[Redditolavoro] 1 milione di Bugie e l' omicidio politkosvaja 7
ottobre 2008...
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frficiar at hotmail.com
Tue Oct 7 21:30:19 CEST 2008
Sed magis amica veritas: a due anni dalla morte di Anna Politkovskaja
[Caso
eccezionale di cross-posting, ma il contenuto sta esattamente a metà
tra i due blog, dividendosi tra valutazione e ricostruzione].
È
possibile smascherare una bugia, ma quando ce ne sono milioni, quando
vengono scelte e ricombinate anno dopo anno, decennio dopo decennio,
quando milioni di persone abilmente addestrate partecipano a questa
falsificazione con l'impiego di enormi risorse e tecnologie sofisticate
e miliardi di persone subiscono un lavaggio del cervello ideologico
generazione dopo generazione, non c'è alcuna possibilità di scavalcare
quella serie ininterrotta di bugie e ristabilire la verità. Non è
improbabile che secoli dopo si possa scoprire un barlume di quella
verità, ma quale differenza potrà mai fare? Sarà solo un debole e
distorto riflesso della storia.
Aleksandr Zinov'ev, Global'noe Sverchobščestvo i Rossija, Mosca, Labirint, 2000.
Il russo ha due parole per dire verità: pravda e istina.
La prima fa parte di un gruppo di vocaboli che ha per radice “vero”,
“giusto” ed è anche “franchezza”, verso se stessi e verso gli altri; la
giustizia per esempio è pravosudie,
il processo con cui si cerca e si trova la verità. La seconda è la
Verità con la V maiuscola, l'unica, quella che rende liberi e con la
quale è meglio non scherzare.
Io qui sarò semplicemente sincera. Nei giorni successivi alla morte di Anna Politkovskaja, che conoscevo grazie al libro La Russia di Putin
pubblicato in Italia da Adelphi e ad alcuni articoli letti in rete, ho
deciso di mettermi a tradurre dal russo un po' di materiale scritto da
lei e su di lei: articoli, ricordi, commenti, reazioni, dinamica
dell'omicidio, primi passi delle indagini. Il motivo è semplice: mi
interessava. Per anni avevo continuato a seguire le vicende russe,
senza mai scriverne e con un certo distacco. Però l'omicidio
Politkovskaja per me ha rappresentato una svolta, e non nel senso più
immaginabile o prevedibile: basti qui dire che mi sono resa conto
quanto fosse drammatica la differenza di percezione tra Russia e
Occidente e quanto bisognasse lavorare per spiegare, distinguere,
mediare, contestualizzare, mettendoci di volta in volta e a seconda dei
casi serietà, ironia, pedanteria, leggerezza.
Mai la differenza tra
il punto di vista russo e le proiezioni occidentali mi era sembrata più
grande e più difficile da gestire come in quell'ottobre 2006: di qui la
scelta a un certo punto di smettere di scriverne e di occuparmi più
seriamente della Russia e soprattutto di quello che la Russia non è.
Oggi,
a due anni di distanza, è il momento di riparlarne. Credo che
l'omicidio Politkovskaja sia stato capace di tirar fuori il peggio di
ciascuno, di innescare isteriche reazioni a catena di malintesi,
generalizzazioni e approssimazioni. È stata una gara di dilettantismo,
opportunismo, insensibilità, mancanza di tatto, meschine vendette,
cialtroneria, ipocrisia, sentimentalismo, pelosa compassione.
Da
una parte, la Russia. Putin che fece quello che fa di solito quando
viene messo sotto pressione e si infastidisce per le domande sbagliate:
invece di strapparsi i pochi capelli superstiti e spargere lacrime di
coccodrillo uscì dal protocollo e offrì a tutti noi occidentali quello
che volevamo vedere, il demone meschino con un passato nei Servizi, KGB
a Dresda. Ricordate? Cosa è successo al Kursk? È affondato. E Anna
Politkovskaja? La sua influenza nella vita politica del paese era
minima, no?
Forma sbagliata, contenuti tecnicamente corretti.
