[Redditolavoro] da rete sicurezza taranto

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Sun Feb 15 18:06:32 CET 2009



----- Original Message ----- 




 isp lavoro taranto contro la direttiva sacconi


Dagli Ispettori del lavoro dello Slai cobas per il sindacato di classe di
Taranto:
non vogliamo essere al servizio delle aziende.
Il 18 settembre il Min. Sacconi, rilanciando la logica della Legge Biagi di
fare norme a misura delle esigenze dei padroni, ha inviato una Direttiva a
tutti gli Ispettorati del lavoro perchè si "cambi rotta".
Essa è il frutto immediato e inevitabile della L. 133/2008 che
deregolamentando il mercato del lavoro sta portando ad un ulteriore attacco
delle condizioni di lavoro, ad un aumento della precarietà, ad una
controriforma dei contratti  nazionali, ad un peggioramento di leggi
esistenti allo scopo di una maggiore liberalizzazione dei rapporti e
condizioni di lavoro a favore dei padroni, comprese le condizioni di
sicurezza dei lavoratori, per cui la L.133 vuole abrogare le norme più
significative del T.U. 81, riducendo le sanzioni e ammorbidendo i controlli.
E in questo senso che il Min. Sacconi ha mandato la Direttiva per dire che
da ora in poi il ruolo dell'ispettore del lavoro deve cambiare.
Cosa scrive il Ministro:
* i sopralluoghi devono essere rapidi dimezzando la loro durata all'interno
delle aziende, la presenza degli ispettori basta che sia "percepita" sul
territorio (come dire, basta la sensazione, non un controllo effettivo) (1);
l'ispettore durante i sopralluoghi deve, di conseguenza, limitarsi alla
"richiesta di intervento" non facendo, quindi, un sopralluogo generale
rivolto a tutti i lavoratori presenti e a tutti gli aspetti dei rapporti e
condizioni di lavoro;
* all'occorrenza gli ispettori devono "chiudere un occhio" anche verso il
lavoro nero "occasionale": occorre - si scrive - instaurare un "clima
collaborativo...in una logica di servizio, avendo cura di distinguere il
contravventore o il trasgressore occasionale ed episodico, da colui che
persegue disegni criminosi o elusivi su larga scala...";
* gli ispettori non devono dar seguito alle denunce quando sono anonime o,
sia pur firmate, non accompagnate da prove (di fatto, così, non è più
l'ispettore
che con gli accertamenti deve acquisire gli elementi di prova, ma il
lavoratore che deve farsi accertatore del suo rapporto di lavoro). Si
impedisce in questo modo anche quello che comunemente noi ispettori
facciamo: prendere una denuncia anche anonima, anche di un solo lavoratore
di una ditta piccola come imput per fare un'ispezione generale a aziende a
volte mai ispezionate, in cui spesso si trova ben altro che la denuncia
iniziale. Si arriva a dire che questa disposizione è volta anche a evitare
una "strumentalizzazione" del ruolo dell'ispettore da parte di lavoratori o
sindacati - proprio nel momento in cui invece si fa, eccome,
strumentalizzare il ruolo dell'ispettorato dalle esigenze dei padroni;
infine, sempre su questo punto, si scrive che questa disposizione deve
essere applicata soprattutto nelle realtà territoriali in cui a fronte di
molte richieste ci sono pochi ispettori - così la politica dei tagli arriva
anche alle denunce dei lavoratori: piuttosto che aumentare il numero degli
ispettori, si tagliano gli interventi (2);
* la "Direttiva", proseguendo la linea già adottata con le precedenti
normative, in cui da un lato si comminavano sanzioni per il lavoro nero, ma
dall'altra si offriva l'escamotage di una rapida "emersione" e sanatoria
"azzera/sanzioni" pagando una sorta di tassa d'obbligo ai sindacati
confederali per gli accordi e le conciliazioni, ora ammorbidisce
ulteriormente la lotta al lavoro nero, sia chiedendo agli ispettori di
essere "discrezionali", sia modificando la norma sulla sospensione
dell'attività,
rinviando il provvedimento di sospensione alle ore 12 del giorno successivo
