[Redditolavoro] l'ingiustizia e la ribellione

vittoria huambos at virgilio.it
Sun Apr 27 14:33:10 CEST 2008


E certo che la violenza per la violenza non è una scelta!
Per me che sono marxista pare scontanto, cio' non toglie che la rottura 
violenta dell'apparato statuale deve avvenire!
In merito all'alibi fornito dalla violenza per la repressione non sono 
daccordo: tu confondi l'effetto con la causa.
Il problema non è che ci sono 10 20 100 "violenti", ma diciamo determinati 
in piazza o sul lavoro, ma se questa determinazione è una determinazione di 
classe,  di massa.
la repressione c'è perchè lo stato fa una guerra preventiva alle avanguardie 
e alle masse.
Ti colpiscono prima che tu esprima violenza, caro mio!
Comunque io tutto sto chiaccherare sulla violenza con i morti sul lavoro che 
ci sono e con la vita di merda che facciamo tutti pure tu, non lo capisco 
proprio!
vittoria



-----Messaggio Originale----- 
Da: "Emiliano Laurenzi" <emiliano_laurenzi at yahoo.it>
A: "vittoria" <huambos at virgilio.it>
Data invio: domenica 27 aprile 2008 14.00
Oggetto: Re: [Redditolavoro] l'ingiustizia e la ribellione


      La mia preoccupazione non è il piagnisteo sulla violenza in genere, ma 
il timore, purtroppo sostenuto dalla storia recente, che un'eventuale 
manifestazione violenta dia solo più alibi allo stato per calacare la mano, 
per criminalizzare chiunque. Il ricorso alla violenza, nel recente passato e 
non solo - parlo degli ultimi trent'anni - alla fine ha solo determinato un 
maggior autoritarismo, leggi speciali, etc.



      Per il resto la violenza è solo una forma del cambiamento, e questo 
non mi spaventa. Mi spaventa solo se la violenza diventa sintomo di altro - 
fondamentalmente dell'impotenza e dell'incapacità politica di intercettare 
bisogni - e si riduce a ricalcare i meccanismi della violenza che si vuole 
combattere.



      Il ricorso alla violenza - non parlo ovviamente di quanto può 
succedere ad una manifestazione, ma mi riferisco a qualcosa di un po' più 
radicale - è sempre un rischio, e se non rientra in un contesto ben preciso, 
diventa solo un'opzione suicida.



      Questo non esclude affatto il conflitto sociale, ma forse prima di 
decidere sulla violenza, occorrerebbe riflettere su come rivolgersi e 
coinvolgere chi è sfruttato e fa finta di no, chi è precarizzato, ed ingoia 
la competizione come unica difesa, chi ha paura di impoverire e invece di 
condividere ragioni e speranze con altri, si scaglaia contro chi sta peggio 
di lui (che è una delle radici psicologiche dell'ostilità contro gli 
immigrati, per dire...), e così via.



      L'accenno alla violenza è solo relativo alla mancanza di un'idea 
condivisa, che in qualche situazione e per qualcuno, potrebbe spingere a 
"balzi inavanti" che poi invece finirebbero per disperdere quelle poche 
risorse politiche, intellettuali, di lotta e di capacità di riarticolare un 
discorso strategico.



      Detto ciò, personalmente non ho pianto una lacrima per d'Antona o 
Biagi. Chi mette al servizio dello sfruttamento la sua opera, la sua 
intelligenza, si pone automaticamente fra coloro che operano per far sì che 
milioni di persne vengano sfruttate, private della felicità, della sicurezza 
e di una vita dignitosa. Ma allo stesso tempo la soluzione non sta in questi 
termini. Dobbiamo avere il coraggio di dire che non sappiamo bene quale 
possa essere la scelta giusta, ma la violenza per la violenza in genere non 
è mai una scelta.



      saluti libertari

      el

      --- Dom 27/4/08, vittoria <huambos at virgilio.it> ha scritto:


        Da: vittoria <huambos at virgilio.it>
        Oggetto: Re: [Redditolavoro] l'ingiustizia e la ribellione
        A: "redditolavoro" <redditolavoro at ecn.org>
        Data: Domenica 27 Aprile 2008, 07:56


