[Redditolavoro] nè terroristi nè terrorizzati
fra
frengo at anche.no
Tue Nov 18 21:06:24 CET 2008
da http://www.urgence.splinder.com/
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Martedì 11 novembre 2008, prime ore del mattino. Un battaglione di
poliziotti mascherati ed equipaggiati di tutto punto per sostenere un
combattimento da guerriglia urbana ad alta intensità, circonda un piccolo
villaggio, Tarnac, nel cuore della Francia. Nello stesso momento altri
guerriglieri dello Stato irrompono nelle case di altre persone, a Parigi, a
Rouen e in qualche altra provincia della nazione. Le immagini diffuse dai
media ricordano quelle dei poliziotti italiani quando hanno catturato Totò
Riina, il cosiddetto capo della mafia. Anche se non c'era nessuno ad
applaudirli questa volta.
Al termine della mattinata la ministra dell'interno francese sostiene di
avere autorizzato e diretto una operazione di polizia, denominata Taiga,
mirante al fermo di una trentina di persone fra le quali ben dieci (quattro
uomini e sei donne, tutte tra i 23 e i 34 anni, tranne una persona di 64
che i giornali dicono essere la madre di una delle donne coinvolte
nell'operazione e la cui colpa sembra essere quella di andare a trovare
troppo spesso la figlia), sono state tratte in arresto utilizzando le
misure di polizia riguardanti l'antiterrorismo, ovvero senza che alcun
magistrato abbia convalidato il fermo. La detenzione in questo caso può
essere prolungata (e difatti lo è stata) per ben 96 ore e senza
possibilità di vedere i propri legali. In molti tra noi non se ne rendono
conto, ma oggi chiunque può essere sequestrato per più giorni sulla base
dell'opinione di un poliziotto.
Si tratta, dice la ministra di polizia, subito amplificata da tutti i
media, di persone appartenenti a un presunto "movimento anarco-autonomo" le
quali, almeno in un primo momento, sono accusate di aver preso parte a una
serie di sabotaggi delle linee ferroviarie avvenuti nel precedente fine
settimana. Lei assicura che i fermi e gli arresti sono avvenuti in
relazione a questi fatti anche se aggiunge, in maniera molto più
significativa, che scopo dell'operazione è quello di anticipare il
"rischio" dell'allargamento e del rafforzamento di questo movimento di
"ultra-sinistra" che, per altro, si sostiene abbia strane relazioni con
attivisti di altri paesi europei (come se fosse strano avere amicizie in
giro per il mondo).
Nei due giorni successivi la stampa, la televisione e le radio si scatenano
producendo un evento politico-mediatico che vede via via mettere al suo
centro non tanto l'affare dei sabotaggi ma la singolare figura delle
persone coinvolte nell'inchiesta, o meglio il loro presunto profilo
criminale. Prima cosa che però appare incomprensibile tanto ai media che
agli investigatori: questo "gruppo", di cui viene addirittura designato un
"capo", non ha alcun nome collettivo come ci si aspetterebbe da una
organizzazione politica ed è composto essenzialmente da persone che vivono
insieme in una comune (definita dai media "libertaria") nei dintorni di
Tarnac. In questo paese oltre a curare una fattoria, con degli animali e un
orto, essi hanno preso in carico un piccolo negozio di prossimità, un bar,
un ristorante che fa "menu operaio"; in questi stessi spazi essi
organizzano serate di musica, di ballo e di cinema per gli abitanti del
villaggio. Gli abitanti di Tarnac, dopo un comprensibile momento di
smarrimento, infatti fanno quadrato e difendono i giovani della comune,
sostenendo l'assurdità del dispositivo poliziesco: altro che terroristi,
dicono, questi giovani hanno rivivificato questo villaggio!! Ma, si insinua
sulla stampa, delle persone che preferiscono un villaggio a Parigi, il
centro della politica e della cultura repubblicana, non paiono già di per
sé sospette? Dei giovani "nichilisti" che coltivano la terra e organizzano
la socialità in un piccolo comune in effetti sembra essere una
contraddizione in termini. Ma anche appare singolare che seppur vivendo per
la maggior parte del tempo in paese, questi strani personaggi continuano ad
avere intense relazioni con altre città, altre metropoli, altre persone,
altre esistenze. Nessuna marginalità, nessun isolamento, nessun segno di
autismo.