(praticamente vanificandolo); ma ciò che è più grave, la Direttiva inserisce
una deroga per i cantieri edili e l'agricoltura, dove, anche in presenza di
lavoro nero (che tanto spesso soprattutto in edilizia è legato alla
insicurezza sul lavoro), la sospensione deve essere adottata dalla
cessazione dell'attività in corso (3);
* il tentativo di conciliazione monocratica diventa obbligatorio al fine di
evitare le ispezioni (4);
* rispetto al controllo dei rapporti di lavoro a termine, a tempo parziale,
intermittente, occasionale - nel 90% dei casi irregolari - la Direttiva
obbliga gli ispettori a non fare accertamenti per qui rapporti già
certificati, istituendo di fatto una "zona franca" - tali certificazioni
vengono fatte dagli Enti Bilaterali, in cui parte fondamentale, e ben
compensata economicamente, l'hanno i sindacati confederali che quindi hanno
tutto l'interesse a fare tante certificazioni, avallando praticamente
rapporti di collaborazione, occasionali, a tempo determinato fasulli, o
addirittura facendo certificazioni in deroga alle norme stabilite dai
contratti collettivi e dalla legge 300 (in particolare quelle sul divieto di
licenziamento). Anche la verifica sugli appalti illeciti, continua la
Direttiva, si deve fermare di fronte ai contratti "certificati".
* si dispone "la massima prudenza" nella vigilanza in materia  di orario di
lavoro per consentire la massima flessibilità, considerando normale il
superamento delle 48 ore di lavoro settimanali, e dando quindi via libera
allo straordinario, che, dato il legame non poche volte esistente tra
straordinari e infortuni anche mortali, significa aumento del rischio salute
e vita per gli operai (5).
* Infine, la direttiva ha pensato bene di indicare anche come si devono
interrogare i lavoratori, un metodo che se venisse applicato sarebbe una
sorta di avvertimento "quasi mafioso" al lavoratore di stare attento a chè
ciò che dice non danneggi il padrone (6);
Nella sostanza, il Ministro del Lavoro dispone, quindi, che i controlli
siano fatti all'insegna di un clima collaborativo e soprattutto non
"vessatorio" verso le aziende; l'ispettore deve avere un atteggiamento "di
servizio verso le aziende e non di mero esercizio del potere".
E' facile immaginare quanto tutto questo potrà incidere, anche tragicamente,
sulla vigilanza sulla sicurezza.
Questa Direttiva viene presentata come la strada per rendere più efficiente,
efficace, "economica" e sostanziale l'attività ispettiva (all'ispettore si
dice che deve "interpretare in modo moderno ed efficace il ruolo
istituzionale"), per evitare che si perda tempo in questioni secondarie,
formali, che "trasformano ogni ispezione solo in una raffica di sanzioni".
In realtà, si vogliono bloccare e rendere sempre più inutili i controlli, si
vuole lasciare in pace le aziende, in una situazione in cui le condizioni di
lavoro, di sicurezza peggiorano, le morti sul lavoro sono peggio dei
bollettini di guerra, i diritti contrattuali e normativi si riducono e
quelli che restano sono violati dai padroni (7).
Questa restrizione, cambiamento della funzione degli ispettori del lavoro,
che oggi ha la sua più recente tappa nella Direttiva Sacconi, nasce da più
lontano. Sia dai governi di centrodestra che dai governi di centrosinistra è
stata portata avanti negli anni fino all'attuale L.133, una politica di
svuotamento della funzione ispettiva per renderla quanto più inoffensiva ai
padroni; dal togliere all'ispettorato quasi tutte le competenze in materia
di sicurezza sul lavoro, al depenalizzare tutta una serie di reati, dal
cancellare le norme più penalizzanti per i padroni, al rendere legale ciò
che prima era illegale; dal ridurre le sanzioni, al mettere come prioritaria
l'azione "sanatoria" e di conciliazione col D.Lgs. 124/04, al "codice di
comportamento" dell'aprile 2006 che già aveva dettato norme per "inquadrare"
