[Redditolavoro] MORIRE DI LAVORO, LAVORO KILLER...UN INCHIESTA

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Wed Feb 20 23:20:05 CET 2008





        Lavoro Killerdi Fabrizio Gatti
        Ritmi
infernali. Subappalti selvaggi. Incidenti nascosti. Norme di sicurezza
ignorata. Così al Nord-est le imprese mettono a rischio la vita degli
operai. Dalle multinazionali all'industria di Stato

                     
                    

                                  
                                  
                                  La Fincantieri di Marghera
                        Quando le fabbriche si sfidano, bisogna obbedire e vincere.
Gli operai muoiono anche così. Vittime collaterali
di gare decise da manager con l'ansia di prestazione. Prendete il
comunicato interno dell'Alcoa di Marghera, lo stabilimento
veneziano della multinazionale americana dell'alluminio. È il
messaggio finale, dopo 30 giorni con i nervi a fior di pelle.
Titolo: "Diario di bordo - ultimo atto". Scrive un alto dirigente:
"Vittoria! Abbiamo ottenuto il nostro primo obiettivo, da un mese
sognavo di poter intitolare così il pezzo dell'ultimo giorno di
competizione. Si tratta di una vittoria nostra prima di tutto
perché abbiamo fatto un mese da incorniciare, e questo fa bene a
noi e al nostro business: 0 infortuni, 7.919 tonnellate, 264
tonnellate al giorno... Record assoluto di tutti i tempi".



È una gara tra laminatoi, lanciati come camion sull'autostrada. Lo
stabilimento veneto si piazza terzo fra tutti gli impianti Alcoa
nel mondo. Solo che gli autisti di camion che corrono troppo
vengono fermati dalla polizia. Non i manager di una multinazionale.
Così va l'Italia della produzione senza limiti.
Così va Marghera, fucina simbolo del Nord-est, tre morti e un
operaio sfigurato dall'acido solforico in sette giorni, contributo
locale al bollettino nazionale di 123 vittime del
lavoro, 123 mila 494 feriti e
3.087 invalidi da inizio 2008. Quello che pesa non
sono solo i numeri dell'ecatombe, ma il modello di eccellenza, così
lo chiamano, che tutti devono seguire. Tutti: dagli scaricatori del
porto ai carpentieri di Fincantieri, l'ultimo colosso di Stato dove
lunedì 11 febbraio un elettricista è rimasto folgorato e quasi
tutte le imprese di appalto fanno assunzioni fuorilegge.



Il comunicato interno dell'alto dirigente di Alcoa è euforico: "Vi
assicuro che il clima che si respirava in questi giorni e
soprattutto la macchina che girava come un orologio erano
straordinari... Essere terzi in Alcoa non è poco. Nel calcio
sarebbe come arrivare terzi nella Premier league inglese, nella
Liga spagnola, nel campionato di serie A italiano o ancora nella
Bundesliga tedesca, ovvero  



essere in grado di competere per
sicurezza, produttività, qualità e affidabilità con i migliori al
mondo... C'è da esserne orgogliosi". È lunedì 2 luglio,
l'estate scorsa, quando il dirigente scrive tutto questo. Giovedì 5
luglio i manager ne parlano ancora. Lo stabilimento continua a
filare come una macchina da corsa. Centra obiettivi come una
corazzata nel pieno della battaglia. 



Quel giovedì i passi di Mauro Calzavara, 46 anni, di San Donà di
Piave, operaio del reparto collaudo, e la folle galoppata di Alcoa
si incrociano. Dieci anni fa, raccontano i suoi colleghi chiedendo
l'anonimato, le bobine di alluminio passavano per sicurezza
all'esterno. Oggi, per guadagnare qualche minuto, i rotoli
a 200 gradi vengono fatti raffreddare nei capannoni, in spazi
ristretti: "Con tempi da Formula uno". In dieci anni la
produzione non è cambiata: 80 mila tonnellate di alluminio
all'anno. Ma è quasi raddoppiata la produttività degli operai:
perché da 980 dipendenti l'Alcoa di Marghera è scesa a 530. Il
bando per partecipare alla gara tra laminatoi forniva anche la
formula per misurare la loro affidabilità: 'tempo di orologio' meno
'tutti i tempi di inattività' diviso 'tempo di orologio' meno
'tempo di inattività programmato' meno 'tempo di inattività per
mancanza di ordini'. 