Questa cosa in particolare, poi, del "non avere nome" è per altro
inquietante per chi è abituato a gestite identità, a separare gli
individui gli uni dagli altri per meglio controllarli tutti insieme, a
contrattare con gruppi politici che anzi vivono essenzialmente attraverso
la loro rappresentazione ideologica e specialmente mediatica. Per questo,
quando delle persone che condividono una forma-di-vita si inserisce
attivamente nei conflitti sociali ma non presentano la loro "carta
d'identità", lo Stato deve affrettarsi a produrre un nome, una identità,
una ideologia e ovviamente un capo. Classificare e dominare, come recita il
titolo di un libro uscito di recente proprio in Francia, è d'altra parte
l'attività principale del biopotere moderno. L'inclassificabile,
l'anonimo, l'invisibile, il non mediatico, è l'ombra di una estraneità
allo Stato. Su questo, non v'è dubbio. Difatti non tardano ad
appiccicargli un nome: la "cellula invisibile", invenzione dei poliziotti
ispirati dalla sigla collettiva – Comitato Invisibile - con la quale è
firmato un libro che li inquieta moltissimo.
A guardare bene ciò che è accaduto in Francia negli ultimi tempi, ci si
accorge che questo colpo sferrato verso la comune di Tarnac non viene dal
nulla.
Da almeno un anno infatti, all'indomani dell'esplosione del movimento
anti-CPE, gli organi di potere (tra cui ci mettiamo ovviamente anche i
media) avevano cominciato la loro operazione di guerra di contro-insorgenza
con una serie di dichiarazioni e di articoli tramite cui hanno costruito
l'immagine, l'identità e il profilo criminale di un fantomatico Movimento
Anarco-Autonomo Francese. Ricordiamo che gli arresti di questi giorni sono
stati preceduti nei mesi scorsi, in modo meno spettacolare, dall'arresto di
altri uomini e donne accusati di far parte di questo "movimento" e che, in
realtà, partecipavano in quel momento alle lotte contro i centri di
detenzione per immigrati in Francia. Da allora si sono susseguite
insinuazioni, strani avvertimenti, pseudo analisi socio-politiche sulla
"risorgenza" degli autonomi, facendo riferimento esplicito all'esperienza
italiana degli anni Settanta. Il vero incubo dello Stato di polizia è
ritrovarsi immerso in una situazione di ingovernabilità tale da dover
cedere pezzi di sovranità, dal non poter tranquillamente gestire il
disastro sociale come meglio gli aggrada ma, anzi, di doversi misurare con
una forza contraria e irrapresentabile secondo i canoni della politica.
Il dispositivo comunicativo messo in piedi, comunque, è particolarmente
rozzo per chiunque abbia un minimo di conoscenza dei movimenti
contemporanei, in Francia come altrove, ma serve bene allo scopo che si
rivela, infine, in questa grigia mattina di novembre e che, come nel famoso
disco rotto, ripete pedissequamente una sequenza che ben conosciamo:
"sbatti il mostro in prima pagina", circondalo di menzogne, infiltralo di
calunnie e sospetti e colpisci in questo modo tutti coloro che in quel
momento sono coinvolti o quanto meno sono disposti a impegnare la propria
vita in modo differente dal come la prescrizione di Stato prevede. Certo si
può "contestare", ma per farlo non solo devi essere mansueto e docile,
"determinato ma non violento", "conflittuale ma colorato" e al limite
antagonista purché ben riconoscibile ma devi possedere ciò che fin
dall'inizio neutralizzerà buona parte dei tuoi sforzi, ammettendo la tua
buona fede: ovvero avere una identità e una rappresentazione attraverso
cui acquisisci il diritto a fare una opposizione degna di una "cittadinanza
democratica". Insomma devi fare della vera biopolitica, inserirti nei
conflitti della governance per reclamare che le istituzioni si prendano
cura di te. Ma se si rivendica la possibilità di creare una forma-di-vita
del tutto aliena alla società biopolitica, si entra nell'occhio malevolo
della Legge. Se provi ad uscire dai ranghi del cittadinismo divieni un
potenziale terrorista.
