[Redditolavoro] Fw: Ravenna,
importante sentenza per la sicurezza sul lavoro
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cobasta at libero.it
Thu Jan 29 08:42:15 CET 2009
: Ravenna, importante sentenza per la sicurezza sul lavoro
Ravenna, importante sentenza per la sicurezza sul lavoro
Si può dire No ad un lavoro pericoloso e ad un licenziamento illegittimo per rappresaglia padronale. Una sentenza importante per i lavoratori da Ravenna.
Rete per la sicurezza sul lavoro- Ravenna
c/o Slai Cobas per il sindacato di classe via G. Di Vittorio, 32 (Bassette)
tel. 339/8911853
e mail: cobasravenna at libero.it
il Resto del Carlino
Data articolo: 28-01-2009
Estratto da pagina 4
Legittimo il rifiuto di lavorare a un macchinario pericoloso
Il tribunale reintegra un operaio licenziato
IL LAVORATORE ben può rifiutarsi di azionare un macchinario che ritiene
pericoloso per la propria incolumità e quindi rifiutarsi di effettuare il lavoro ordinato
dall'imprenditore e, conseguentemente, è illegittimo il licenziamento intimato. Non
solo: il lavoratore, per protestare contro l'ordine di svolgere il lavoro pericoloso ben può
alzare la voce e definire 'dittatore' il datore di lavoro. E', in estrema sintesi, la
decisione adottata dal tribunale civile di Ravenna, in sede di reclamo, contro l'ordinanza
con cui invece il licenziamento era stato confermato dal giudice Antonella Allegra cui era
stato presentato il ricorso d'urgenza. Il collegio era presieduto dal giudice Alfredo Giani e
dai giudici Giangiacomo Lacentra e Roberto Riverso. La sentenza, che ribalta
completamente la precedente decisione, è stata stesa dal giudice del lavoro Riverso e,
come impongono le più avanzate frontiere del diritto moderno, si richiama
prioritariamente alla Costituzione. E tanto più questa sentenza del tribunale è aderente
alla realtà anche sociale della vicenda se solo si tiene presente che dopo la protesta del
lavoratore licenziato, l'azienda - del Conselicese - ha messo a norma il macchinario cui
le «protezioni erano state disattivate». AL DIPENDENTE era stato ordinato di seguire
contemporaneamente due linee lavorative consistenti nella produzione di bobine di cavo
'Twin' da 500 metri, con contestuali operazioni di taglio finale del cavo e di conseguente
imballaggio. Il taglio del cavo nella linea due doveva avvenire con il macchinario in
movimento con grave rischio del lavoratore in quanto le 'gabbie' di protezione di cui
originariamente il macchinario era dotato, erano state disattivate. Al rifiuto di
eseguire il lavoro c'erano stati diversi interventi della linea gerarchica del personale, il
dipendente alzò anche la voce, pronunciò una frase che il collegio definisce 'infelice' (del
tipo 'se sei un uomo vieni fuori') e infine l'operaio bollò come 'dittatore' il
datore di lavoro. DI QUI, il primo luglio, l'immediato licenziamento, ovvero il
provvedimento più grave nella scala delle azioni che possono essere intraprese dal datore
di lavoro nel caso di violazioni da parte del dipendente. Il lavoratore presentò ricorso
contro il licenziamento al giudice del lavoro e per la procedura dell'alternatività
nell'assegnazione delle cause, questa venne affidata al giudice Allegra. Che il 17
novembre ritenne legittimo il licenziamento. «Una decisione non condivisibile perché
astratta, non calata nel contesto della vicenda» scrive il collegio. Nella sentenza con cui si
accoglie il reclamo - e si ordina il reintegro del lavoratore al posto di lavoro
in azienda - il giudice Riverso evidenzia in primo luogo come il principio della
prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro imponga di tenere prioritariamente conto
anche dei possibili errori e disattenzioni del lavoratore e quindi di mettere in
atto tutte le misure per neutralizzarli. Poiché il datore di lavoro tale regola non aveva
osservato, rimuovendo le protezioni del macchinario (che peraltro costituisce reato)
legittimamente fu il dipendente a farlo notare e a rifiutarsi di eseguire il lavoro. «Il
lavoratore ha diritto di esprimere opinioni dissenzienti e di formulare critiche al proprio
datore di lavoro, secondo il principio solennemente sancito nell'articolo 1 dello Statuto
dei lavoratori dedicato alla dignità e libertà del lavoratore, quando, come nel caso, si
tratta di perseguire il soddisfacimento di interessi primari come il diritto alla propria
salute o rilevanti socialmente e collettivamente, come le condizioni di salute sul posto di
lavoro, interessi tutelati direttamente dalla Carta Costituzionale agli articoli 2 e 41,
secondo cui in una scala di valori viene prima la tutela della sicurezza, libertà e dignità
umana, e dopo l'interesse dell'impresa e della produzione. IL GIUDICE evidenzia poi come
fosse insussistente il requisito del «grave nocumento morale o materiale» necessario, per
il contratto nazionale di lavoro, per procedere al licenziamento, posto che la vicenda ha
invece avuto un effetto positivo, tanto che «la società ha ripristinato le condizioni
di sicurezza della lavorazione». E anche sulla definizione di 'dittatore' il collegio osserva
come «tale sintetica espressione è stata utilizzata dal lavoratore come sinonimo di
persona autoritaria, prevaricatrice» e quindi «esprimeva in quel contesto una critica
misurata ed equilibrata nei confronti del datore di lavoro, ovviamente a giudizio del
lavoratore e della sua percezione della lesioni del diritto alla salute». E proprio in relazione
al contesto, al contenuto del diverbio, inerente la sicurezza della propria integrità fisica,
alzare la voce altro non è che espressione della portata dell'interesse in conflitto perché
«il lavoratore, in un sistema democratico non è tenuto a prestare acquiescenza e
sottomettersi ad alcun datore di lavoro che reclami, anche energicamente e
insistentemente, l'esecuzione di ordini illegittimi e che possano attentare alla propria
incolumità fisica». Di qui l'accoglimento del reclamo. Il lavoratore era tutelato dagli
avvocati Gabriella Azzali di Conselice e Clara Mamberti di Ferrara; l'azienda, dall'avvocato Carlo Zoli.
di CARLO RAGGI
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