Come
è stato spiegato da giornalisti e addetti ai lavori che non possono in
alcun modo essere sospettati di connivenza con il Cremlino, non credo
di fare un torto ad Anna Politkovskaja confermando che non era molto
letta né molto conosciuta nel suo paese. Ma non perché particolarmente
scomoda: semplicemente perché l'informazione russa, fuori e dentro la
rete, è complessa, stratificata e dispersiva, con numeri, proporzioni,
livello di interattività e capacità di influire sulla situazione del
paese molto diversi da quelli a cui siamo abituati.
E forse anche perché scriveva per un bisettimanale, la Novaja Gazeta,
che non è un faro della libera informazione e del giornalismo
investigativo in un paese altrimenti barbaro: è un giornale
politicamente orientato in senso “liberale” al quale, come ha ben
ricordato John Laughland, [1] collaborano e hanno collaborato
commentatori filo-americani vicini alla Jamestown Foundation, il centro
studi neo-conservatore interessato alla democratizzazione (o
“destabilizzazione”, dipende dai punti di vista) dei paesi
dell'ex-blocco comunista. Dal 2006 il 49% della Novaja Gazeta
è nelle mani di Michail Gorbačëv (10%) e di Aleksandr Lebedev (39%),
politico e uomo d'affari milionario nonché ex funzionario del KGB e poi
dell'SVD (i servizi segreti internazionali russi). Incidentalmente, i
due hanno appena deciso di fondare un nuovo partito, il Partito
Democratico Indipendente. [2] Sia chiaro: non è che Gorbačëv stia
proprio simpatico a tutti, in Russia.
Infine, tanto per farci
un'idea delle proporzioni, una circolazione di 250.000 copie in un
paese di 145 milioni di persone non è molto.
Potremmo anche
aggiungere a tutto questo il fatto che alla Politkovskaja non veniva
perdonato di essersi associata a Boris Berezovskij nel comune interesse
per il Caucaso Settentrionale e la causa dei profughi ceceni, che in
quegli anni riceveva l'attenzione dei media occidentali e i soldi delle
cosiddette fondazioni umanitarie e delle organizzazioni non
governative. Intendiamoci: non c'è niente di male nell'abbinare al
giornalismo la difesa dei diritti umani, a patto che non si considerino
alcuni più umani di altri.
Come reagì l'opinione pubblica russa
alla morte di Anna Politkovskaja? Con un misto di pena e indifferenza.
In rete le cose stavano diversamente: opinioni tendenzialmente molto
critiche e distaccate, con picchi di livore nei confronti della
giornalista e del suo lavoro, e quei primi sintomi di rabbia e
delusione nei confronti dell'opinione pubblica e dei media occidentali
destinati a esasperarsi negli anni successivi.
Come reagì
l'Occidente? Ma figuriamoci, il cadavere della povera Politkovskaja era
il grande sogno trasversale: ci si buttarono tutti, giornalisti,
politici, opinionisti, difensori della libertà di stampa, associazioni
per la difesa dei diritti umani, sindaci, assessori, poeti, cantanti,
registi, comitati di signore bene. E poi i premi, i premi: postumi,
intitolati alla defunta, inutili. Che momenti.
Naturalmente
parte di questi singoli e organizzazioni era in perfetta buona fede, e
non lo dico solo perché l'ultima cosa che vorrei è un picchetto di
signore sotto casa che protesta contro gli abusi in Russia. Ma di fatto
i media occidentali (i nostri sulla scia di quelli britannici e
statunitensi) avevano consacrato e diffuso una versione unica: in
Russia era stata assassinata una giornalista coraggiosa che si opponeva
a Putin; se ne deduceva che Putin doveva avere commissionato l'omicidio.
La
vecchia sindrome del rosso sotto il letto è dura a morire, e l'avrebbe
dimostrato di lì a poco l'opera buffa mediatica rappresentata dalla
morte di Aleksandr Litvinenko (a proposito del quale, lo ammetto, mi
sono fatta meno scrupoli: ma lui non era né giornalista, né donna, e
del resto neanche tanto coraggioso).