Si ti capisco però sulla questione della violenza dovresti veramente
chiarirti se no diventa un piagnisteo alla totonno!
Qui stiamo a parlare di violenza collettiva, di risposta della classe
sottoposta a quella egemone mica di violenza caratteriale!
L'uso della risposta violenta ,della rottura rivoluzonaria è sempre stato
un discrimine fra rivoluzionari e riformisti.
Capirai che dopo Genova 2001 e dopo tutta la canea che stata fatta sulla
questione della violenza e dopo che alcuni compagni rischiano 100 ANNI di
galera per "fatti specifci" in merito a Genova 2001 e dopo che noi
del Sud Ribelle accusati di essere "la cupola" di questi scontri siamo stati
assolti, sancendo così una differenza fra chi ha reati"di pensiero"
e chi ha "fatti specifici" non si può sfugggire alla questione violenza.
Se no stai a dire quello che dice Bertinotti, Negri che rivaluta San
Francesco, anche se i mendicati non possono fare la questua alla basilica
del santo:
bell'ossimoro;-.)))))))
vittoria

-----Messaggio Originale----- 
Da: "Emiliano Laurenzi" <emiliano_laurenzi at yahoo.it>
A: <redditolavoro at ecn.org>
Data invio: sabato 26 aprile 2008 23.07
Oggetto: Re: [Redditolavoro] l'ingiustizia e la ribellione


      Parlando da perfetto eseplare precario, da lavoratore sovraistruito -
e la cui possibilità di sovra-istruzione è perfettamente conforme alle false
aspettative di un'università aperta a tutti e capace solo di riprodurre la

selezione sociale e di classe, oltre che a squalificare la formazione tout
court riducendola a curriculum vitae - precarizzato, nomade per necessità e
per coazione psicologica, trovo che molti discorsi su questa mailing, oltre
naturalmente a testimoniare l'impegno di migliaia di persone, il loro
sfruttamento e la difficoltà di fare fronte al dilagante sfruttamento
legalizzato, insieme alla forza della propria partecipazione, siano il
segno, e spesso la cifra, di un'impotenza teorica e concettuale molto
forte,
assieme alla difficoltà di intaccare l'immaginario, il vissuto, le forme
di
vita quotidiana di chi incrocia questi temi.



      Un esempio di questa arretratezza della "cassetta degli
attrezzi" - e
la mia non è un'osservazione puramente ideologica, ma anzi esattamente il
contrario, ovvero una riflessione che sorge dalle forme di vita su cui
agisce il capitale "come puro spirito" (per dirla con Pietro
Barcellona) - è
la difficoltà con cui si coinvolgono e si organizzano proprio i precari.
Paolo Virno, in "Grammatica della moltidutine" - lo so... a questo
punto
qualche onesto operaio avrà già le palle piene di un cognitario che fa il
receptionist con un contratto a due mesi della Obiettivo lavoro... e cita
libri! :-P - coglieva proprio questa inadeguatezza della strumentzione
ideologica verso un mercato capitalistico che ha fatto proprio lo slogan
"la
fantasia al potere", che ha fatto propria la sostituzione del popolo con
la
moltitudine (declinando questa moltitudine sul versante del consumo come
unico appagamento sensoriale, e mai come cittadinanza).



      Lo sciopero, l'analisi dei rapporti di forza, il rapporto coi
migranti - verso i quali nutro la massima solidarietà, ma che come noi sono
portatori spesso di istanze prettamente massimaliste: fammi avere i soldi ed
i permessi necessari per fare la vita del tranquillo consumatore, e la
rivendicazione arriva solo lì...  - le contraddizioni profonde, ingiuste,
omicide, che oggi dominano il lavoro, ma che rimangono tali e non catturano
la partecipazione.



      Come riconquistare un'idea di futuro - che è la base per sviluppare
qualsiasi idea di solidarietà e - senza ripercorrere strategie che alla
lunga ci chiudono solo in un fortino, destinati a soccombere? Un futuro, una
speranza di felicità, l'ironia del conflitto. la capacità di socializzare

sofferenze e speranze, valori, se non uso una parola grossa.