Quel giovedì, appena tre giorni dopo la fine della gara,
Mauro Calzavara, operaio e sindacalista della Uil,
cade travolto da una bobina di alluminio rovente e viene
schiacciato dal carrello che la sta trasportando. Nello
stabilimento di Marghera è il secondo dipendente ucciso in un anno
e mezzo. Quasi allo stesso modo. Ma per l'inchiesta non c'è nessuna
relazione tra la morte del sindacalista e la corsa tra laminatoi
organizzata dai dirigenti. Della gara di produzione sparata sul
filo delle 11 tonnellate di alluminio all'ora semplicemente non si
parla.



Gli imprenditori del Nord-est sanno trovare una ragione a
tutto. Anche ai loro operai ammazzati. Questo è Giorgio
Guerrini, presidente di Confartigianato, pochi giorni dopo i
funerali delle prime due vittime dell'anno a Marghera: "Gli
eccessi in discoteca sono un fenomeno reale che incide sui livelli
di attenzione dei lavoratori". Guerrini ripete quello che
hanno detto i presidenti di Confartigianato di Treviso e Padova,
Mario Pozza e Walter Dalla Costa. Insieme, rappresentano le imprese
di tre tra le province più aggressive del Nord-est. "La stanchezza
dopo le notti a ballare può fare brutti scherzi", sostiene Pozza.
Le segreterie venete di Cgil, Cisl e Uil protestano: "Parole
vergognose". Paolo Ferrara e Denis Zanon non sono ragazzi da
discoteca quando muoiono asfissiati nella stiva della World
Trader il 18 gennaio a Porto Marghera: hanno 47 e 39 anni
e quella notte, prima dell'incidente, non sono andati a ballare, ma
direttamente al lavoro. Dimitrios Lenis, il marinaio greco
schiacciato da un Tir su un traghetto il 25 gennaio, ha 33 anni e
l'ultima notte l'ha passata a bordo. 




                                    
                                    
                                    Stabilimenti Fincantieri
                            Nemmeno Vincenzo Castellano, 31 anni, di
Napoli, era andato a divertirsi la notte tra il 9 e il 10 maggio
2002. La sera prima lui e i colleghi Ditran Cano e Biagio Basile
entrano nel grande stabilimento di Fincantieri a Marghera e non
escono fino al giorno dopo. Non c'è nessuno oltre a loro. Perché la
notte Fincantieri ufficialmente non lavora. Per fare in fretta, i
tre operai vengono mandati a saldare fuori orario i profili in
ferro nel corridoio di una nave in costruzione. I tre non sono mai
stati lì prima. Lavorano per la Montaggi e carpenterie industriali
sas, una piccola ditta di Ottaviano, in provincia di Napoli. È un
subappalto commissionato dalla Meccanonavale srl,
una delle società che con regolarità si aggiudicano i contratti di
Fincantieri.Nessuno ha mai capito come funzioni.
Perché nel maggio 2002 Meccanonavale è presente in Fincantieri con
appena quattro operai e due responsabili. 



La domanda è da qualche milione di euro, il valore degli appalti
affidati a Meccanonavale nel giro di qualche anno: come può una
società con solo quattro operai e due responsabili in cantiere
garantire la costruzione di sezioni di nave? Infatti non può ed è
per questo che i tre dipendenti della ditta di Ottaviano sono lì.
L'unico avviso che ricevono riguarda la pulizia dalle scorie di
saldatura. Nessuno invece indica i pericoli del
posto. Così quando Vincenzo Castellano perde l'equilibrio
sulla scala, è normale per lui appoggiarsi al telo che ricopre la
parete. Il telo cede e si apre sulla condotta di ventilazione che
nascondeva.



Questi incidenti a Marghera di solito finiscono con un funerale e
l'archiviazione come fatalità. Ma Castellano si
salva. Per modo di dire. "Dopo dieci minuti abbiamo cominciato a
sentire delle lamentele", racconta Dritan Cano al processo, "però
non sapevamo il punto esatto dove era finito. Io ho fatto quasi 50
volte su e giù, 20 piani della nave". Vincenzo Castellano ora abita
con la madre e i fratelli che, per lui, si sono trasferiti da
Napoli a Imola. "Per essere sottratto da quella buca", dice a
'L'espresso' la mamma, Carmela Volpe, "Vincenzo ha dovuto aspettare
dalle 5,45 alle 8,45. Non sapevano dove fosse
perché nessuno aveva lo schema della nave". Vincenzo Castellano è
sul pavimento della sala macchine. Le ossa frantumate in
fondo a un volo di 30 metri. Anche lui vittima di una
gara. Dovevano correre: per completare un lavoro lasciato a metà da
Meccanonavale. Fincantieri aveva chiesto una pausa per pulire le
condotte della nave e voleva recuperare il tempo perso.