Il Financial Times
sottolineava che Putin era responsabile della creazione di un clima
politico e sociale che rendeva possibili omicidi come questo. Anne
Applebaum sul Washington Post
attribuiva direttamente a Putin gli omicidi di giornalisti avvenuti in
Russia dopo il 2000 (non che prima non ce ne fossero stati, solo che
prima c'era El'cin). Olga Craig sul Sunday Telegraph titolava
un suo articolo “Incrocia Putin e muori”, nel quale raccontava la
fantasmatica storia di un povero giornalista russo perseguitato dai
servizi segreti assassini. L'Economist ne approfittava per evocare le ombre del Reich e osservava che “a volte la Russia sembra orientarsi verso il fascismo”. [3]
La
demonizzazione della Russia a questo punto era completa, potevamo
rilassarci in questa certezza che non aveva bisogno di ulteriori
conferme e dimenticarci della vera Politkovskaja. Tanto la vera
Politkovskaja non esisteva già più: esisteva invece il fantasma di “una
delle giornaliste più brillanti e coraggiose” (The Guardian), “una delle poche voci che osassero contraddire la linea di partito” (The Daily Telegraph), “scomoda in nome della libertà” (The Independent), “la più famosa giornalista investigativa russa” (The Times), “una delle giornaliste più coraggiose” (The New York Times), “vittima di raro coraggio” (The Washington Post). [4]
Anna
Politkovskaja svolgeva il proprio lavoro in una posizione di estrema
vulnerabilità, con i suoi reportage dal Caucaso ha documentato e
testimoniato sofferenze, torture e abusi ed è stata vicina a tante
vittime della guerra, anche se solo di una parte coinvolta in quella
guerra. Per farlo e per combattere contro quello che considerava un
sistema spietato ha scelto di schierarsi, e questo non l'ha resa più
amata (basti leggere la testimonianza di uno degli ostaggi dell'assedio
al Teatro Nord-Ost: non contiene parole di perdono o di riconciliazione
ma accuse feroci e dolorose che non è difficile comprendere). [5] Ha
corso rischi intollerabili e si è fatta molti nemici, ma forse non per
le storie che scriveva (come ricordò il giornalista e commentatore
politico Oleg Kašin in un bell'articolo su Vzgljad, più che una giornalista era una newsmaker:
tendeva a stare davanti e non dietro alle telecamere, a fare notizia
più che a scriverne). [6] Tra questi nemici c'erano persone capaci di
farla uccidere praticamente alla luce del sole, o almeno nell'ingresso
di un tranquillo condominio, vicino all'ascensore, un pomeriggio di
ottobre: quattro colpi di Makarov, compreso quello finale “di
controllo” (kontrol'nyj), che serve a verificare che la vittima sia morta ed è considerato indizio di un assassinio su commissione.
Per
concludere: non so se Anna Politkovskaja sia stata in qualche modo
strumentalizzata quando era in vita, e se ne fosse consapevole. So però
che lo è stata, e molto, dopo la sua morte.
Ma veniamo al punto sulle indagini, che sono ora giunte a una svolta.
Inizialmente
circolano varie ipotesi, tutte più o meno collegate all'attività
professionale della Politkovskaja: vendetta di poliziotti corrotti che
erano finiti nei guai per i suoi articoli; vendetta di militanti
ceceni; azione dei nazionalisti russi (il suo nome era sulla lista di
morte di vari gruppi neonazisti); provocazione politica per screditare
le autorità russe e cecene o innescare conflitti nel Caucaso.
Poi la Procura Generale chiede il silenzio stampa, che viene rispettato. La Novaja Gazeta annuncia
che avvierà una propria indagine e collaborerà con gli inquirenti;
Aleksandr Lebedev offre una ricompensa pari a 1 milione di dollari a
chi contribuirà alla soluzione del caso.
Segue dunque un silenzio stampa che dura dieci mesi.
Il
28 agosto 2007 il Procuratore Generale Jurij Čajka annuncia in una
conferenza stampa l'arresto di dieci sospetti in relazione
all'omicidio. Tra questi, un ufficiale di polizia, un colonnello
dell'FSB (Servizio di sicurezza federale, i servizi segreti russi) e
tre ex poliziotti; gli altri cinque sono ceceni, uno di loro avvocato a
Mosca, e farebbero parte di una banda specializzata in omicidi su
commissione. Gli inquirenti pensano che i ceceni possano avere a che
fare anche con gli omicidi del vice presidente della Banca Centrale
russa Kozlov e del giornalista di Forbes Russia Paul Klebnikov.
