[Redditolavoro] I PROFITTI SCHIACCIANO I SALARI (IN TUTTO IL MONDO)
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Sat May 3 13:28:21 CEST 2008
PROFITTI AL MASSIMO LIVELLO, I SALARI AL MINIMO
da falce
@ 2008-05-03 - 11:58:58
Secondo uno studio della Bri è sempre più alta la quota di Pil che va
ai profitti. Dagli anni Ottanta ad oggi salari schiacciati Il declino
globale degli stipendi in busta 5mila euro in meno l'anno
di MAURIZIO RICCI
Il declino globale degli stipendi
in busta 5mila euro in meno l'anno
ROMA
- La lotta di classe? C'è stata e l'hanno stravinta i capitalisti. In
Italia e negli altri Paesi industrializzati, gli ultimi 25 anni hanno
visto la quota dei profitti sulla ricchezza nazionale salire a razzo,
amputando quella dei salari, e arrivare a livelli impensabili
("insoliti", preferiscono dire gli economisti). Secondo un recente
studio pubblicato dalla Bri, la Banca dei regolamenti internazionali,
nel 1983, all'apogeo della Prima Repubblica, la quota del prodotto
interno lordo italiano, intascata alla voce profitti, era pari al 23,12
per cento. Di converso, quella destinata ai lavoratori superava i tre
quarti. Più o meno, la stessa situazione del 1960, prima del "miracolo
economico". L'allargamento della fetta del capitale comincia subito
dopo, nel 1985. Ma per il vero salto bisogna aspettare la metà degli
anni '90: i profitti mangiano il 29 per cento della torta nel 1994,
oltre il 31 per cento nel 1995. E la fetta dei padroni, grandi e
piccoli, non si restringe più: raggiunge un massimo del 32,7 per cento
nel 2001 e, nel 2005 era al 31,34 per cento del Pil, quasi un terzo. Ai
lavoratori, quell'anno, è rimasto in tasca poco più del 68 per cento
della ricchezza nazionale. Otto punti in meno, rispetto al 76 per cento
di vent'anni prima. Una cifra enorme, uno scivolamento tettonico. Per
capirci, l'8 per cento del Pil di oggi è uguale a 120 miliardi di euro.
Se i rapporti di forza fra capitale e lavoro fossero ancora quelli di
vent'anni fa, quei soldi sarebbero nelle tasche dei lavoratori, invece
che dei capitalisti.
Per i 23 milioni di lavoratori
italiani, vorrebbero dire 5 mila 200 euro, in più, in media, all'anno,
se consideriamo anche gli autonomi (professionisti, commercianti,
artigiani) che, in realtà, stanno un po' di qui, un po' di là. Se
consideriamo solo i 17 milioni di dipendenti, vuol dire 7 mila euro
tonde in più, in busta paga. Altro che il taglio delle aliquote Irpef.
Non è, però, un caso Italia. Il fenomeno investe l'intero mondo
sviluppato.
In Francia, rileva sempre lo studio della Bri,
la fetta dei profitti sulla ricchezza nazionale è passata dal 24 per
cento del 1983 al 33 per cento del 2005. Quote identiche per il
Giappone. In Spagna dal 27 al 38 per cento. Anche nei paesi
anglosassoni, dove il capitale è sempre stato ben remunerato, la quota
dei profitti è a record storici. Dice Olivier Blanchard, economista al
Mit, che i lavoratori hanno, di fatto, perduto quanto avevano
guadagnato nel dopoguerra. Forse, bisogna andare anche più indietro, al
capitalismo selvaggio del primo '900: come allora, in fondo, succede
poi che il capitalismo troppo grasso di un secolo dopo arriva agli
eccessi esplosi con la crisi finanziaria di questi mesi. Ma gli effetti
sono, forse, destinati ad essere più profondi. C'è infatti questo
smottamento nella redistribuzione delle risorse in Occidente dietro i
colpi che sta perdendo la globalizzazione e il risorgere di tendenze
protezionistiche: da Barack Obama e Hillary Clinton, fino a Nicolas
Sarkozy e Giulio Tremonti. Sostiene, infatti, Stephen Roach, ex capo
economista di una grande banca d'investimenti come Morgan Stanley, che
la globalizzazione si sta rivelando come un gioco in cui non è vero che
vincono tutti. Secondo la teoria dei vantaggi comparati di Ricardo, la
globalizzazione doveva avvantaggiare i paesi emergenti e i loro
lavoratori, grazie al boom delle loro esportazioni. E quelli dei paesi
industrializzati, grazie all'importazione di prodotti a basso costo e
alla produzione di prodotti più sofisticati. "E' una grande teoria -
dice Roach - ma non funziona come previsto". Ai lavoratori cinesi è
andata bene, ma quelli americani ed europei non hanno mai guadagnato
così poco, rispetto alla ricchezza nazionale.