Seconda questione: in un primo momento, come si è detto, l'operazione di
polizia è stata giustificata adducendo a motivo - e sostenendo di averne i
riscontri – alcuni sabotaggi messi a segno sulle linee ferroviarie e che
da soli giustificherebbero l'accusa di terrorismo. A parte il fatto che fin
da subito lo stesso direttore delle ferrovie ha dichiarato che chiunque
abbia commesso quelle azioni di disturbo (il ritardo di 160 treni sulla
tabella di marcia) sapeva bene che non avrebbe messo in pericolo la vita di
nessuno, trattandosi non di dispositivi per far deragliare un treno ma di
mezzi atti a rallentarne la corsa, e che dunque appare in ogni caso abnorme
l'accusa di essere degli atti di terrorismo – si ricordi che la direzione
delle ferrovie francesi ha contato in un solo anno 27500 atti paragonabili
a quelli contestati ai dieci arrestati - l'altro problema, che si è
presentato alla polizia nelle ore immediatamente successive, è che non si
aveva alcuna prova materiale che le persone fermate avessero commesso una
determinata azione e questo nonostante fossero sottoposte, senza che loro
lo sapessero, a pedinamenti continui, anche nel giorno stesso in cui sono
avvenuti i sabotaggi.
Man mano che passano le ore e la polizia è costretta a confessare di non
avere prove "materiali" e i media, imboccati sempre dalle stesse fonti,
cominciano allora a costruire un'altra storia di storie. La prima storia è
che due dei fermati – il Capo e la sua Compagna, che quadretto perfetto
per attizzare la proverbiale curiosità morbosa dei lettori-cittadini... -
alcuni mesi prima erano stati negli Usa, avevano pare partecipato a una
manifestazione anti-militarista e a delle riunioni con attivisti del luogo,
quindi uno di loro aveva perduto lo zaino alla frontiera con il Canada.
Nello zaino, subito analizzato dall'FBI, si erano ritrovati volantini e
testi di ispirazione anarchica. Fine della storia. Anzi, no. Perché ben
due mesi dopo che queste persone avevano lasciato gli USA l'obiettivo della
manifestazione anti-militarista (un ufficio di reclutamento di militari per
la guerra irakena) era stato fatto segno di un danneggiamento. E quindi?
Quindi nulla, pur sapendo e dovendo dire che quelle persone non erano lì
al momento del fatto incriminato, si semina il sospetto che comunque
possano c'entrare qualcosa: non erano lì a manifestare contro la guerra
d'altra parte?
Da questo punto di vista allora è possibile che qualsiasi oppositore alla
guerra o a chissà che altro misfatto capitalistico, possa un giorno essere
accusato di qualsiasi cosa accada a un determinato sito o obiettivo delle
proteste. Basta essere stato lì o magari trovarsi nei paraggi. Forse basta
solo aver desiderato che un complesso militare o una fabbrica dello
sfruttamento vengano distrutte. In effetti è già accaduto molte volte, in
Italia stessa.
Seconda storia. Tutte queste persone sembra abbiano partecipato negli
ultimi anni a molte mobilitazioni, sia in Francia che altrove, insieme a
migliaia di altre persone. Sono le lotte contro i CPT, quelle contro il G8,
contro le politiche neoliberiste e securitarie, contro la guerra in Irak,
le lotte studentesche e così via... Anche qui: e quindi? Quindi, nulla. Il
fatto che delle persone che vivono insieme e condividono beni e interessi
possano partecipare a delle lotte anticapitaliste è evidentemente qualcosa
che produce un surplus di sospetto, un plusvalore di pericolosità...
Qualcosa da fermare con i mezzi che l'apparato poliziesco ha a disposizione
da almeno 7 anni a questa parte, cioè tutto l'arsenale giuridico post-11
settembre. Un arsenale che sembra essere servito molto più per
perseguitare chiunque dissenta dalle politiche imperiali, piuttosto che i
militanti suicidi della Guerra Santa.