      Invece le lotte, gli sciperi, anche le vittorie che si ottengono,
cadono in un vuoto assordante, fuori dalle mailing, fuori dai luoghi dove ci
si incontra tra simili, l'agenda politica e sociale è un'altra,
becera,
razzista, quello che volete, ma determina le priorità.



      Noi dovremmo ricominciare a pensare come scardinare quest'ordine di
cose, quale disegno strategico, di lunga portata seguire, e non solo come
contrastare. Dare al nostro desiderio una forma riconoscibile,
condivisibile. Perché altrimenti il dolore, lo sfruttamento, generano solo
rabbia, e la rabbia che non trova un impiego razionale, coerente, condiviso,
genera violenza.



      La stessa violenza che arma la mano dello stato, che criminalizza chi
contesta, anche semplicemente chi si oppone.



      Io mi sento smarrito, e sento altrettanto smarrimento negli stessi
proclami sindacali. Le nostre speranze devono essere nutrite dalla
dimensione stessa del nostro smarrimento (almeno del io), ma per fare questo
occorre ripensare parecchie categorie politiche e di lotte, oltre che avere
il coraggio di ripensare - senza fare tabula rasa, questo è ovvio, ma in
maniera profondamente innovativa e critica - il complesso delle nostre
strategie, e anch dei nostri immaginari.



      Sono stato di sicuro incompleto - scrivere mentre si sta al
lavoro... - ma spero di aver portato un contributo critico, una
testimonianza di sofferenza e anche di spaesamento rispetto a argomenti e
pretese di forza di cui io non vedo alcun riscontro nella politica e nei
conflitti odierni (e non perché vivo altrove o ficco la testa sotto la
sabbia...



      saluti libertari

      el

      --- Sab 26/4/08, vittoria <huambos at virgilio.it> ha scritto:


      Da: vittoria <huambos at virgilio.it>
      Oggetto: Re: [Redditolavoro] l'ingiustizia e la ribellione
      A: "redditolavoro" <redditolavoro at ecn.org>
      Data: Sabato 26 Aprile 2008, 08:37


      Stranamente? sono contenta che in mezzo a tanti comunicati sindacali e
      trionfalistici persino arriva una meil che esprime un disagio ed uno
      smarrimento reale.
      vittoria

      -----Messaggio Originale----- 
      Da: "Emiliano Laurenzi" <emiliano_laurenzi at yahoo.it>
      A: <redditolavoro at ecn.org>
      Data invio: venerdì 25 aprile 2008 22.01
      Oggetto: [Redditolavoro] l'ingiustizia e la ribellione


            Ed intanto la Fiat fa profitti d'oro. E le morti sul lavoro
      scandiscono l'ingiustizia mortale che si apre come una ferita
      nell'indifferenza di un paese ignorante e bigotto. Non popolare ma
plebeo.



            Nella tristezza di questo giorno che devo passare al lavoro,
invece di
      stare in piazza, lumpen-proletario precario, con uno straccio di
coscienza
      di classe, senza persone attorno con cui condividere, ma solo clienti
      danarosi e bastardi, vestito come un pupazzo, mi sento prigioniero.
      Prigioniero di una società radicalmente violenta, in cui la
solidarietà è
      come qualcosa di cui sento parlare ma che raramente incontro come una
radice
      che nutre i rapporti umani, e di classe. Forse perché lavoro in un
terziario
      immateriale, in cui la mia istruzione è solo la cifra del mio
sfuttamento e
      della manchevolezza della mia coscienza politica. In parte. In parte è
vero.



            Quanta ingiustizia siamo disposti a sopportare senza cadere
nella
      trappola della violenza. Ogni giorno lavoratori muoiono uccisi nei
cantieri
      del massacro. Il loro sangue produce solo la ricchezza di chi li
uccide e la
      malcelata insofferenza dell'audience politica e di milioni di persone
      rassegnate a chinare la testa, o a guardare altrove.



            Mi interrogo su quali attrezzi nella cassetta dell'antagonismo
      mancano. Se ancora non usiamo concetti, metodi e categorie politiche
ormai
      spuntate come armi, inefficaci, anche autoreferenziali. Qual'è la
soglia
      di
      sopportazione del nostro popolo? Se c'è un popolo e non solo
      telespettatori...



            saluti libertari

            el




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