[Redditolavoro] Le cassaforti di Riva
agrav
a.grav at libero.it
Mon Aug 18 09:10:39 CEST 2008
Ricevo e giro.
Devo aggiungere che Taranto risulta la città con la percentuale più alta in
Italia di tumori nelle vie respiratorie, Che i morti per cancro ai polmoni
da addebitare allamianto sono in percentuale vicino al 100% per gli ex
dipendenti dello stabilimento. Che nello stabilimento vi sono circa un
infortunio al giorno e tutti gravi perché quelli , diciamo così, leggieri
non sono denunciati per paura di ritorsione. Il direttore dello stabilimento
ed il capo del personale , dopo anni di battaglie, sono stati condannati
dal tribunali per mobing. Costringevano infatti a lavorare in una
palazzina ( la palazzina Laf) tutti gli ex sindacalisti e contestatari . La
palazzina era costituita da tante stanzette, tutte dipinte di bianco con una
sedia ed una scrivania, con il divieto di appendere quadri o qualsiasi altra
cosa alle pareti, e nullaltro intorno. I dipendenti ( o carcerati )
dovevano stare rinchiusi nella stanzette 8 ore al giorno a far nulla con il
divieto anche di poter parlare fra loro. I telefoni chiaramente non vi erano
se non uno pubblico a gettoni fuori dalla palazzina .
L80% dei dipendenti sono giovani , per lo più laureati, o comunque figli di
dipendenti anziani. E questo è stato già il primo ricatto o il dipendente
marciava e zitto oppure non assumevano il figlio ( ed in una città fatta di
disoccupati a vita questo rappresenta un bel ricatto) Tutte le assunzioni
erano prima a formazione e lavoro con scadenza trimestale ( di qui ancora di
più il ricatto ripetuto nel tempo ai dipendenti anziani), poi grazie alla
flessibilità le assunzioni a tempo, a settimana, a rotazione ,con tutte le
possibili varianti sono utilizzate. In unop stabilimento con cui devi
convivere con il pericolo e la convivenza voleva dire conoscenza dei rischi
e pericoli, conoscenza dellimpianto voleva dire professionalità e con i
giovani che vengono assunti a periodi tutto questo non si ha.
Tutto questo per la borghesia italiana non è mai esistito , ma applaudo al
padron Riva per i successi di bilancio raggiunto.
Al Direttore del Corriere della Sera
Egregio Direttore,
larticolo Le due casseforti di Riva, re dellacciaio di Roberta
Scagliarini sul Corriere della Sera del 17 agosto fotografa in maniera
ineccepibile lo straordinario successo imprenditoriale del Gruppo Riva e del
suo fondatore Emilio Riva. Dallarticolo tuttavia non emerge che la gran
parte degli stratosferici utili accumulati dal Gruppo negli ultimi quattro
anni proviene dallo stabilimento siderurgico Ilva di Taranto. Ci sia
permesso di illuminare laltra faccia della medaglia di questo eccezionale
successo. Da oltre 40 anni i Tarantini subiscono le conseguenze delle
emissioni inquinanti dellIlva, un tempo di proprietà dello Stato e nel 1995
acquistata dal Gruppo Riva. Limportanza strategica per lItalia di questo
colosso siderurgico e la benevolenza dei potenti hanno fatto sì che per
tutto questo tempo linquinamento ambientale prodotto dal più grande
stabilimento siderurgico dEuropa non fosse contrastato come occorreva. Da
poco tempo i Tarantini hanno preso coscienza del loro diritto a vivere in un
ambiente non inquinato, diritto naturale sancito più di un decennio fa dalla
Comunità Europea ma a lungo ignorato in Italia per irresponsabile
disinteresse dei governi e di gran parte dei parlamentari nonché. Non
mancano inoltre le responsabilità dei Sindaci, massimi tutori della salute
dei cittadini in virtù del Testo unico sanitario del 1934. Sono del 1996 le
norme europee che hanno stabilito che anche le aziende italiane, Ilva
inclusa, dovessero dotarsi di Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA)
entro il 30 ottobre 2007. L'AIA prevale su tutte le autorizzazioni
precedenti e condiziona l'esercizio degli impianti
all'adozione delle migliori tecnologie disponibili e alla massima riduzione
delle emissioni di inquinanti in aria, acqua e suolo. In Europa, gli
impianti privi di AIA non sono autorizzati a funzionare. Alla data del 30
ottobre 2007 nessuna grande azienda italiana era in possesso dellAIA e
tutte hanno continuato a produrre ed a inquinare. In più, gli Italiani ed i
Tarantini in gran parte non sanno che al danno subito per linquinamento non
contrastato si aggiungerà la beffa delle salatissime multe che la Comunità
Europea comminerà allo Stato italiano per infrazione della legge comunitaria
del 1996 relativa all'AIA, multe che gli Italiani pagheranno con le tasse,
mentre ai veri colpevoli dellinfrazione non verrà chiesto un euro. A
Taranto, dichiarata per legge città ad elevato rischio di crisi
ambientale, è stata accertata inequivocabilmente lemissione continuativa
di diossina dall'impianto di agglomerazione dell'Ilva, con valori tali che
l'impianto dovrebbe essere chiuso se si trovasse in altri Stati europei. In
Italia, però, "misteriosamente" è stato definito per legge un limite per la
diossina siderurgica irragionevolmente alto, tale da porci nettamente al
di sopra dai valori indicati dal Protocollo di Aarhus.
