[Redditolavoro] Torino 8 marzo: infopoint anticlericale al Balon

Federazione Anarchica Torinese - FAI fat at inrete.it
Thu Mar 6 11:33:28 CET 2008


La chiesa vuole farci tornare all’aborto clandestino...
La libertà delle donne non si tocca!

sabato 8 marzo
ore 10
info point anticlericale

al Balon
Borgo Dora ang. Andreis

Federazione Anarchica Torinese - FAI
Corso Palermo 46 - la sede è aperta il giovedì dalle 21 fat at inrete.it 338
6594361

Per un approfondimento sulle poste in gioco questo 8 marzo proponiamo due
articoli usciti sul numero 9 del 9 marzo 2008 di Umanità Nova settimanale
anarchico.
www.ecn.org/uenne/

Né con il Vaticano né con la Cgil
Sommosse femministe
Sotto il segno delle donne stanno accadendo strani “sommovimenti”.
Il 23 e 24 febbraio infatti si è tenuta a Roma un’assemblea molto
importante per il movimento femminista, da subito chiamata con l’acronimo
FLAT: Femministe e Lesbiche Ai Tavoli .
Spiegarne la denominazione è spiegarne la provenienza e la storia.
La storia.
Il 24 novembre è autoconvocata una grande manifestazione “separatista” -
circa 150mila presenze - contro la violenza maschile ai danni delle donne:
una risposta all’assassinio di Giovanna Reggiani e di opposizione
antirazzista all’immediata approvazione del “pacchetto sicurezza”
governativo. In quell’occasione, lo ricorderete, la cacciata delle
Ministre e delle donne “istituzionali” fu oggetto di aspra polemica e
presa di distanza da parte delle solite donne “di apparato” (poco importa
distinguerne il posizionamento politico, ma in maggioranza Pd), messe di
fronte al fatto compiuto che le donne, eh si, non erano minorenni e non
delegavano a nessuna e nessuno la propria giustificata rabbia e volontà di
autodeterminazione. Tenete a mente questo episodio perché tornerà utile
alla comprensione del seguito.
Facendo un molto opportuno utilizzo dell’intelligenza, il neo-ritrovato o
neo-nato (come volete, a seconda della vostra origine, storia, età)
movimento femminista dribbla velocemente una troppo enfatizzata
discussione sul senso della scelta “separatista” del corteo e si accinge a
ri-unirsi nel weekend di febbraio, appena pochi giorni fa .
Perché nominarsi “femministe e lesbiche” e non semplicemente “donne”? Se
lo chiedono in molte, tra le quali con punta polemica e eccessivamente
professorale Ida Dominijanni su Il Manifesto. Per il buon motivo che
nominarsi significa resistere a chi vorrebbe spegnere una presenza
“eccentrica”, contraria a quella che il pensiero lesbico definisce
“istituzione obbligatoria dell’eterosessualità”.
Le eterosessuali, d’altra parte, non ci stanno ad essere “donne”, se
questo significa annullare il portato di resistenza e non collaborazione a
“comandamenti” vaticani o a ingerenze elettorali sulla propria libertà.
Nominarsi le une e le altre in ciò che non le differenzia ma le unisce,
ovvero in questo eccedere la norma imposta da Stato e Chiesa, è certamente
accettare la preoccupazione di cui parla Teresa De Lauretis a proposito
del termine “queer”: qualcosa che non definisca lesbismo ed
eterosessualità come i negativi l’uno dell’altra, ma ne valorizzi
positivamente percorsi e teorie originarie. Nominarsi è anche il primo
passo implicito del tentativo di superare la frammentazione della
soggettività femminista alla quale, purtroppo, siamo abituate fin troppo
bene e da tempo lontanissimo.
La due giorni è stata preparata mesi prima attraverso la libera
espressione e il libero confronto in una partecipatissima mailing list,
chiamata “sommosse”, nella quale si sono confrontate singole donne,
collettivi femministi, centri antiviolenza, sindacaliste, donne di
partito. Tutta la galassia che ha volto lo sguardo verso
quell’appuntamento, divenuto immediatamente centrale per la ripresa di una
narrazione fino a quel momento a patchwork.
Ma accade qualcosa di inaspettato: la grande maggioranza delle intervenute
si dichiara contraria alla presenza strumentale di partiti all’interno
della FLAT, in particolare dei centrosinistri responsabili di guerre e
politiche familiste e sessiste. Il confronto diventa scontro, e riemergono
le stesse ammonizioni e recriminazioni sulla violenza (!?) usata da alcune
manifestanti ai danni di povere donne Ministro. La polemica è aspra ma
nessuna fa un passo indietro. La consapevolezza di giocarsi molto del
proprio futuro è grande così come quella di avere una chance irripetibile
per affermare una soggettività autonoma ed autodeterminata: è grande
soprattutto la consapevolezza di essere in piena campagna elettorale, che
si distingue per gli accesi toni medioevali intorno alla sessualità e al
suo controllo .
Si giunge all’assemblea FLAT, nella quale si trovano a discutere 400
donne, in buona parte giovani e giovanissime, che si uniscono ai tavoli
tematici per poi stilare un documento finale. Nell’ultimo paragrafo
l’assemblea si dichiara indisponibile ad accettare strumentalizzazioni
partitiche e elettorali individuandone un esempio concreto nella
convocazione del comizio nazionale della triplice confederale proprio l’8
marzo, giustificato da un improbabile e antistorico “centenario della
festa della donna” .
Inutile soffermarsi, credo, sul senso di convocare il “comizio” dei
padri-padroni della triplice – tutti e tre maschietti – prima dell’inizio
di un’assemblea nazionale autoconvocata dalle femministe. Ricordate la
rabbia per la “violenta” cacciata delle Ministre? Non vi pare una risposta
bella e pronta per depotenziare la spinta radicale di pratiche e contenuti
del movimento femminista?
Potete immaginarvi l’indignazione e la rabbia in Cgil. Parte all’attacco
Susanna Camusso, segreteria gen. Cgil Lombardia, con una lettera
vittimistica e noiosa, che al di là delle edulcorate parole di moderazione
concretamente accusa di settarismo il movimento lesbo-femminista. Le
risponde una giovane militante “flat” ma in realtà la sua lettera parla a
voce di tutte le lesbiche e femministe che l’hanno sostanzialmente
condivisa nella lista di discussione, e le risponde per le rime,
affermando che “la nostra radicalità è necessaria e per nulla strategica”
e sostenendo che “il conflitto è salutare anche quando non è compreso” .
Nel documento finale dell’assemblea si propone un 8 marzo di lotta
autoconvocato nelle piazze di ogni città con lo slogan: tra la festa, il
rito e il silenzio noi scegliamo la lotta!.
La conclusione è l’inizio di una avventura che speriamo duratura e
conflittuale, e le premesse si trovano nel calendario delle prossime
iniziative e campagne, tra le quali spicca per concretezza e radicalità la
campagna Obiettiamo gli Obiettori  che creerà non pochi problemi a chi
straparla di 194, sia a destra che a sinistra .
magù

