[Redditolavoro] risposta a fumagalli su lavoro

francesco_macheda at libero.it francesco_macheda at libero.it
Sat Feb 16 15:43:07 CET 2008


Ciao
Mi sembra che l’analisi sottostante di fumagalli abbia dei limiti, in particolare una inesattezza sulla distinzione lavoro produttivo-improduttivo. Il lavoro produttivo si distingue da quello improduttivo non solo perché salariato, ma anche perché partecipante alla vera e propria formazione del valore: ad esempio, “se il capitalista ha trasformato il suo capitale in una massa di merci e questa rimane invenduta nei magazzini
le spese che la conservazione di quesa riserva esige in fabbricati LAVORO ADDIZIONALE ecc. costituicono una perdita positiva. Il compratore che finalmente si presenta lo deriderebbe se egli gli dicesse: la mia merce è rimasta invendibile per mesi, e la sua conservazione mi ha cagionato spese improduttive
 tant pis pour vous, dice il compratore, qui accanto c’è un altro venditore la cui merce è stata approntata solo ieri”(cfr libro II, sez. I, cap. 6). Quindi, per questa parte, mi sembra che il ragionamento marxiano su improduttivo- produttivo tenga eccome, e serva a definire che non solo è solamente il lavoro salariato a essere produttivo, ma neanche la totalità di questo!
 Tra l’altro non capisco l’affermazione: “Il riesame della dicotomia lavoro produttivo - lavoro improduttivo rimanda alla dicotomia produzione di valore di scambio - produzione di valore d´uso”; in realtà la distinzione è tra una lavoro che valorizza il capitale e uno che non lo valorizza, il lavoro produttivo crea sia valori d’uso che valori di scambio, cioè crea per il capitalista valori d’uso(merci che verranno vendute per assolvere una funzione) che hanno valori di scambio complessivamente superiori al valore di scambio delle merci costituenti il valore della forza lavoro. Il lavoro è produttivo perché produce capitale

QUANTO POI A QUELLA PARTE DELL’ARGOMENTAZIONE RIGUARDANTE IL FATTO CHE SIA LAVORO PRODUTTIVO ANCHE L’ATTIVITÀ UMANA NON SALARIATA, NON ACQUISTATA FORMALMENTE DAL CAPITALISTA (LA FORMAZIONE
): 

Ne consegue forse che, siccome anche nel capitalismo di cent’anni fa il cibo che l’operaio mangiava entrava nel valore di scambio delle merci da lui prodotte (nella parte v, per la precisione), l’atto di mangiare rientrasse nel lavoro produttivo? Infatti prendiamo la frase di fumagalli e mettiamola così:“fino a che punto è possibile distinguere il processo di nutrimento finalizzato allo sviluppo della propria persona secondo una logica autonomamente scelta ed il processo di nutrimento reso necessario per svolgere l´attività lavorativa ai fini dell´accumulazione capitalistica?”; più o meno, quadra allo stesso modo!

E’chiaro che i capitalisti pagano nella parte v i costi di riproduzione dell’operaio, e ciò vale sia per le proteine utili alla fenditura del ferro, sia per la cultura utile per fare altre cose (e qui non entro nel merito del fatto che magari fumagalli fa rientrare fr queste cose lavori salariati ma improduttivi, perché non specifica) . L’operaio (futuro) CONSUMA quelle proteine o quell’istruzione, ma a spese del capitalista individuale (se l’istruzione gli viene pagata col salario dei genitori, con una parte del capitale variabile che comprende fra il valore di riproduzione dell’operaio il mantenimento dei figli e la loro istruzione),  o collettivo (lo stato e le sue scuole gratuite): semmai è il maestro che se infonde cultura per tre ore e gliene vengono pagate due è un lavoratore produttivo.. comunque, se l’operaio studia  e diventa un lavoratore cognitivo, e il capitale ha bisogno di più “lavoratori cognitivi”, significa che aumenta il prezzo della forza lavoro, perché aumenta la composizione organica del lavoro, l’operaio che ha studiato ha possibilità di “vendersi meglio”(non vuol dire bene!): questo è il motivo che ha spinto storicamente i capitalisti a semplificare le mansioni, a renderle facilmente apprendibili: perché il tempo di apprendimento è un costo(e infatti nel caso citato aumenta non solo il prezzo ma anche il valore della forza lavoro), che può essere conveniente per il capitalista singolo. Se è vero che con l’apprendimento aumenta la produttività per varie ragioni (tra cui la possibilità di maneggiare macchine complesse
),  è pur vero che l’apprendimento generalizzato rende quella produttività oraria del lavoro produttività oraria media: quindi un’ora di lavoro, rispetto alle altre ore di lavoro, torna a valere un’ora di lavoro.Quindi , come l’incremento di costi di macchinario può convenire a un capitalista fino a quando non viene generalizzato, così un incremento di costi in operai istruiti può convenire al capitalista o a un sistema economico, ma a livello medio  questa spesa è un costo in più. L’impegnarsi nello studio può servire a diventare operai che concorrono a una maggior produzione oraria di valori d’uso, ma non per questo si è lavoratori produttivi quando si studia, in particolare perché non si producono né valori d’uso, né di scambio: ad esempio, se l’operaio vero e proprio perde un braccio dopo la giornata lavorativa e non può più lavorare, il lavoro di quella giornata si realizza comunque in merci di un certo valore di cui si appropria il capitalista; ma se lo studente si dimentica tutto? Vuol solo dire che la società ha SPESO del lavoro inutilmente per farlo studiare, per riprodurlo come lavoratore cognitivo!
 Comunque, si può anche dimostrare che alcune sostanze psicotrope possono aumentare la produttività di un singolo lavoratore, ma se il padrone fa entrare il loro consumo nelle spese necessarie al mantenimento di un lavoratore, non per questo l’assumere quelle sostanze psicotrope è lavoro produttivo!