Quel limite abnorme adottato dalla legge italiana per la diossina (10000
nanogrammi calcolati in concentrazione totale) resta immodificato nonostante
rapporti ufficiali di organismi dello Stato, dichiarazioni di Sottosegretari
del Ministero della salute, interrogazioni parlamentari, richieste ufficiali
del Presidente della Regione Puglia, Ordini del Giorno di Consigli comunali,
appelli di associazioni, comitati e cittadini al Presidente della Repubblica
ed altro. Solo nel civilissimo Friuli Venezia Giulia è stato possibile
adottare il limite europeo per la diossina proveniente dall'impianto di
agglomerazione.
Ora, con la procedura nazionale dellAIA e con lAccordo di Programma del 11
aprile 2008, specifico per il territorio di Taranto e Statte, firmato da tre
Ministeri, Agenzie nazionali, Presidente di Regione ed Enti Locali e
sottoscritto da 7 aziende che operano nel territorio, Ilva SpA inclusa, si
presenta loccasione storica per mettere fine alla catena di ritardi,
omissioni e distorsioni che hanno caratterizzato lintera vicenda
dellinquinamento ambientale di origine industriale a Taranto. Il nostro
obiettivo è quello di contribuire a conciliare la sopravvivenza dellazienda
con i sacrosanti diritti alla salute, alla sicurezza e allambiente, in una
parola, alla vita e alla salute dei Tarantini, compromessa dai veleni che
quotidianamente vengono sparsi nel cielo e nel mare di Taranto. Tanto per
fare un esempio, secondo i dati di stima dellINES (Inventario Nazionale
delle Emissioni e delle Sorgenti), il 90,3% della diossina industriale in
Italia verrebbe prodotta a Taranto e precisamente dall'Ilva.
Il nostro obiettivo è pertanto quello di porre fine a questo scandalo
nazionale ed europeo.
Per fare questo occorrono grandi e specifici investimenti finanziati
dallIlva utilizzando una parte degli stratosferici utili accumulati, senza
peraltro trascurare le possibilità offerte dalla Comunità Europea con i
Fondi strutturali 2007 2013. E necessario, però, che il Gruppo Riva
presenti un nuovo piano di adeguamento dello stabilimento alle MTD (Migliori
Tecnologie Disponibili): quello presentato dallazienda il 10 giugno 2008 è
insufficiente oltre che inattendibile. LAssociazione PeaceLink ha
ripetutamente sfidato lIlva ad un pubblico confronto su quel piano che
rimanda al 2014 gli investimenti per ridurre la diossina a livelli
europei. Ad oggi dichiara di non essere disposta a scendere sotto i 3,5
nanogrammi a metro cubo di diossina (calcolati in tossicità
equivalente) quando invece esistono tecnologie (come la MEROS applicata in
Austria) che potrebbero far scendere quelle emissioni sotto il livello di
0,1 nanogrammi a metro cubo. Siamo quindi di fronte a unazienda che, come
ben documentato dal Corriere della Sera, fa utili e naviga nelloro ma
lesina quando si tratta di investire nelle migliori tecnologie per abbattere
le proprie micidiali emissioni cancerogene e genotossiche.
Prof. Alessandro Marescotti Presidente Nazionale di PeaceLink Ing. Biagio
De Marzo Portavoce di PeaceLink Nodo di Taranto
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