Sono i
capitalisti dei paesi sviluppati che fanno profitti record: pesa
l'ingresso nell'economia mondiale di un miliardo e mezzo di lavoratori
dei paesi emergenti, che ha quadruplicato la forza lavoro a
disposizione del capitalismo globale, multinazionali in testa,
riducendo il potere contrattuale dei lavoratori dei paesi sviluppati.
Quanto basta per dirottare verso le casse delle aziende i benefici dei
cospicui aumenti di produttività, realizzati in questi anni,
lasciandone ai lavoratori le briciole. Inevitabile, secondo Roach, che
tutto questo comporti una spinta protezionistica nell'opinione
pubblica, a cui i politici si mostrano sempre più sensibili. Ma il
ribaltone nella distribuzione della ricchezza in Occidente è, allora,
un effetto della globalizzazione? Non proprio, e non del tutto. Secondo
gli economisti del Fmi, nonostante che il boom del commercio mondiale
eserciti una influenza sulla nuova ripartizione del Pil, l'elemento
motore è, piuttosto, il progresso tecnologico. Su questa scia, Luci
Ellis e Kathryn Smith, le autrici dello studio della Bri, osservano che
il balzo verso l'alto dei profitti inizia a metà degli anni '80, prima
che le correnti della globalizzazione acquistino forza. Inoltre,
l'aumento della forza lavoro disponibile a livello mondiale interessa
anzitutto l'industria manifatturiera, ma, osservano, non è qui - e
neanche nei servizi alle imprese, l'altro terreno privilegiato
dell'offshoring - che si è verificato il maggior scarto dei profitti.
Il meccanismo in funzione, secondo lo studio, è un altro: il progresso
tecnologico accelera il ricambio di macchinari, tecniche,
organizzazioni, che scavalca sempre più facilmente i lavoratori e le
loro competenze, riducendone la forza contrattuale. E' qui,
probabilmente, che la legge di Ricardo, a cui faceva riferimento Roach,
si è inceppata. Il meccanismo, avvertono Ellis e Smith, è tutt'altro
che esaurito e, probabilmente, continuerà ad allargare il divario fra
profitti e salari in Occidente. Dunque, è la dura legge dell'economia a
giustificare il sacrificio dei lavoratori, davanti alla necessità di
consentire al capitale di inseguire un progresso tecnologico
mozzafiato? Neanche per idea.
La crescita dei profitti,
sottolinea lo studio della Bri, "non è stato un passaggio necessario
per finanziare investimenti extra". Anzi "gli investimenti sono stati,
negli ultimi anni, relativamente scarsi, rispetto ai profitti, in
parecchi paesi". In altre parole "l'aumento della quota dei profitti
non è stata la ricompensa per un deprezzamento accelerato del capitale,
ma una pura redistribuzione di rendite economiche". La lotta di classe,
appunto.
(3 maggio 2008)
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E
Allora dobbiamo chiederci; Chi impedisce agli operai ovunque collocati
di muoversi indipendenti per non morire di fame e di lavoro?
Gli
operai direttamente dal basso devono scrollarsi di dosso quello strato
corrotto e in fondo borghese che domina nei sindacati, per affrontare
al meglio la lotta per il salario, per la sicurezza, per non essere
carne da macello in mano ai padroni, una guerra che ci fanno combattere
e subire contro i nostri interessi e la nostra stessa vita.
Gli
operai devono darsi una organizzazione politica per affermare i propri
interessi di classe di fronte a tutta la societa' sovrastante che dal
loro sfruttamento si sono garantiti e anzi aumentati le quote di
ricchezza prodotta.