La Novaja Gazeta,
impegnata nella sua indagine parallela, scrive che gli arresti sono
stati fatti dal 15 al 23 agosto. Il direttore del giornale definisce le
conclusioni degli inquirenti “convincenti”, il figlio della
Politkovskaja, Il'ja, si dice “non sorpreso”.
“I nostri nomi
coincidono con quelli dell'indagine ufficiale”, dice il vice direttore
del giornale, Sergej Sokolov. “Ma l'identità del mandante non coincide”.
Nella
sua conferenza stampa il Procuratore Generale fa anche una
dichiarazione politica, puntando il dito contro le “forze esterne” di
putiniana memoria che mirano a offuscare la reputazione internazionale
della Russia e a destabilizzare la situazione interna del paese, e
aggiunge che i responsabili vogliono “un ritorno al vecchio sistema di
governo nel quale erano i soldi e gli oligarchi a decidere tutto”. Non
si fanno nomi, ma tutti colgono il riferimento agli oligarchi in esilio
(rispettivamente nel Regno Unito e in Israele) Berezovskij e Nevzlin;
non a caso nel corso della conferenza stampa Čajka ribadisce che la
Russia continuerà a chiedere l'estradizione di Berezovskij, ricercato
per reati finanziari.
Nel frattempo anche l'FSB tiene una conferenza stampa in cui comunica che un suo ufficiale, Pavel Rjaguzov, è tra gli arrestati.
Gli
altri nomi non si sanno, ma appaiono sulla stampa il giorno successivo,
completi di foto e generalità dei sospettati: Aleksej Berkin, Dmitrij
Lebedev, Tamerlan Machmudov, Džabrail Machmudov, Oleg Alimov, Achmed
Isaev, Sergej Chadžikurbanov, Dmitrij Gračev, Pavel Rjaguzov. Il Moskovskij Komsomolec
aggiunge un bel po' di dettagli. [7] Si sa così che Rjaguzov, il
colonnello dell'FSB, ha 37 anni ed era già tenuto d'occhio da tempo per
presunti collegamenti con il crimine organizzato. Rjaguzov è
specializzato in compiti di sorveglianza, dunque potrebbe avere messo
sotto controllo il telefono della Politkovskaja. Dmitrij Lebedev,
Dmitrij Gračev, Oleg Alimov e Aleksej Berkin sono ex poliziotti: alcuni
hanno lasciato il servizio tra i 5 e gli 8 anni fa. Avrebbero avuto
l'incarico di sorvegliare la Politkovskaja quando usciva di casa.
Sergej Chadžikurbanov, ufficiale di polizia, 40 anni, quattro anni
prima ha organizzato una trappola che ha portato alla cattura di Frank
Alcapone (alias Fizuli Mamedov), arrestato per il possesso di un chilo
di eroina. Secondo le guardie del corpo del boss l'eroina gli era stata
messa addosso dai poliziotti. Alcapone viene rimesso in libertà e i
poliziotti accusati di abuso d'ufficio.
Poi ci sono i tre
fratelli Machmudov, di origine cecena: Tamerlan, 36 anni, Džabrail, 49,
e Ibrahim, 25. Tamerlan e Ibrahim risiedono a Mosca, Džabrail a
Zarajsk, nel distretto di Mosca. Secondo le autorità questi tre non
avevano rancori personali nei confronti della giornalista, e hanno
partecipato all'omicidio in cambio di un'ingente somma di denaro.
Infine
ci sarebbe l'autista, Achmed Isaev: avrebbe portato i fratelli
Machmudov sul luogo del crimine e li avrebbe aiutati a ottenere la
documentazione per acquistare la macchina.
Forse anche a causa
di questa fuga di notizie, nei giorni successivi le prove contro alcuni
degli accusati cadono una dopo l'altra. Viene rilasciato per
insufficienza di prove Berkin (gli inquirenti pensavano facesse parte
della banda di criminali ceceni chiamata “Lasagna”, dal nome di un
ristorante in cui erano soliti incontrarsi, e ritenuta responsabile
dell'omicidio); e viene rilasciato anche Chadžikurbanov, perché il
giorno dell'assassinio era in carcere (quello che si dice un alibi di
ferro). [8] Poi è la volta di Alimov, mentre emerge che Rjaguzov è
accusato di abuso di potere per un caso che risale al 2002. [9]
A
una settimana dagli arresti, un altro colpo di scena: la Procura
Generale toglie il caso alla squadra di inquirenti che se ne era
occupata fino a quel momento e al suo capo Pëtr Garibjan. [10] Il
direttore della Novaja Gazeta Muratov dice in un'intervista a Echo Moskvy che la decisione è frutto di pressioni dei siloviki
(uomini dei servizi) per sabotare le indagini. La Procura Generale nega
l'accusa dicendo che la squadra è stata invece rafforzata con
l'aggiunta di nuovi elementi. La Novaja Gazeta
fa sapere che continuerà a lavorare con Garibjan, che sono in corso
nuovi arresti e che l'indagine si è fatta estremamente complicata.
