[Redditolavoro] GOMORRA AL NORD...NON CENSURARE MAI
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Tue Sep 23 21:48:47 CEST 2008
Difendiamo
la libertà di stampa
A seguito della
pubblicazione di questo articolo, esattamente come la scorsa settimana
dopo la pubblicazione dell’articolo "Cosi’ ho
avvelenato Napoli", la Guardia di Finanza ha perquisito la
redazione de "L’Espresso", e le case dei giornalisti
Di Feo e Fittipaldi de "L’Espresso" e Guido Ruotolo
de "La Stampa". Per solidarietà con i giornalisti
inquisiti pubblichiamo il loro articolo.
Gomorra, FRONTE DEL NORD
di Gianluca Di Feo e Emiliano Fittipaldi
Bologna, Modena, Parma, Reggio: è la nuova terra
di conquista dei casalesi. Il pentito Bidognetti descrive l’assalto
camorrista. Con il gioco d’azzardo, il racket, l’ingresso
nei cantieri. E con la sfida dei padrini campani a Felice Maniero:
’Fatti da parte’
Tra la via Emilia e il West, nella Modena cantata
da Francesco Guccini, c’è gente che le pistole le usa
davvero. "Gli interessi dell’organizzazione dei casalesi
si estendono oltre la provincia di Caserta, anche ai territori dell’Emilia-Romagna,
e in particolare alle province di Modena, Reggio Emilia e Bologna.
L’interesse dei casalesi e la loro presenza sul territorio
inizia sin dalla fine degli anni Ottanta, ma in realtà molti
miei concittadini, per motivi attinenti ad attività da loro
prestate, in modo particolare nel settore edile, si trasferirono
in Emilia già negli anni ’70. Oggi si può dire
che, vista la numerosa presenza di casalesi in quella zona, Modena
e Reggio Emilia corrispondono a Casal di Principe e San Cipriano
D’Aversa....".
Domenico Bidognetti è stato un protagonista
del romanzo criminale che in vent’anni ha portato i camorristi
di tre paesini alla costruzione di un impero. Lui Gomorra l’ha
vista crescere e prosperare. È cugino del padrino Francesco
Bidognetti, quel Cicciotto ’e Mezzanotte che anche dal carcere
ha dominato l’ascesa dei mafiosi campani. La sua collaborazione
con i magistrati, che va avanti da un anno, sta svelando nuove dimensioni
della conquista casalese. Partendo dall’occupazione di quelle
province del Nord dove maggiore era la prospettiva di guadagno e
minore il rischio di entrare in guerra con le cosche siciliane e
calabresi, radicate in Lombardia e Piemonte: l’Emilia-Romagna,
appunto, e parte del Veneto. Con il sogno proibito di mettere un
piede a Milano, realizzando quell’assalto alla capitale morale
già tentato da Raffaele Cutolo nei primi anni Ottanta.
Giochi d’azzardo
Il contagio avviene sempre partendo dai soldi. Prima le bische e
gli investimenti immobiliari. Solo in una seconda fase si mettono
sul tavolo le armi e la violenza per imporre il racket. Con un obiettivo
strategico: entrare nel giro delle grandi opere, trasferendo sopra
la linea gotica gli accordi con le aziende padane collaudati nei
cantieri campani dell’Alta velocità. Si comincia quindi
dall’industria dell’allegria. Bidognetti elenca night
e ristoranti gestiti dagli affiliati, racconta della spartizione
del territorio con i calabresi e con il boss del Brenta Felice Maniero,
parla delle mazzette estorte ai costruttori Pizzarotti di Parma,
in un’Emilia inedita in cui i camorristi sembrano muoversi
come fossero a casa loro.
Rivelazioni pagate a caro prezzo
Il padre di Bidognetti è stato assassinato tre mesi fa. Lui
invece è andato avanti. Le sue parole intersecano e completano
anni di indagini della Procura antimafia di Napoli, che già
hanno svelato la penetrazione della famiglia Zagaria a Parma. Ma
anche l’altro collaboratore di giustizia, Gaetano Vassallo,
fornisce retroscena illuminanti sui traffici di cocaina tra Riviera
romagnola e Costa domiziana, completando l’affresco dell’arrembaggio
malavitoso.
