[Redditolavoro] padroni e università

cobas dalmine cobasdalmine at infinito.it
Tue Oct 28 23:11:57 CET 2008


Padroni e governo giù le mani dalla scuola!!!

Università, sul ritorno del merito non c'è spazio per i conflitti
di Gianfelice Rocca (Vicepresidente Education Confindustria) 
“Valorizzazione del merito e meccanismi di reclutamento sono i due grandi temi all'ordine del giorno della modernizzazione del sistema universitario.”
Il livello d'istruzione dei nuovi assunti nel nostro Paese sta crescendo ovunque in tutta Italia; è la testimonianza che il progressivo ricambio generazionale della forza lavoro è destinato a favorire l'incremento della preparazione dei lavoratori e quello del contenuto intellettuale delle diverse professioni. I risultati della nuova rilevazione Stella indicano tre punti chiari.
- Aumenta il numero di "laureati puri" (del nuovo ordinamento didattico), segno della progressiva realizzazione della riforma del sistema universitario introdotta con il Dm 509/99. Una riforma che è stata semplicisticamente (e in modo non corretto) definita del "3+2", mentre in realtà ha adottato il sistema europeo che prevede 3 livelli di offerta universitaria: Bachelor, Master, Phd.
- Ben il 55,3% dei laureati triennali si inserisce sul mercato del lavoro. E quindi è fuorviante sostenere che «tutti i laureati triennali» proseguono gli studi e che le aziende non sono interessate a questi profili.
- Aumenta il numero di laureati magistrali (passati dal 5,8% al 23,5% della popolazione intervistata) segno che l'operazione di "disorientamento" è purtroppo stata efficace e molti studenti sono convinti che sia indispensabile conseguire la laurea "lunga".
Una ricerca sul campo, realizzata in un campione di università che comprende alcune delle realtà più produttive del Paese, sfata un mito: quello che in Italia ci siano pochi laureati e che le imprese italiane non li assumano. Al mito occorre rispondere con la ragione e le buone fonti statistiche. Una ci dice che la percentuale di laureati sull'intera popolazione italiana non supera il 12% e quella di laureati sull'insieme della forza lavoro occupata ha raggiunto il 15% (nel 1991 i laureati occupati rappresentavano soltanto il 7%!). Ancora una volta però questi dati fotografano una realtà statica. Per capire l'evoluzione in corso nel mondo dei nostri laureati, bisogna usare un'altra fonte. L'Ocse ci dice che se abbandoniamo l'esame delle "coorti lunghe" (cioè i laureati che hanno dai 24 ai 35 anni o quelli che ne hanno da 24 a 65) e concentriamo la nostra attenzione sulla percentuale di laureati sulla popolazione in età tipica da laurea (23-25 anni) facciamo una scoperta particolarmente significativa: i giovani che riescono a conseguire la laurea in Italia sono passati dal 2000 al 2006 dal 17 al 39% superando la media Ocse (che invece è del 37%). Questo è il dato che fa riflettere. Piuttosto che continuare a lamentarsi, occorre prendere atto della potente accelerazione che ha avuto l'offerta italiana di laureati negli ultimi anni.
Dall'indagine Stella, come dalle rilevazioni di Confindustria e di Unioncamere Lombardia, arriva poi un crescente interesse da parte delle imprese per le lauree triennali. Tra i giovani neoassunti laureati nel panorama nazionale, la laurea triennale rappresenta l'8% a Milano, il 10% in Lombardia (18,6% escludendo le aziende milanesi) e l'11% in Italia (a Milano la percentuale è leggermente più bassa perché maggiore è la presenza di grandi imprese e multinazionali, generalmente più attratte dai titoli universitari "lunghi").
Ma se il fabbisogno di professionalità e di qualificazione è in aumento, il mismatching tra domanda e offerta risulta ancora più evidente: è la qualità dell'istruzione superiore a non rispondere alle esigenze di occupazione delle imprese!
Benché ad un'istruzione più elevata corrisponda un maggior tasso d'occupazione, il dato per gruppi disciplinari evidenzia una differenza sensibile fra l'alto tasso di occupati sulla forza lavoro dei laureati del gruppo medico e scientifico (90% circa); e il basso tasso, invece, per il gruppo umanistico, politico-sociale e psicologico (70% circa). Il mismatching delle lauree T&S persiste, mentre l'offerta di laureati in materie socio-umanistiche supera la domanda.
L'offerta terziaria non è adeguata alla domanda delle imprese ed è assente in Italia il terziario non universitario. Le nostre imprese lo segnalano da tempo. Occorre far nascere un vero livello post-diploma, di tipo alto, non accademico, della durata di tre anni. Gli altri Paesi l'hanno fatto. Si possono citare: l'Iut francese, le Facochschule tedesche, e le Sup svizzere. 
Se in Italia vi è una bassa sensibilità scientifica e una scarsa cultura tecnologica questo dipende dalle secolari stratificazioni di pregiudizi anti-scientisti. Il luogo della scienza e della tecnologia non è solo il laboratorio ma anche l'impresa, che ha però bisogno di nuove legittimazioni. Le culture anti-scienza troppo spesso hanno coinciso con le culture anti-impresa.
Questo tema si lega a un importante concetto-chiave: quello del livello d'integrazione tra mondo delle imprese, scuola e università come leva per rafforzare le competenze del laureato e, conseguentemente, la sua competitività sul mercato del lavoro. 
Un altro mito si sta sgretolando: la flessibilità in entrata nel mercato del lavoro non è sinonimo di precarietà. I risultati dell'indagine Stella ci confermano quanto è ben noto al mondo delle imprese, ossia che il ricorso ai contratti a tempo determinato rappresenta una modalità di selezione e di prova del personale in entrata ed è ben mitigato dal sempre più frequente ricorso a forme contrattuali a tempo indeterminato.