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Date      : Wed, 30 Jan 2008 11:08:51 +0100 (CET)
Subject : Re: [Redditolavoro] giornata nazionale di lotta contro i  licenziamentipolitico sindacali, per far cadere le montature giudiziarie, contro ognirepressione delle lotte operaie e sociali e delle  organizzazioni deilavoratori







> Ciao,
> Mi sembra interessante la discussione senza pregiudiziali ideologiche
> aprioristiche in corso su lavoro e non lavoro e mi permetto di fare alcune
> ossrvazioni al riguardo.
> Credo che non sia un caso che in tutte le lingue del mondo l'attività
> lavorativa venga indicata con due parole: da noi, la prima deriva dal
> latino "labor", ovvero, fatica, dolore, tortura, la seconda dal latino
> "opus", per indicare l'attività umana che dà piacere e che crea piacere
> (come l'opera artistica o teatrale).
> Marx parlava di lavoro concreto, ovvero quel lavoro che produce valore
> d'uso, e lavoro astratto ovvero  quello stesso lavoro che teoricamente
> produce valore d'uso ma viene piegato alla produzione di valore di scambio
> in un contesto di sfruttamento capitalistico (Marx faceva l'esempio del
> muratore, quando costruisce liberamente la propria casa per viverci e
> quando la costruisce per l'impresa edile).
> Si parla anche di lavoro produttivo (in senso capitalistico), quindi
> lavoro remunerato in quanto erogazione di lavori libero (come scriveva
> Marx: "il proprietario della forza-lavoro, il lavoratore, non é solo
> libero di venderla, ma si trova anche e soprattutto nell´obbligo di
> farlo") e lavoro considerato capitalisticamente improduttivo, quindi non
> remunerato.
> La discussione su questa lista tra lavoro da un lato e lavoro salariato
> dall'altro presuppone che sia possibile tracciare una linea di
> demarcazione tra i due tipi di lavoro. Se ciò fosse sempre possibile, è
> chiaro che essere contro il lavoro salariato non significa essere contro
> il lavoro. Significa essere contro il "labor" e a favore dell'"opus", come
> scrive Laura. Perchè ciò avvenga, perchè vi sia una società che consente
> di svolgere solo "opere" e non lavori salariati, bisogna però uscire dal
> contesto capitalistico. E inoltre bisognerebbe cominciare a pensare che
> vale di più il "diritto alla scelta del lavoro", piuttosto che il "diritto
> al lavoro", qualunque esso sia. La sinistra italiana e spesso anche quella
> antagonista non concertativa è troppo imbevuta di etica del lavoro (che
> deriva anche dall'esperienza sovietica, cfr. Stakanov) per accorgersi che
> chiedere il "diritto al lavoro" spesso significa chiedere di essere
> liberamente ingabbiato.
> Tutto ciò poi è ancora reso più complesso dal fatto che oggi, una volta
> tramontato il ruolo centrale della produzione industriale-fordista a
> vantaggio delle produzioni cognitive-(im)materiali, di comando e controllo
> delle merci e dei flussi di informazioni e conoscenze, la separazione tra
> lavoro produttivo e lavoro improduttivo non è più così netta.
> Il riesame della dicotomia lavoro produttivo - lavoro improduttivo rimanda
> alla dicotomia produzione di valore di scambio - produzione di valore
> d´uso.
> Se nel capitalismo attuale tende a trasformarsi in valore di scambio anche
> quell´attività lavorativa che fino a pochi decenni fa rientrava nella
> categoria di attività riproduttiva e/o di formazione/apprendimento, ovvero
> lavoro improduttivo, la distinzione tra "produttivo" e "improduttivo"
> perde di significato.
> Ad esempio: fino a che punto è possibile distinguere il processo di
> apprendimento finalizzato allo sviluppo della propria cultura secondo una
> logica autonomamente scelta ed il processo di formazione reso necessario
> per svolgere l´attività lavorativa ai fini dell´accumulazione
> capitalistica?
> Fino a che punto è oggi possibile distinguere all´interno di una giornata
> lavorativa il tempo socialmente necessario per produrre valore di scambio
> da quello utilizzato per produrre valori d´uso?
> Credo che oggi sia più che mai necessario partire da un critica del lavoro
> tout-court (che oggi ha inglobato anche l'attività d'opera grazie ad un
> processo di mercificazione delle vite e dei cervelli sempre più esteso e
> capillare) per arrivare a definire la distinzione tra lavoro capitalistico
> (con la forma salariale o di ritenuta d'acconto, sempre lavoro salariato
> trattasi) e non lavoro capitalistico, in grado di aprire spazi di
> liberazione.
> 
> Andrea
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