterale e non-dialettica quanto prima accentuava la
continuità. La "metafisica del progresso" è stata sostituita solo con
una "metafisica della contingenza" (e di mera discontinuità) di
carattere inverso, che, é chiaro, è dovuta effettivamente dallo sguardo
moderno e che é completamente affermativa. Comunque, questa affermazione
avviene sotto il punto di vista della crisi, e non più sotto il punto di
vista dell'ascensione storica della modernità. Dietro l'apparenza di una
"metafisica della contingenza" è appostata un'ontologia rigida e
astorica, per esempio, l'ontologia del "potere" nel pensiero di
Foucault, mutuata dall'"ideologia tedesca" da Nietzsche a Heidegger.
Così non si giunge a un "eccesso critico" nel senso di una "rottura
ontologica", e con ciò in ultima analisi si perde anche di vista la
relazione di feticcio specifica della storia della modernità.

9. Le idee di Guy Debord sulla società dello spettacolo sono ancora attuali?

Sono perfino più attuali che mai. Debord, nel suo tempo, tenne in vista
principalmente il mezzo "spettacolare" televisivo constatando uno
sviluppo del moderno feticismo giunto a un "grado di accumulazione del
capitale" in cui esso "diventa immagine" e sostituisce interamente il
"mondo sensoriale" con una "selezione delle immagini". Ciò naturalmente
non si riferisce solo alla semplice tecnologia mediale ma a una nuova
qualità della "sussunzione reale al capitale" (Marx), una sussunzione
non solo dei processi di produzione, ma della totalità della vita e
della totalità dell'esperienza, a una feticizzazione di tutte le
relazioni fino all'intimità, come sopra ho già suggerito, come
soggezione di tutte le sfere della vita alla "astrazione reale" del
valore e come liberazione dell'"individuo astratto". A ciò corrisponde
una "medializzazione del quotidiano" in cui i mezzi tecnici di
comunicazione non si autonomizzano per sé, ma nel loro carattere
inscritto nella merce e, in un certo modo, duplicano il feticismo della
forma merce. Questo sviluppo si è drammaticamente intensificato con le
nuove tecnologie della comunicazione della terza rivoluzione
industriale. Ora, non si tratta appena di cruda tecnica, ma di una
"virtualizzazione" generale del mondo della vita, come si può vedere
nell'onnipresenza del telemobile, SMS etc. e soprattutto di Internet.
Ciò va di pari passo con la virtualità del nuovo capitalismo
finanziario, che si è staccato dall'accumulazione reale del capitale,
come fenomeno di crisi. Nel "virtualismo" del pensiero postmoderno,
tutto questo processo fu ideologizzato e parzialmente compreso male come
emancipazione. Ma non é altro se non un'espressione della crisi del
soggetto, nella quale si riproduce come fenomeno della coscienza il
limite interno del moderno sistema produttore di merci. Si può per
esempio osservare come, mediante la comunicazione per corrispondenza
elettronica in gruppi di ogni specie, sono "cucinati" conflitti in modo
incredibilmente rapido e irriflessivo e con frequenza ogni volta
maggiore, perché la conversazione é appena simulata e nemmeno esiste un
interlocutore reale, con il quale le persone vengono a coinvolgersi.
Tutte le conversazioni sono solo soliloqui. L'individualizzazione,
mediatizzazione e virtualizzazione nella forma feticizzata del valore
costituiscono così una unità negativa, nella quale l'inflazione dei
sistemi comunicazione contribuiscono all'isolamento autoreferenziale
degli individui.


10. Esistono attualmente relazioni tra la società dello spettacolo e le
avventure della merce?

La società dello spettacolo "é" l'avventura della merce nello stadio
della sua obsolescenza storica. In Debord, che può essere considerato
precursore della critica radicale del valore, tuttavia ancora non si
trova un concetto nuovo della crisi, che appare solo nel solco della
terza rivoluzione industriale. Egli comprende male la medializzazione e
la virtualizzazione come quel "nuovo grado di accumulazione", mentre
queste, in realtà, vanno di pari passo con la reale
"desostanzializzazione" e disvalorizzazione del valore. A ciò si associa
la crisi della relazione della dissociazione tra i sessi e della "lotta
di classe" tradizionale; anche di questo Debord ancora non ha nozione.
Ciò che costituisce la dialettica paradossale della società del valore e
della dissociazione che si è tramutata in spettacolo é il fatto che il
compimento e liberazione della individualità astratta sono identici allo
svuotamento del valore e al limite assoluto dell'accumulazione. Gli
individui sono tanto più soggetti del valore quanto più cessano di
potere essere soggetti del "lavoro". Da ciò risulta un'enorme tensione,
che si scarica in forme di comportamento distruttive e avvelena sempre
di più il quotidiano. La critica radicale del valore e della
dissociazione tra i sessi deve imparare a lottare con questa tensione
per non perdersi essa stessa nel gorgo della crisi spettacolare.

Originale Robert Kurz: Interview mit Sonia Montaño,
IHU-Online-Zeitschrift, Universidade do Vale do Rio dos Sinos
(Brasilien), 3.7.2006

http://www.exit-online.org/link.php?tabelle=autoren&posnr=271

traduzione by lpz



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