Infatti, circa il 62% dei laureati triennali assunti ha un contratto di lavoro dipendente stabile (in proporzione quasi uguale tra tempo indeterminato e determinato).
Per i laureati magistrali la percentuale scende al 54%, ma i dati evidenziano come in questo caso si faccia un maggiore ricorso al contratto di apprendistato e ad altre forme contrattuali d'inserimento. I dati non possono prescindere dalla connessione con l'analisi dei contenuti, organizzazione e risorse umane che animano il sistema universitario italiano. Valorizzazione del merito e meccanismi di reclutamento sono i due grandi temi all'ordine del giorno della modernizzazione del sistema universitario.
Per aumentare la competizione virtuosa tra gli atenei occorre attuare, possibilmente con il consenso dell'opposizione, le misure previste dal Patto per l'università del 3 agosto 2007 e destinare 350 milioni al finanziamento premiale delle università sottofinanziate. Entro tre anni far sì che una quota crescente del Fondo di finanziamento ordinario, fino ad arrivare almeno al 30%, sia trasferita agli atenei su base premiale tramite valutazione.
Per realizzare un'effettiva autonomia, occorre modificare la governance e le modalità di reclutamento dei docenti ispirandosi ai migliori standard internazionali e consentire a ciascun ateneo la libertà di assumere personale docente italiano e straniero, nel quadro di una progressiva privatizzazione del rapporto di lavoro, delegificando assunzione e promozione dei docenti, nell'ambito di un rigoroso controllo sulla qualità da parte di agenzie esterne. 
All'università servono flessibilità, capacità di decidere, capacità di adattamento all'interno e verso il mondo che la circonda. Merito e valutazione sono al centro dei problemi che riguardano i docenti.
Un tema fondamentale è quello della progressione di carriera, che oggi è automatica all'interno di ciascun ruolo. Bisogna introdurre invece un elemento di progressione basato sulla valutazione del merito.
Da ultimo, occorre affrontare senza pregiudizi il tema delle Fondazioni universitarie. Come noto, il recente Dl 112 prevede in linea di principio la possibilità che alcuni atenei si trasformino in fondazioni di diritto privato. Restano molti dettagli da mettere a punto, ma credo che si tratti di un'opportunità molto importante per la diversificazione del nostro sistema universitario, e spero che non venga lasciata cadere.
Esiste un filo conduttore di tutti questi temi, che pongono il problema non facile di come conciliare le sfide della modernizzazione in questi settori chiave per il futuro del Paese con le rigidità della natura pubblicistica del personale dell'università. Ci sono i margini per introdurre innovazioni, per altro presenti nei programmi elettorali di Pd e Pdl, che possono essere condivise a livello di sistema Paese e non costituire più oggetto di inutili conflitti ideologici.



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