In
questo processo, mammano che i profitti aumentavano a scapito dei
salari, e della mancanza della lotta di resistenza a favore degli
operai e della loro condizione,( perche' gli Epifani-Bonanni-Angeletti
e tutto il ceto politico compresa sinistra arcosbalenata sostiene
tutt'ora che si deve "redistribuire la ricchezza prodotta nelle
aziende", mai che si appropriano e quindi rubano la ricchezza
direttamente dalla produzione), i
padroni hanno potuto "oliare" di piu' e meglio tutta quella schiera di
cosiddetti "rappresentanti" sindacali e politici degli operai e dei
lavoratori a tutti i livelli, corrompendoli definitivamente,
assicurandogli e anzi aumentandogli privilegi e ottime rendite.
Riguardo alla crisi, altro che liberismo, ricardo e smith, e' da 150 anni che il padrone investe sul macchinario per estrarre dall'operaio maggiore produzione rispetto al tempo di lavoro, lo sanno tutti gli operai che e' sulla loro applicazione che si accumulano montagne di profitti, i macchinari chi li fa'?, mica se lo regalano fra padroni la pressa, il tornio, la saldatrice e finanche il computer. E poi,chi li fa' marciare in produzione ?, chi li aggiusta, chi li spegne quando inutilizzabili? Fateci ridere; l'estrazione del profitto lo si ottiene nella produzione non nella distribuzione o assetto finanziario. Un certo cambiamento e' avvenuto mondiamente nel campo invece del rapporto di forze reali del capitale con il lavoro operaio, la concorrenza di forza-lavoro ha aggravato lo scontro di classe a favore dei padroni, ma diversi segnali nel mondo indicano questo processo spinge anche gli operai (aumentati e concentrati nel mondo) di vendere cara la pelle e di non accettare piu' il baratro e l'abisso di ricchezza che stanno creando le i padroni e le borghesie in tutti i paesi verso le classi povere e sfruttate.
In
sostanza cio' che e' avvenuto lo abbiamo di fronte agli occhi: i
padroni tramite nuove leggi e regolamenti corrispondenti all'assetto produttivo (con tanti licenziamenti, mobilita' esternalizzazioni ecc), fatti approvare da le forze
politiche e sindacali di ogni colore hanno ridotto alla miseria e al
macello l'intera forza-lavoro produttiva di tutti i settori, nello
stesso tempo sguarniti nelle fabbriche gli operai si sono trovati soli
a difendersi con tutti i mezzi l'offensiva dei padroni, padroni che si sono fatti forti della
"copertura" sindacale generale, e del ceto politico, all' aumento dello sfruttamento.
Salta
fuori una necessita' impellente; gli operai devono a tutti i costi
riprendere in mano la direzione delle lotte sindacali e politiche e lo
possono fare costruendosi una propria estesa organizzazione che
raggruppi gli operai a partire dalle fabbriche dove sono concentrati .
Gli operai nelle fabbriche principalmente sono chiamati direttamente in
causa; solo loro conoscono gli elementi piu' decisi, politicamente
genuini e sindacalmente combattivi e darsi un programma collettivo
preciso, al di la' delle lotte che inevitabilmente si affrontano nel
quotidiano: Solo gli operai in lotta per la abolizione del lavoro
salariato, gli operai che non hanno nessun rapporto di "convenienza" e
mette sotto contraddizzione le ricette padronali e sindacali possono da
una parte resistere al meglio (sindacalmente) alla ricerca del
profitto dei padroni, nello stesso tempo puo' aspirare realmente alla
liberazione dalla societa' dello sfruttamento e della miseria crescente
per milioni di operai.
Si
avvicina l'ora del regolamento di conti con tutti i "falsi"
sindacalisti e politici che dicono di stare dalla nostra parte senza
averne la condizione e per di piu' con stipendio "rappresentativita'",
e poltrona, assicurata dal padrone, inamoviblle (andare a vedere cosa
vogliono fare col nuovo modello contrattuale di
epifani-bonanni-angeletti con i padroni).
OPERAI CONTRO
SEZ. MODENA
3 MAGGIO 2008
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