La Procura apre un'indagine sulla fuga di notizie.
A
metà settembre viene arrestato Šamil Buraev, ex capo del distretto
ceceno di Ačhoj-Martanov, accusato di aver ottenuto l'indirizzo della
giornalista da Rjaguzov e di averlo passato agli assassini.
Una
notizia RIA Novosti del 24 ottobre conferma che Buraev rimane in
arresto e che i detenuti al momento sono nove, compresi i fratelli
Machmudov. [11]
Nell'intervista a Time
del dicembre 2007 Putin dice che le autorità faranno il possibile per
risolvere il caso, ma che ci sono dei “problemi con le prove”. [12]
Alla
fine di marzo 2008 la Procura Generale fa sapere che il killer è stato
identificato ed è attualmente ricercato. Gli accusati in quel momento
sono nove, compreso l'ufficiale dell'FSB. [13]
Agli inizi di aprile un investigatore capo incaricato delle indagini, Dmitrij Dovgij, rilascia un'intervista a Izvestija
nella quale afferma che Boris Berezovskij è il mandante dell'omicidio.
Dovgy è stato sospeso per corruzione (avrebbe preso tangenti per 4
milioni e mezzo di dollari), ma secondo Izvestija
l'intervista è stata fatta quando era ancora in servizio. [14] Dovgij
non ha in mano prove concrete, ma si dice convinto che l'omicidio sia
stato ordinato da Boris Berezovskij attraverso Chož-Achmed Nuchaev, il
criminale ceceno fuggiasco ufficialmente sospettato dell'omicidio di
Paul Klebnikov. Appare abbastanza evidente che Dovgij, che pochi mesi
prima in un'intervista alla Rossijskaja Gazeta
era stato estremamente cauto, ha tentato una mossa disperata
dimostrando la sua lealtà e accreditando una pista politica che poteva
supporre molto gradita ai suoi superiori.
Il 16 aprile altra
fuga di notizie: il sito russo Life.ru pubblica la foto di Rustam
Machmudov, sospettato di essere l'esecutore materiale dell'omicidio.
[15]
Il 12 maggio viene rilasciato un altro sospetto, Magomed
Dimelchanov. Gli arrestati scendono a sette. Contro Rustam Machmudov è
stato emesso un mandato di cattura internazionale.
Agli inizi di giugno viene rilasciato anche Buraev, in attesa di processo.
Il
18 giugno gli inquirenti russi dichiarano di avere concluso l'indagine
e di avere formalizzato le accuse contro quattro sospetti: tre per
coinvolgimento nell'omicidio e uno per abuso d'ufficio. [16]
Un'indagine distinta è stata avviata nei confronti dell'esecutore
materiale dell'omicidio, Rustam Machmudov, latitante. Le accuse contro
Buraev sono invece cadute per insufficienza di prove.
Agli inizi di
luglio fonti della Procura Generale dichiarano di sapere in quale paese
dell'Europa Occidentale si nasconda Machmudov. [17]
Arriviamo
infine al 2 ottobre 2008, quando la Procura Generale della Federazione
Russa comunica di avere rinviato a giudizio per l'omicidio di Anna
Politkovskaja tre persone: Sergej Chadžikurbanov e i fratelli Džabrail
e Ibrahim Machmudov. L'ex ufficiale dei servizi Pavel Rjaguzov è
accusato di abuso di ufficio. Un distinto procedimento penale è stato
avviato a carico di Rustam Machmudov. [18]
Il figlio della
giornalista, Il'ja Politkovskij, ha sostenuto in una conferenza stampa
che il caso è stato trasferito non a un tribunale civile, ma a un
tribunale militare, in quanto uno degli imputati è un agente dei
servizi. “Vorrei sottolineare che non accuso dell'organizzazione
diretta di questo omicidio le autorità, perché niente fa pensare a
questo. All'omicidio hanno preso parte elementi isolati dei servizi
segreti e loro agenti”, ha aggiunto il figlio della giornalista. [19]
Dunque si va al processo, probabilmente in tempi brevi. Mancano il killer, il mandante e il movente.