8 marzo: per liberarsi dalle tutele, frantumare i modelli, ri-prenderci la
vita
Senza stato né legge
Difficile, almeno per me, parlare dell’otto marzo.
Da un lato questa è una data che, come dicono molte donne, ci ha r8,
perché diventata nel corso del tempo una commemorazione senz’anima, un
modo per lavarsi la coscienza, una data rituale. Però questo giorno ha in
sé anche una storia grande, potente, che racconta alcune tappe del
cambiamento che le donne hanno portato nella società, nel rapporto tra le
persone, nel mondo del lavoro.
L’8 marzo quest’anno compie 100 anni. La data simbolo dell’8 marzo 1908
forse non è storicamente documentata: alcuni storici sostengono che
l’incendio in una fabbrica tessile in cui morirono più di cento  operaie
in sciopero non accadde quell’anno, altri che non accadde a New York, ma a
Chicago.
Quando le disquisizioni tecniche prendono il sopravvento è perché vogliono
celare la verità più evidente e più rivoluzionaria: le donne hanno
cominciato a prendere coscienza di essere vessate non solo come classe
operaia e subalterna, ma anche come donne.
Da allora il movimento delle donne ne ha fatta di strada.
E così dopo 100 anni che hanno visto cambiamenti profondissimi e lotte
altrettanto ampie, ci troviamo al presente.
Da due anni il movimento delle donne ha ripreso con forza le sue lotte,
non uscendo dal silenzio perché non le donne non erano mai state zitte, ma
piuttosto uscendo dal particolarismo e riprendendo un percorso comune di
lotta e di confronto.
Il 23 e il 24 febbraio scorso a Roma si è tenuta una grossa assemblea di
femministe e lesbiche che ha discusso strategie di resistenza e
trasformazione del mondo.
Assemblee di donne in tutta Italia hanno preparato questo otto marzo con
lo slogan “Tra la festa, il rito e il silenzio scegliamo la lotta”,
promuovendo moltissimi e diverse iniziative, disertando i luoghi in cui si
celebra una festa priva di significato e rituale, perché, come leggo su
uno dei tanti volantini, “le donne sono dappertutto, ma non dove voi ve le
aspettate
”.
Per raccontare la situazione di noi donne mi piacerebbe fare un collage di
titoli di giornale, anche solo dell’ultima settimana: una donna viene
brutalmente picchiata sul luogo di lavoro perché aveva osato reclamare il
diritto di andare in bagno, un’altra abortisce dopo esser stata picchiata
dal marito perchè era incinta di una femmina, una donna di 21 anni rischia
la morte per emorragia perché le avevano praticato un aborto clandestino