Soldi facili
La scoperta della terra promessa avviene secondo il modello classico:
il soggiorno obbligato. Un capoclan spedito dai giudici a Modena
fa di necessità virtù criminale: sfrutta le colonie
di emigrati campani onesti per imporre il modello camorrista. "Accadeva
tra l’89 e il ’90. All’epoca noi ritenevamo questa
zona molto sicura, una sorta di fortezza. Sui casalesi e i sanciprianesi
residenti lì esercitavamo pressioni, quando eravamo a Modena
o Reggio per latitanza o provvedimenti di natura giudiziaria".
Domenico Bidognetti si trasferisce in Emilia una prima volta a 15
anni: è apprendista di una ditta casertana, ma dopo tre mesi
torna indietro "perché mi sentivo sfruttato". Scopre
così che ci sono soldi molto più facili. Le bische,
ad esempio, e i videopoker che i casalesi decidono di gestire "in
regime di monopolio". La rete che unisce Caserta, Modena e
Reggio frutta oltre 200 milioni di lire al mese, che i boss venuti
dal Sud non vogliono dividere con nessuno. "Venimmo a sapere
che c’era un gruppo riconducibile a Felice Maniero e a un
calabrese che volevano inserirsi in quell’attività.
Decidemmo di incontrare il Maniero, e da Casal di Principe partì
una squadra di notevole spessore criminale": una delegazione
che somma diverse condanne all’ergastolo. Due auto con pezzi
da novanta come i cugini Bidognetti, Raffaele e Giuseppe Diana e
l’imprendibile latitante Antonio Iovine. "Nell’incontro
imponemmo a Maniero di lasciar perdere. Quando tornammo, mio cugino
Cicciotto commentò l’inutilità del loro intervento,
dando del ’drogato’ a Maniero". L’atteggiamento
cambia nei confronti della ’ndrangheta. I padrini casertani
si fanno più rispettosi e stringono patti. Le zone dove incassare
il racket vengono divise in base alla provenienza: ognuno impone
il pizzo a negozianti e ditte create in Emilia da emigrati della
zona d’origine, riproducendo al Nord omertà e regole
di casa. È una situazione paradossale: nella gogna finiscono
imprenditori che avevano lasciato il Sud proprio per sfuggire alla
prepotenza dei clan. Per i boss invece le spedizioni hanno parentesi
felici: nei ristoranti e nei night emiliani non devono chiedere,
tutto viene offerto, tutto è gratis. "Tirammo fuori
solo una mancia per le ragazze che ci avevano intrattenuto...".
Caccia all’uomo
Le faide si spostano spesso da Caserta al Nord. Bidognetti descrive
inseguimenti nella nebbia e vendette incrociate lungo la direttrice
dell’Autosole. C’è il pedinamento nel centro
di Modena condotto durante i giorni di Natale: dopo lunghi appostamenti,
il bersaglio viene sorpreso in una piazzetta, ma all’ultimo
momento arriva un’auto e i killer rinunciano a colpire. Solo
un rinvio: la condanna verrà poi eseguita ad Aversa. A Modena
ci sono parenti fidati che custodiscono le armi e altri designati
come autisti per la conoscenza dei luoghi. Ma al volante non si
dimostrano all’altezza: uno degli agguati fallisce proprio
perché la vittima riesce a seminare il commando. Le sentenze
nascono anche da semplici sospetti. Uno degli ambasciatori delle
famiglie si vanta di guidare senza patente e non temere i controlli
della polizia. E due boss venuti da Caserta per incontrarlo vengono
invece bloccati dagli agenti: quanto basta per qualificarlo come
infame e decretarne l’esecuzione.
La legge del clan
Il pentito non lesina dettagli. Elenca i capi militari a cui era
affidata la custodia del fronte Nord. "Nel 1995 Francesco ’Sandokan’
Schiavone ci rappresentò la necessità di sottoporre
a estorsione non solo i commercianti casertani, ma anche quelli
non campani, come ad esempio gli emiliani. Per noi fu una novità:
sino ad allora le estorsioni venivano praticate solo a danno di
imprenditori che realizzavano grossi appalti". La richiesta
è legata a un momento di grande crisi economica del clan,
con le prime operazioni antimafia che avevano fatto finire in cella
capi e gregari e quindi la necessità di mantenere le famiglie.