La ricompensa da un milione di dollari non è stata incassata da nessuno.
È
una storia fatta di voci e fughe di notizie, di avvertimenti, di “io
so”, di sassi lanciati e mani nascoste, di rivelazioni frettolose e
premature, di gang Lasagna e soldi, di criminalità, connivenze e
coperture, probabilmente non di massimi poteri, o folli regali di
compleanno, o premier ceceni capricciosi, o maligni oligarchi con
l'hobby del colpo di stato. Ma chi può dirlo con certezza.
Quando
è stata diffusa la notizia del rinvio a giudizio la stampa occidentale
e quella russa hanno reagito pigramente. La ricerca su Google e Yandex
dà pochi e ripetitivi risultati, le discussioni sui blog si limitano a
rilanciare la notizia (che è stata riportata già a settembre [20] e non
fa che confermare fatti noti già a giugno), nessun commento sui
giornali.
Forse si aspetta il 7 ottobre per far scattare i riti del
ricordo, più appaganti della ricerca di un tenue e distorto riflesso di
verità.
Note
[1] “Who killed Anna Politkovskaya?”, John Laughland, Sanders Research Associates, 19 ottobre 2006
[2] “Russia: Gorbaciov- Lebedev, partito”, ANSA, 30 settembre 2008
[3] “Where is America's Politkovskaya?”, Mark Ames, The eXile, 20 ottobre 2006
[4] John Laughland, op. cit.
[5] СВИНСТВО!!!, http://al-stal.livejournal.com/, 20 ottobre 2006
[6] “Kto ubil Annu Politkovskuju?”, Oleg Kašin, Vzgljad, 9 ottobre 2006
[7] “Sodejstvujuščie lica i ispolniteli – V spiske ubijc Politkovskoj – torgovcy ryboj, čekisty i milicionery”, Moskovskij Komsomolec, 29 agosto 2007
[8] “Mera Otsečenija”, Kommersant', 30 agosto 2007
[9] “Genprokuror sdaet po delu”, Kommersant', 31 agosto 2007
[10] “Investigator out in Politkovskaya case”, The Moscow Times, 5 ottobre 2007
[11] “Court remands Politkovskaya murder suspect Burayev in custody”, RIA Novosti, 24 ottobre 2007
[12] “Putin promises to complete probe into Politkovskaya's murder”, RIA Novosti, 19 dicembre 2007
[13] “Politkovskaya's killer identified, being sought - top prosecutors”, RIA Novosti, 28 marzo 2008
[14] “Načalnik Glavnogo sledstvennogo upravlenija Dmitrij Dovgij: 'Čeloveku dolžno byt' vygodno ne brat' vzjatok'”, Izvestija, 3 aprile 2008
[15] “Ubijstvo izvestnoj žurnalistki. Killer sbežal iz Rossii”, Life.ru, 15 aprile 2008
[16] “Russian prosecutors finish probe into Politkovskaya murder”, RIA Novosti, 18 giugno 2008
[17] “Russian reporter Politkovskaya's killer hiding in Western Europe”, RIA Novosti, 1° luglio 2008
[18] “Russian prosecutors refer Politkovskaya murder case to court”, RIA Novosti, 2 ottobre 2008
[19] “Delo ob ubijstve Politkovskoj peredano v voennyj sud”, RIA Novosti, 2 ottobre 2008
[20] “Delo Politkovskoj v Genprokurature”, Rossijskaja Gazeta, 20 settembre 2008
Manuela Vittorelli è membro di Tlaxcala,
la rete di traduttori per la diversità linguistica. Questo articolo è
liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l'integrità e di
menzionarne autori, traduttori, revisori e la fonte.
La traduzione francese, a cura di Fausto Giudice, è a questo indirizzo.
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