gli ispettori, fino all'ultima normativa introdotta appunto dalla L. 133 che
abrogando i Libri matricola e paga e introducendo il Libro Unico in cui le
registrazioni di lavoratori, orari, presenze, vengono fatte entro il 16 del
mese successivo, toglie agli ispettori la possibilità di un immediato
controllo.
Ma ora questo percorso si accompagna ad una esplicita, ostentata filosofia
generale che obbliga a lasciare in pace le aziende "chi lavora e produce";
che definisce le ispezioni azioni "intimidatorie e poliziesche", un "incubo
per l'imprenditore" (come scrive su Italia Oggi del 22/9 Marino Longoni);
che, stravolgendo quella che è la realtà nelle fabbriche e nella generalità
dei posti di lavoro in cui i diritti vengono sempre più calpestati e spesso
si attuano forme vessatorie e repressive di comando, sostiene che sono i
padroni ad essere attaccati, e che, quindi, sono questi che vanno difesi
dalla legge.
Nella Direttiva si chiede (si obbliga) che gli ispettori del lavoro siano di
"sostegno ad una crescita equilibrata e socialmente sostenibile"; si dice
che "compiti dell'Ispettore del lavoro sono... tanto la tutela del
prestatore di lavoro, quanto la garanzia di una leale concorrenza tra
imprese".
In sostanza, si vuole fare dell'ispettore del lavoro un puntello della buona
salute dei capitalisti!
E per capire meglio di che razza di "filosofia" si tratta, basta pensare al
fatto che la direttiva Sacconi è stata scritta materialmente e ispirata dal
suo "consigliere" Michele Tiraboschi, raccogliendo solertemente insieme alle
richieste dei suoi padroni anche le istanze della corporazione dei
professionisti/consulenti del lavoro (che hanno richiesto ed ottenuto
l'abolizione
dei Libri paga e matricola e la possibilità di tenere loro il Libro Unico,
per non spostarsi in azienda durante i sopralluoghi); consulenti che ora
possono  addirittura loro indicare alle Direzioni del Lavoro quali ispezioni
fare (8).
Tiraboschi è da tempo impegnato a snaturare la funzione degli ispettori del
lavoro. Due anni fa, in riferimento ad una incisiva ispezione fatta a Roma
al call center Atesia che aveva portato a dichiarare nulli perchè totalmente
irregolari tutte le migliaia di contratti co.co.pro, dichiarò che gli
ispettori del lavoro erano portatori di una logica "aberrante" da anni '70,
perchè volevano far chiudere/fallire le aziende, e, spingendosi, arrivò a
paragonare questi ispettori ai "terroristi" perchè come questi la loro
azione poteva mettere in crisi il sistema capitalista. E, non a caso,
stabilisce un legame tra la "Direttiva"e il riavvio della Legge 30 (di cui
si lamenta un blocco del suo percorso di "riforma").
Per questo la "Direttiva Sacconi" va al di là del suo testo concreto. Essa
costituisce di fatto un attacco agli operai e a tutti i lavoratori e a tutti
coloro che non vogliono essere "servi" di questo Stato e governo illegali.
In questo senso, tocca anche agli operai contrastare questo "via libera" ai
padroni.
Come Ispettori del lavoro se non vogliono essere, appunto, degli strumenti
del governo, dobbiamo opporci, denunciare questo svuotamento, stravolgimento
dell'attività di controllo. Chiamiamo tutti gli ispettori a BOICOTTARE,
SABOTARE NEI FATTI le disposizioni date nelle Direttiva, a non osservarle e
assumersi la responsabilità collettiva ma anche personale di fare i
controlli come servono ai lavoratori e non come pretende il governo. Il
nostro "boicottaggio" è la risposta necessaria al BOICOTTAGGIO VERO fatto
dal Ministero del Lavoro come parte di uno scontro che è di classe. Questo
scontro di classe dice anche a noi ispettori che non possiamo essere
"neutrali", seguire le disposizioni; dice che anche gli ispettori devono
schierarsi, dire con le parole e con i fatti da che parte si sta.
Noi stiamo dalla parte degli operai e di tutti i lavoratori.