Oggi Vincenzo Castellano è paralizzato dal torace in
giù. Quasi ogni notte cade nei suoi incubi e chiede alla
madre di aiutarlo a morire. Eppure per Fincantieri resta uno
sconosciuto. Il direttore di Marghera, Carlo De Marco, e i suoi
dirigenti non si presentano nemmeno al processo in cui sono
imputati per lesioni gravi. Tengono duro. I loro legali ritardano
il più possibile il risarcimento. A fine novembre l'industria
rischia addirittura la figuraccia davanti al premier Romano Prodi e
agli armatori della Carnival il giorno della consegna della Queen
Victoria che ha come madrina Camilla Parker Bowles. L'avvocato di
Castellano chiede il pignoramento della gigantesca nave da
crociera. Fincantieri deposita a garanzia un assegno da 2
milioni e mezzo di euro, che poi sono soldi dello Stato. E
proprio questo è il punto. Perché Fincantieri appartiene
allo Stato. E la sua filiera di produzione è un modello
non solo nel Nord-est, ma in tutta Italia.




                                            
                                            
                                            Assemblea dei portuali di Marghera
                                    Come funziona lo spiega il giudice del Tribunale di Venezia,
Carla Ilaria Bitozzi, nelle motivazioni della sentenza depositate
l'11 ottobre scorso sul caso Castellano: "Al riguardo è ampiamente
provato che nel cantiere navale di Marghera la maggioranza delle
lavorazioni sono svolte da operai di imprese terze mediante appalti
reali o mere prestazioni di manodopera... i dipendenti
delle imprese terze costituiscono quasi il 75-80 per cento della
forza lavoro presente in Fincantieri". Secondo il giudice,
la ditta che aveva assunto i tre operai costituiva una sorta di
caporalato industriale: il titolare "fungeva solo da intermediario,
per il quale percepiva un compenso a percentuale sul monte ore di
impiego dei suoi operai".



Alla fine il direttore di Marghera, Carlo De Marco, gli altri
responsabili di Fincantieri, di Meccanonavale e della srl di
Ottaviano vengono condannati in primo grado a due mesi di
reclusione, assorbiti dall'indulto. E al risarcimento dei danni, 2
milioni di euro più o meno. Per Vincenzo Castellano i soldi che gli
serviranno a curarsi arrivano soltanto il 9 gennaio di quest'anno.
Quasi sei anni dopo l'incidente. Nel frattempo De Marco è stato
promosso a dirigere il cantiere più grande, a Monfalcone. E ancora
nel 2007 Meccanonavale è tra le società sempre scelte da
Fincantieri.



La sentenza veneziana è il riconoscimento della complicità
dell'industria di Stato come committente nella filiera di
subappalti. Ed è quanto da anni denuncia a prefetto e Asl lo staff
di Giorgio Molin, segretario generale della Fiom Cgil di Venezia.
Inutile dire che dal 2002 a oggi, a parte un protocollo formale
sulla legalità, non ci sono state ispezioni in Fincantieri in grado
di smascherare la rete di subappalti. Nemmeno dopo la scoperta a
Trieste dell'infiltrazione negli affari di piccole società in odore
di 'ndrangheta. E l'arresto di due dipendenti a Monfalcone per
contratti gonfiati.



Bisogna venire a Marghera e guardare per giorni da vicino i blocchi
delle navi appesi alle gru, per capire quanto sia pericolosa la
disorganizzazione in un grande cantiere come questo. Solo una
minoranza tra gli operai indossa i caschi di protezione. A volte
vedi saldatori bengalesi abbracciati alle ringhiere della Eurodam,
la nave della Holland America Cruise Line in consegna quest'anno.
Attorcigliano come funamboli le gambe alle sbarre di ferro, perché
le mani sono impegnate: in una stringono il piccolo vetro di
protezione, nell'altra il cannello della saldatrice. Niente
occhiali, niente maschere, niente
imbragatura per loro. I dipendenti di Fincantieri a
Marghera sono 1.200. Gli addetti alla produzione poco più di 400,
praticamente gli unici operai con garanzie sindacali, ferie e
malattia. Nel 2006, 170 di loro (il 42,5 per cento) ha subito
infortuni con prognosi superiore a tre giorni. Fino ad agosto 2007,
sono 92 i feriti (il 23 per cento). 