Terza storia. Ci vuole un leader, un capo, un cervello. Senza questa figura
autoritaria e mitologica è complicato costruire teoremi politici, quindi
ecco servito il Capo che, ovviamente, presenta caratteristiche singolari:
proveniente da una "buona famiglia", ex-dottorando in fuga
dall'università, intellettualmente dotato, ha collaborato alla nascita di
una rivista politico-filosofica di un certo spessore (si tratta di Tiqqun,
i cui materiali in Italia sono stati pubblicati da una casa editrice del
calibro di Bollati e Boringhieri...) e via dicendo. La cosa che fa eccitare
i media è sempre la stessa: ma come un giovane dalle belle speranze
borghesi rifiuta il suo destino e va a vivere in una comune? Evidentemente
è un deviante, un paranoico anzi dicono i giornali. Per non parlare poi
del fatto che sono ben sei su dieci le donne arrestate. Qui si scatenano
nuovamente gli impulsi più beceri e reazionari ("le donne della banda",
dicono i giornali, a ripetere il refrain di vecchi e nuovi film di bassa
lega). La curiosità morbosa per delle giovani donne in rottura radicale
con le regole della buona educazione e del vivere in maniera civile quasi
viene utilizzata come conferma che si tratta di una "setta" promiscua,
svergognata e quindi terroristica. Se pensi radicale, poi, magari lo sei
anche nella vita e quindi vai punito e fermato prima che tu possa infettare
altre vite. Inoltre colpisce l'insistenza con cui diversi media
sottolineano che durante la perquisizione a Tarnac sia stata "rinvenuta"
una biblioteca molto fornita... Quasi che questa curiosità intellettuale,
questo desiderio di studio, questa capacità di autoformarsi fuori dai
circuiti ufficiali di università e scuole sia un elemento di colpa.
In fondo, in questo mondo nel quale vince chi vende l'immagine di sé più
commerciale, non è strano che dei giovani e delle giovani passino il loro
tempo a studiare autonomamente e a coltivare un orto? E poi per giunta
aggregandosi ad altri che stanchi di vivere sotto il dominio della merce
decidono di scendere in piazza? Sì, effettivamente è una prova. Una prova
di resistenza.
Se così sono le cose sono molti, troppi, i colpevoli per credere che
l'Impero di polizia possa fermare la loro insorgenza.
Da qualche parte, in un'altra foresta, in una qualunque piega del mare in
cui viva una comune che condivida anche solo un elemento con quella di
Tarnac già molti stanno pensando alla Insurrezione che viene (titolo del
libro uscito in Francia due anni or sono a firma Comitato Invisibile, e
messo all'indice durante questa inchiesta).
"Il comitato invisibile non non-esiste. Non è un Gruppo, non ha un Capo,
non ha dei membri, nessuno decide per nessuno, tutto al contrario dello
Stato. Nessun atto di terrorismo, solo amore in circolazione (con il vostro
radicamento ci farebbe schifo pure pulirci il culo). Stiamo parlando di
intensità, anzi cerchiamo di farla circolare. Non abbasseremo la testa,
non cambieremo la nostra forma di vita davanti allo stupro generalizzato di
Stato "dimmi chi sei, vediamo a cosa mi puoi servire, se non lo fai ci
inventeremo noi un'identità per te, daremo ai milioni di anestetizzati il
romanzo criminale di cui avevano bisogno per non pensare a loro, per non
pensare al dolore che abbiamo insegnato loro a reprimere ogni giorno
insieme alla gioia di una possibile forma di vita diversa, ti diamo il
diritto di giudicare e il dovere di autoreprimerti, ti diamo se vuoi la
possibilità di pensare, ti diamo gli intellettuali e le intellettuali,
li/le puoi ascoltare, puoi leggere dei libri (se hai dato abbastanza sangue
per comprarteli), ma non puoi agire, non puoi vivere al di fuori della
clinica spettacolare, ti diamo le malattie che Vogliamo, le cure che
Vogliamo, i lavori che Vogliamo, il sesso che Vogliamo, le immagini, le
paure, i consensi, tutto è già stato deciso". Da sempre lo Stato ha
deciso per noi, da sempre non ha potuto curarsi altrimenti di noi, ciò non
sarà mai possibile, da sempre noi ci dobbiamo curare dell'impossibile,
dell'impensabile, dell'indecidibile. Il più grande tradimento è pentirsi
della vita."
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