isp.del lavoro slai cobas per il sindacato di classe taranto
cobasta at fastwebnet.it

TA dicembre 2008

>----Messaggio originale----
>Da: cobasta at fastwebnet.it
>Data: 14/02/2009 14.24
>A: <redditolavoro at ecn.org>
>Ogg: [Redditolavoro] udienza shock Thyssen torino
>
>Processo Thyssen: il tempo torna al 6 dicembre 2007, il fuoco, 7 vittime
>ALBERTO GAINO
>TORINO
>La morte irrompe nel processo e l'avvolge in un silenzio raggelante. La 
>morte ha gli occhi e la bocca spalancati di Aldo Schiavone, steso a terra, 
>le gambe nude, come il resto del corpo, accavallate, ridotto a un fagotto. 
>Lucido e gonfio, quel corpo non ha più nulla di umano, del giovane che vi 
è 
>cresciuto dentro e vi è diventato uomo. La mamma e la zia, terz'ultima 
fila 
>dal fondo della maxi-aula, guardano con le mani strette al viso che 
riducono 
>gli occhi a fessure. Viste da dietro, nei loro abiti neri, sembrano figure 
>ancora più esili. Le lacrime scorrono sui visi di madri, padri, fratelli 
>delle vittime. Anche un giudice popolare, l'unico uomo del collegio, porta 
>un fazzoletto di carta agli occhi. Altri hanno lo sguardo lucido. Nessuno 
>fiata, si resta tutti muti in quell'immensa aula di legni chiari, caldi, 
>diventata improvvisamente cinema dell'horror. Impietoso quanto necessario 
>per guardare dentro la morte. Cinque minuti e 10 secondi di visione del 
dvd 
>girato dalla polizia scientifica nell'immediatezza dell'incendio alla 
>Thyssen. Sembra passato un secolo dall'«incidente» che scuote il processo, 
>appena due ore prima: la difesa chiede che si allontanino tutti i 
testimoni 
>per sentire il primo, un ispettore capo di polizia. Ed allora una mamma, 
>Maria Grazia Rodinò, scatta in piedi: «Non me ne vado, voglio 
testimoniare, 
>vedere e ascoltare tutti. Fate semmai venire gli imputati, se hanno il 
>coraggio di presentarsi».
>
>Il presidente Maria Iannibelli concede una sospensione. L'avvocato di 
parte 
>civile Sergio Bonetto rinuncia alla testimonianza di due madri e un padre; 
>per gli altri 15 parenti-testimoni matura un accordo con la difesa: 
verranno 
>sentiti la prossima udienza (il 17) e potranno poi restare in aula. Ieri 
si 
>perdono soltanto il peggio, l'ispettore capo Massimo Galasso che racconta 
>come, entrando nel capannone, «non mi accorsi di aver scavalcato un 
>cadavere: lo presi per un sacco della spazzatura». Mario Barbetta, «primo 
>addetto» della linea vicina a quella della morte, racconta il «muro di 
>fuoco» cui si è trovato di fronte accorrendo in bici alle urla di 
Boccuzzi, 
>il superstite: «Il calore era insopportabile, ho riconosciuto Giuseppe De 
>Masi solo dalla voce. Rosario Rodinò chiedeva aiuto». In aula si ascolta 
la 
>telefonata di Barbetta al 118: sullo sfondo l'urlo di Rosario è 
straziante: 
>«Non voglio morire». Il testimone si guarda le mani, lo sguardo a terra, 
>singhiozza: «Rocco Marzo diceva che non riusciva a respirare. L'ho 
>accompagnato alla lettiga. Non avrei riconosciuto nemmeno lui se non mi 
>avesse parlato. Come Angelo Laurino e Roberto Scola, stesi a terra: 
>rantolavano. Erano tutti bruciati in faccia, nudi o quasi. Non posso 
>dimenticarli. Sono stato ricoverato in psichiatria e ancora oggi sono 
>seguito da uno specialista. Il mio tormento è di non aver potuto fare 
>niente».
>
>Il «primo addetto» è anche testimone del degrado dello stabilimento «dal 
>settembre 2007. In estate, con la cassa integrazione e dopo l'annuncio 
della 
>chiusura per luglio 2008, se n'era andato il 90 per cento dei manutentori. 
>Prima avevamo cinque capiturno, la notte dell'incendio ce n'era uno solo 
per 
>tutto lo stabilimento: Rocco Marzo. I princìpi di incendio erano routine 
>dove si saldava. La procedura consegnataci dall'azienda era: dovevamo 
>provare noi a spegnerli con estintori, se non ci riuscivamo si chiamava la 
>squadra antincendio dello stabilimento. Era vietato rivolgerci ai vigili 
del 
>fuoco. Una volta che dissi in portineria di telefonare al 115 fui 
>richiamato». E ancora: «Gli ultimi mesi c'era di tutto per terra: carta, 
>olio, gomma. Si tirava a lucido lo stabilimento solo quando dovevano 
venire 
>gli ispettori dell'Asl. Per l'azienda contava solo avere il personale 
>sufficiente, non importava se era inesperto, per mandare avanti le 
>macchine». E' un duro colpo per la difesa che aveva sollecitato un teste 
>(dirigente di polizia) a ricordare come, fra gli oggetti sequestrati nel 
>pulpito di comando della linea, vi fossero uno zainetto con una play 
station 
>2, una presa scart e alcuni giochi.
> 
>
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