Quattrocento persone non possono costruire una nave. Per questo nel
2007 hanno lavorato in Fincantieri 2.215 operai
esterni. Sono distribuiti su 478 ditte di
subappalto con uno, dieci, raramente più di 20 dipendenti.
Piccole srl che nascono e svaniscono nel giro di due anni, con sedi
in Campania, Calabria e Sicilia dove i controlli dell'Inps non
esistono. Società paravento a loro volta ingaggiate dalle 64
imprese chiamate da Fincantieri. Sono queste a dividersi il grosso
dei guadagni sull'allestimento di condotte di ventilazione e
arredi. È il vero affare: le grandi navi da crociera, di cui
Fincantieri ha conquistato il 43 per cento della produzione
mondiale, costano 500 milioni di euro. Soldi che si incassano nel
giro di un anno e mezzo: dalla prima lamiera posata alla consegna.L'importante è abbassare il costo del lavoro. Non
tanto per competere con la Cina. Soprattutto per far guadagnare il
massimo alle imprese appena sotto Fincantieri.



È per questo che la grande maggioranza degli operai esterni,
italiani o stranieri, è ingaggiata a paga globale. Sono contratti
fuorilegge che permettono l'evasione di fisco e contributi Inps.
Dieci, 12 ore di cantiere al giorno. Senza
ferie, tredicesima,
malattia, liquidazione: uno
sconto quantificato dalla Cgil in almeno tre mesi all'anno. Gli
imprenditori più spregiudicati tengono per sé perfino gli assegni
familiari e mettono in busta paga 40 ore al mese.
Il resto, tra le 160 e le 220, lo pagano in nero. A volte con un
assegno. Fa parte del ricatto. Ogni lavoratore firma un foglio in
bianco. Se mai decidesse un giorno di denunciare lo sfruttamento o
iscriversi al sindacato, si troverebbe con la lettera di dimissioni
già firmata. Ma se è stato pagato con l'assegno, il foglio in
bianco potrebbe diventare il contratto di un prestito da
restituire. Dipende da come viene compilato.



Impossibile conoscere il numero dei feriti, se dipendono da ditte
esterne. Solo i casi più gravi vengono scoperti.
Come quello di Diego Pietrobon, 36 anni, dieci in Fincantieri,
sposato, una bimba e una casa pignorata dopo l'infortunio: è
invalido dal 2003, quando è stato investito dal crollo di una
sezione di nave, e solo l'11 marzo ci sarà la prima udienza per la
sua causa. Intanto la ditta Omega che l'aveva ingaggiato a paga
globale è scomparsa. 



L'ultimo ferito grave è Massimo Volpe, 32 anni, elettricista di una
ditta di subappalto. Verso le due del pomeriggio di lunedì 11
febbraio viene colpito da una scarica a 690 volt.
"Una cosa è certa", dice il comunicato delle segreterie veneziane
di Cgil, Cisl e Uil, "l'impianto della nave su cui lavorava era
sotto tensione mentre non doveva esserlo".È il risultato
del frazionamento degli appalti. Nessun operaio sa
cosa stiano facendo i colleghi accanto. Sempre lunedì un
blocco da 380 tonnellate cade per lo strappo dei golfari, i ganci
di sollevamento: erano stati saldati male alla struttura. L'elenco
degli incidenti con o senza feriti, ma potenzialmente mortali, è un
brivido quasi settimanale. 



'L'espresso' ha potuto leggere i rapporti interni.
Gigantesche ruote di gru da 300 chili che cadono dal
cielo. Manutenzioni e imbragature fatte da
personale non specializzato. Carrelli che si
ribaltano. Bilancieri dei carri ponte
nelle officine usati per sollevare pesi eccessivi
per le loro dimensioni. A volte le prove vengono occultate. Come
sarebbe successo il 16 aprile 2007 dopo il ferimento di un operaio
croato, Milenko Libic, 40 anni, della ditta Sonda, un subappalto:
gli era stato ordinato di sollevare una lamiera con due pinze
inadatte. "Se te lo ordinano i capi, lo devi fare", racconta un
operaio a paga globale, "altrimenti ti dicono: da domani stai a
casa". 



Più che capi, qualcuno di loro ricorda Kilgore, il colonnello del
film 'Apocalypse Now' che faceva rischiare la vita ai suoi soldati
per un'uscita in surf dopo la battaglia. Il paragone non è
esagerato. Secondo Eurispes, sono morti più operai,
muratori e agricoltori in Italia (5.252 dal 2003 al 2006)
che militari della coalizione nella guerra in Iraq
(3.520). In fondo la salute di un lavoratore a paga globale, in
base alle tabelle applicate dai tribunali del Nord-est, costa poco:
44 euro al giorno per un'invalidità totale. Molto meno di
un buon paio di scarponi da cantiere.(14 febbraio 2008)
			  
         
     
     



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