e parliamo di donne rimaste vive, ad altre va molto peggio. Parliamo di
donne la cui storia è stata raccontata: male, parzialmente, mettendo in
luce solo ciò che faceva più comodo, ma comunque la cui storia può
diventare per altre momento di riflessione e far montare la rabbia.
Così come mi piacerebbe riportare le mille esperienze di lotta ed
auto-organizzazione che in tutto il mondo le donne stanno realizzando, ma
che riescono ad essere lette solo su alcuni siti di donne.
Non mi piace invece parlare di diritti, di necessità di difendere qualche
legge.
Negli ultimi tempi le donne vengono sempre più spesso definite egoiste ed
irresponsabili.
Ma questo attacco continuo può trasformarsi in una trappola che inchioda
le donne ad una posizione di difesa permanente, impedendoci di affrontare
altre tematiche.
Perché questa campagna di odio: proviamo a chiedercelo.
Quale paura incutono le donne? Perché ora?
Tutto intorno parla di necessità di ritorno alla famiglia, facendo leva su
temi “morali”, ma anche molto pratici quali le difficoltà economiche in
cui tutti ci stiamo dibattendo: ogni giorno in tv ci insegnano dove e come
fare la spesa per far quadrare il bilancio.
Se si ritorna alla famiglia, se la dimensione pubblica deve far paura, se
si ritorna  a vivere dentro le 4 mura (ma quanti ne erano usciti), allora
queste 4 mura devono avere un potere forte. Così come un potere forte deve
esserci all’esterno. Ed ecco che l’ingerenza dello stato diventa sempre
più invasiva: la legge sulla procreazione assistita, le leggi sugli asili,
su tutto. Come se la legge potesse aiutare. Invece ingabbia, norma,
santifica, può essere utilizzata in modi diversi a seconda delle
occasioni.
Proviamo a chiederci se la legge sullo stalking, le quote rosa, sono
davvero modi per vedere tutelati i diritti, o se non sia meglio uscire
dalla gabbia che ci fa credere che le leggi  possano tutelare dei diritti,
quando invece sono un pretesto per ridurci a soggetti da proteggere. Per
guardare la vita, donne e uomini, non con gli occhi del neutro e vedere
che il pensiero delle donne, ma anche quello degli uomini, e il corpo
femminile sono tollerati solo quando si rendono conformi al modello.
Modello che riusciremo a frantumare.
R. P.



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