Anche in questo caso c’è un’osmosi tra le attività
campane e quelle emiliane. Le commesse pubbliche più importanti
a Caserta andavano spesso a colossi del Nord, che poi accettavano
la legge dei camorristi, concedendo quote di lavoro e mazzette cash.
Il collaboratore ripercorre la storia della Pizzarotti di Parma,
che scese a patti per la costruzione del nuovo carcere di Santa
Maria Capua Vetere, destinato a custodire proprio i camorristi.
Un appalto da 82 miliardi di lire, portato avanti dal ’93
in poi, quando Mani Pulite aveva azzerato i cantieri settentrionali.
A vincerlo è un consorzio guidato dalla celebre coop ravennate
Cmc e dalla Pizzarotti. Gli emissari delle aziende emiliane e i
loro geometri vennero intimiditi con schiaffi, percosse e pistole
spianate. "Partecipai a una riunione con l’ingegnere
della Pizzarotti per sollecitare i lavori che spettavano a una delle
nostre ditte di fiducia". I boss ottengono un duplice vantaggio:
denaro in nero, pagato attraverso giri di fatture false, e contratti
leciti per entrare in una dimensione imprenditoriale.
Scacco alle due torri
"Anche a Bologna da tempo i casalesi hanno propri interessi
economici". Bidognetti però sugli investimenti non sa
essere più preciso: è un uomo d’azione, che
ricorda tutto delle pistolettate, ma non ha amministrato capitali.
Sul riciclaggio sotto le due torri gli investigatori lavorano da
tempo nel segreto. Ma le indagini hanno già smantellato parte
della rete creata a Parma dagli Zagaria, assieme ai Bidognetti e
agli Schiavone la terza grande famiglia casalese: lì si erano
uniti a immobiliaristi locali, trovando agganci nella politica cittadina
e sfiorando il colpo grosso. Uno degli Zagaria riesce a incontrare
Giovanni Bernini, leader emergente di Forza Italia e presidente
uscente del consiglio comunale ma soprattutto consigliere dell’allora
ministro Pietro Lunardi. Dalle intercettazioni emerge come la ricerca
di un contatto con Lunardi e con i costruttori parmensi fosse quasi
un’ossessione per gli Zagaria. Non è un caso. Parma,
Reggio Emilia, Modena, Bologna scandiscono l’asse delle opere
più importanti in ballo: l’Alta velocità, le
tangenziali, le nuove corsie dell’autostrada. Un Eldorado
di cantieri e subappalti che hanno tentato in tutti i modi di infiltrare.
Finora non c’è prova che ci siano riusciti. Ma i padrini
casertani contano sul fattore protezione: quasi tutti i colossi
italiani hanno costruito nel territorio chiave tra Roma e Napoli.
Dove avrebbero ricevuto dai casalesi servizi importanti: sicurezza,
manodopera a basso costo e pace sindacale. Il tutto in cambio di
subappalti, portati a termine con efficienza. Un contratto che molti
manager settentrionali hanno trovato vantaggioso.
La dama bianca
In Romagna i casalesi scoprono anche delle professionalità
innovative. Ne parla Gaetano Vassallo, ’il ministro dei rifiuti’
della camorra, descrivendo l’ammirazione del clan per un narcos
romagnolo, che apre una nuova rotta per i rifornimenti di cocaina
dal Sudamerica. Un personaggio che viene subito ammesso nella cerchia
che conta per la capacità di far entrare fiumi di droga attraverso
tanti corrieri insospettabili: dieci chili a settimana, 40 al mese.
Li chiamavano ’criature’, ossia bambini. Ma l’amico
della Romagna era anche in grado di fornire rifugi sicuri per i
latitanti che volevano stare alla larga dalle retate e dai killer
avversari. Quando il clima ad Aversa e a Casal di Principe si faceva
teso, quale migliore esilio che il divertimentificio adriatico?
Fonte: L’Espresso 20.09.08
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